Trovarsi un sabato pomeriggio in un appartamento perduto nella città tra centinaia di abitazioni anonime, può aiutare a capire qualcosa sui problemi che la famiglia sta attraversando. Quei quattro muri racchiudono ben poca vita, spesso solo il mangiare e il dormire dei suoi abitanti. E restano terribilmente chiusi, ad impedire che quel po' di calore che resta si disperda per sempre.
Un dialogo difficile, spesso un silenzio vuoto, un imbarazzo reciproco per chi sa già in partenza di non avere niente da spartire. Una corsa in macchina, due stanze da sistemare, il programma della domenica: tutto per evitare il logro snervante di quei silenzio.
E così un sorriso, un gesto gentile, l'ammirazione degli amici, le confidenze, il senso di cameratismo, sono raggi di luce ad illuminare esistenze grigie ed appiattite. E si vive ormai per sognare quel sorriso, quella persona, quel gruppo di amici, fino a convincersi che la vita vera è quella, e che la casa sono «loro». Fino a drammi indicibili.
Il lasciare spazio per uno sviluppo della personalità non è criterio capace di offrire soluzioni al problema. Lo chiarisce nei suoi termini, lo mette a nudo nelle sue espressioni essenziali, ne aumenta la presa di coscienza. Lo demitizza, sottraendolo ad influssi capaci di sfociare in gesti assurdi, e lo illumina di una logica razionale, più consona a modi civili, nel dirimere le divergenze, di quanto lo siano l'odio e la violenza.
Per lo più si parte così, garantendo, fin dall'inizio, uno spazio personale, a somiglianza di chi, in aereo, si allaccia il para cadute, o, in mare si preoccupa dell'efficienza della scialuppa di salvataggio. Si va avanti finché è possibile, poi, ognuno per la sua strada, ché ognuno può camminare con le proprie gambe E ne viene terribile il vuoto di ogni responsabilità nei confronti del vivere insieme, fino a misure assolute di egoismo. Il problema dei figli ne è segno chiaro: essi risultano un'assurda componente di forze divergenti o almeno parallele. Lo scompenso che ne deriva è alla base di tanta ribellione.
Di qui il rilievo di punti scottanti nella vita familiare: il divorzio, l'aborto, la regolazione delle nascite. In quell'angolatura così assurda, nata da motivi di egoismo e di interesse ed imposta, attraverso quei terribili strumenti di costruzione che sono gli interessi economici, a tutti, sfruttati e impoveriti anche in questo valore.
Una situazione difficile, un terreno impraticabile per chi non abbia idee chiare e ferma fiducia in una possibilità di amore vero. La buona volontà e l'impegno di coloro che vivono sulla propria carne questi problemi è richiesta inquietante, è serio interrogativo dell'umanità.
La Chiesa ha raccolto questo problema suggerendo alcune, linee di riflessione nei documenti del Vaticano II. Non mi interessa tanto, a questo punto, esaminare queste linee, quanto fare una constatazione valida per altri problemi, affiorati in Concilio, che sono stati affrontati, non per una soluzione decisiva, quanto in ordine ad un atteggiamento «nuovo» da assumere in fedeltà a Cristo.
Quanto questo sia avvenuto non è facile dirlo. E' certo che molto di questo slancio si è affievolito forse per le grandi resistenze, ma certo di più per le ottuse interpretazioni, l'aria troppo viziata di ambienti terribilmente chiusi, la grettezza spaventosa di molti. La faciloneria con cui si è tentato molte volte di riproporre le tematiche conciliari in chiave catechetica non è tra le ultime cause di questo fallimento.
Sappiamo benissimo che, dopo il Concilio, la parrocchia è diventata «comunità parrocchiale», la gente «popolo di Dio», i sacerdoti il «presbiterio», la diocesi la «la chiesa locale», la famiglia la «chiesa domestica». La realtà, in moltissimi casi, è rimasta identica.
Si è tolto ciò che ormai era assurdo mantenere, si è rispolverato un rito, si sono aperte le porte a problemi più attuali, ma non si è andati più in là del medicare, metter cerotti e garze, quando a noi è chiesto unicamente la fede e le testimonianza del miracolo della resurrezione.
