L'occasione di amarci

«Tu sei l'unico abitante di Gerusalemme che ignora cos'è successo in questi giorni, ciò che è successo a Gesù di Nazareth, che fu un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo, e come i nostri sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato perché fosse condannato a morte e lo hanno crocefisso» (Luca 24, 18-20).
Anche qui, a Montevideo, capitale della Repubblica Orientale dell'Uruguay, pochi giorni fa sono successe queste cose. Julio, militante cattolico, che ha dedicato la sua vita a «soddisfare l'esigenza di giustizia e d'equità» (Gaudium et Spes 66), Julio Sposito, studente di 19 anni, è stato assassinato alle spalle dalla polizia uruguaiana, con una pallottola nel cuore che, come tante altre pallottole che hanno colpito i nostri militanti, anch'essa è venuta dal Nord.
Julio non è stato il primo. Molti studenti, operai, e perfino poliziotti sono stati uccisi, vittime della violenza imposta dal regime dell'attuale governo. Centinaia di militanti politici e sindacali sono stati condannati al confino senza processo e in condizioni disumane; centinaia di funzionari e operai sono strati licenziati per ragioni ideologiche.
L'Uruguay, la «Svizzera dell'America», non esiste più. Esiste un popolo che soffre e combatte, che porta sulle spalle tutto il peso di una dittatura sempre più sfacciata.
Da tre anni in Uruguay i salari sono congelati. Le libertà sono limitate giorno per giorno, sotto il pretesto di «combattere la sedizione», e sotto la protezione delle «misure di emergenza» si perquisiscono migliaia di case e locali sindacali e universitari; si tortura, si chiudono giornali col pretesto di «istigazione alla violenza»; si «mettono fuori legge» i partiti; si proibiscono manifestazioni contrarie al governo.
Si vuol far credere che il contrasto stia tra «sediziosi» (Tupamaros) e «governo», tra il «caos» e l'«ordine»; ma il popolo uruguaiano sa molto bene che la separazione esiste tra il popolo e un piccolo gruppo di oligarchi che lo rendono vittima dei loro insaziabili interessi economici, attraverso la «ristrutturazione della banca», l'industria della carne, quella tessile, secondo le direttive del Fondo Monetario Internazionale, e tutto ciò si traduce in licenziamenti in massa, repressione, carcere, torture, eccetera.
Noi, la piccola comunità cristiana dell'Uruguay, coscienti di essere «chiesa», come il cieco di Gerico abbiamo chiesto al Signore che apra i nostri occhi e abbiamo ricuperato la vista (Matteo 29, 19 s.), e come quelli di Galilea ci rifiutiamo di tacere e vogliamo mostrare di Lui su tutta la terra (Matteo 9, 31); vogliamo mostrare al mondo il nostro Cristo, l'«Ecce Homo» frustato, schernito, appeso alla sua croce, ucciso, come tonti dei nostri compatrioti, di diverse tendenze politiche e filosofiche, e molti di essi identificati in amore e dedizione.
E' il volto della chiesa, una e universale, è il volto del popolo di Cristo; è la comunità di un popolo che, in un modo o nell'altro, cosciente o no, lo riconosce in «verità e in santo servizio» (Lumen gentìum 9).
Ci dirigiamo ai cristiani e agli uomini di buona volontà degli Stati Uniti perché assieme a noi oppongano il bene al male, la donna al dragone, l'agnello alla bestia, Cristo, il Fedele, il Verace, colui che giudica e combatte con giustizia, a Babilonia la grande, la madre dei fornicatori e delle abominazioni della terra (Apocalisse 12, 17). La solidarietà dei figli di Dio deve gridare contro le solidarietà dei figli di Satana.
Tutta la nostra economia, tutte le armi puntate contro il nostro popolo, le pallottole assassine e le bombe al plastico che le organizzazioni poliziesche e parapoliziesche (Gioventù uruguaiane in piedi) utilizzano, sono importate, sono «Made in Usa», un'altra delle forme che assumono in America Latina, le stesse armi che uccidono in Vietnam, in Santo Domingo, in Brasile o in Pakistan.
Non vogliamo odiare l'americano, vogliamo amarlo, essere fratelli di tutti i popoli, ma tutti gli anni gli Stati Uniti aumentano i loro aiuti per armare le dittature contro i loro popoli, per difendere i loro interessi in America Latina.
Il nostro appello è pieno d'angoscia. Non ci trascina nessuna ideologia né dogma; solo la libertà, l'amore e la giustizia, solo il desiderio di giungere a realizzare una società in cui ci sia la vera fraternità tra gli uomini.
L'Uruguay di oggi è agli antipodi di questa speranza. Vogliamo denunciare questo inganno, questa falsità, questa idolatria di forme vuote; vogliamo vomitare questa ipocrisia e lo facciamo come cristiani in fraternità, in unione con la comunità cristiana nordamericana, costruendo uniti il Regno di Dio, accogliendo la voce di Cristo, dando testimonianza della sua verità (