La spinta profetica è mancata ancora, e, se possiamo dire facilmente che la libertà di sposarsi, il litigare con il vescovo, l'indipendenza economica, non sono davvero profezia, dobbiamo riconoscere che no lo è neppure il tentativo di comporre le tensioni concedendo cittadinanza ad ogni opinione: tentativo vecchio quanto il mondo, di far posto ad un altro senza essere sbilanciato sul suo.
Così anche il problema della famiglia. Si sono accolti i miglioramenti introdotti da una prassi sociale più evoluta e si sono battezzati.
Mettere in comune i soldi e le energie, aiutarsi per poter avere un po' di libertà quando ci sono i figli, allargare il cerchio familiare con incontri tesi a realizzare una vita comune, sono tutti tentativi posti in atto per dare un po' di respiro alla famiglia. Indichiamoli, d'accordo, come mezzi che rompono una crosta di chiusure e di. egoismi, di timori strani e assurdi, che la tradizione stessa ci aveva offerto con il suo modello di vita familiare, ma non dimentichiamo che è dovere cristiano offrire valori che siano rivelazione più immediata che sia possibile del mistero d'amore che è in Dio.
Il modo con cui Gesù incontra le persone è un'autentica e continua provocazione. Solo lui sa essere accoglienza piena, capace di uno sguardo purissimo di bontà, mai però per un lasciare la cose come stanno (già qui abbiamo un'indicazione precisa di cosa sia l'amore, tanto diverso da quella carità che è abilità stupefacente di lasciar tutto come si è trovato, nascondendo anche le tracce del proprio passaggio).
C'è in Gesù questa possibilità straordinaria di liberare energie nascoste nel cuore degli uomini, non certo per una potenza .miracolosa, quale potevano attribuirgli, ma unicamente per la sua fiducia nel Padre di cui conosce la vita e il pensiero in modo così assoluto da identificarsi con lui, in un'unica volontà
Così nel suo incontro con la Samaritana, così esemplare, e Zaccheo e gli stessi apostoli, ed i miracoli che sono tanto segno di questo lievito unificante posto da Dio nella nostra storia.
Ma un uguale atteggiamento anche nei confronti del giovane ricco, provocazione sofferta per qualcosa che si è chiuso, forse per sempre. Come nei confronti de! suo popolo.
Fino a determinare in Gesù, proprio perché ha capito che così vuole il Padre, fino a determinare quella proposta universale di provocazione che è la sua Croce. Il suo Passaggio tese a rompere l'equilibrio degli uomini e a lasciare una traccia indelebile nella vita di tutti.
Gesù sa cosa il Padre ha posto dentro di noi, all'origine della nostra esistenza, perché tutto è stato fatto per mezzo di lui. Il suo porsi di fronte agli uomini è dunque unicamente questa fatica liberatrice dì ciò che è più vero in noi, nascosto fino ad essere soffocato dalle misure nostre incapaci di un ampio respiro.
Per una creatura nuova.
Creatura spinta a questa provocazione fino a limiti impossibili. Perché la creatura nuova non sono tanto io che mi spoglio dì un abito consunto per rivestirne uno incorruttibile, quanto io provocato fino al punto di perder la vita e ricevere la mia individualità in un modo tutto nuovo. Là dove individualità non esiste, come noi la intendiamo, ed esiste solo comunione vicendevole fino alla misura massima. La creatura nuova è la Chiesa, questa famiglia di Dio senza confini, amata da Cristo fino a provocare in lei la realtà del Suo Corpo, là dove ogni membro assume la Sua statura e la Sua immagine.
E' questo annuncio che i cristiani dovrebbero trasmettere ai mondo in una lotta incessante. L'annuncio di un rapporto nuovo tra gli uomini per la scoperta di nuovi motivi di esistenza. «Non voglio altro che il fuoco divampi», dice Gesù, ed è questo fuoco di amore inestinguibile, capace di purificarci da ogni scoria per mettere a nudo il nostro vero essere.
Così dovrebbe essere nella vita della Chiesa, vita di comunione che obbedisce ad una sola regola: l'annuncio del Regno di Dio. Così dovrebbe essere per ogni rapporto umano. E così anche per la famiglia in ricerca di una risposta cristiana.
Non un accordo (per quanto tempo si è continuato a parlare di contratto!) su ciò che vi è di comune tra un uomo e una donna, ma provocazione vicendevole (che è principalmente un atto di fede) per una grandissima responsabilità nei confronti della loro comunione. Per essere realmente quella cosa sola che l'essere «una sola carne» indica con tanta forza e chiarezza Non c'è da trovare un equilibrio tra la tensione della carne e le difficoltà del cuore. Nella carne è già indicata la misura di comunione del cuore e dello spirito: ed è misura assoluta E l'accoglienza del cuore e dello spirito è misura dell'unione nella carne. Questa a significare e spingere quella a dar senso e pienezza.
Così, come per Cristo e la sua Chiesa, una storia d'amore che va alla radice dell'essere, là dove non ci si può più rifugiare perché tutto ormai è comunione.
E così ecco l'insofferenza per spazi personali, residui d'individualismo: paziente opera d'amore perché la comunione sia vera.
Per di più una provocazione continua perché l'uomo sia veramente uomo e la donna sia veramente donna, in una crescita di pienezza personale che, proprio in quanto nasce da una comunione non può non riversarvisi, capacità sempre nuova di essere «una cosa sola».
E questo vale anche per il lavoro, la casa, l'indirizzo da dare alla vita familiare. Tutto questo non può essere risolto come se ciascuno dovesse continuare la propria strada appesantito da una nuova responsabilità accolta in funzione di un legittimo piacere, di una convenzione sociale, di una forma di vita ormai ben collaudata. Sappiamo bene di uomini e donne ricchi di valori e di sensibilità, ridotti, dopo il matrimonio, a esistenze appiattite inspiegabilmente sotto il peso di una responsabilità forse non pienamente accolta e fatta propria. Oltretutto in questo chi ci rimette e ci ha sempre rimesso in misure pesantissime è stata la donna.
E' una realtà, la vita familiare, da costruire insieme nello sforzo totale di ciascuno fino ad essere spinta per gli altri, famiglia che non si chiude né si ripiega su se stessa, uomo e donna che vivono insieme per essere di più nella vita e per gli altri, una realtà nuova capace di provocare intorno a sé l'amore nella pienezza di comunione e di espressione personale
Prima di tutto nei figli che ne sono espressione perfetta fin nei legami di carne e di sangue. Vite concrete che impegnano la responsabilità dei genitori ad allargare la paternità e la maternità oltre i vincoli naturali per essere indicazione di accoglienza della famiglia dei figli di Dio.
Non certo pesi da portare, con cui c'è da contrattare perché rimanga per tutti uno spazio di vita personale. E neppure ninnoli da salotto cui si perdona tutto perché in fondo sono decorativi, oppure garzoni di bottega da allevare perché prendano il posto del vecchio.
I figli sono la salvezza della famiglia non tanto perché la continuano e le danno lustro, quanto perché la costringono a rimanere realtà aperta e viva, dialogo incessante, provocazione d'amore perché tutto cresca in novità di vita.
Ormai sappiamo bene anche qui che l'egoismo genera l'egoismo, l'interesse genera l'interesse... Chi vuol generare amore non può non essere amore, senza che vi sia spazio per ritorni personali, né per modi individuali d'esistenza, là dove si crede che la sola cosa degna d'essere generata è l'immagine di Cristo che ciascuno porta nel cuore e che è la nostra unica e comune giustificazione d'esistenza.
Sforzo richiesto a tutti, uomo o donna, padre o madre, figlio o figlia, perché nell'impegno di crescere alle dimensioni del Cristo non c'è distinzione, neppure nei punti di partenza; non ci sono condizioni particolari e l'impegno è uguale per tutti.
E' in questo senso che la comunità familiare può essere a ragione chiamata " piccola chiesa " o "chiesa domestica": là dove le condizioni di accoglienza di Cristo si realizzano per una strada particolare, ma nella stessa, precisa misura richiesta a tutti gli uomini, la misura stessa del Cristo
don Luigi
in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1971, Novembre 1971
Luigi Sonnenfeld
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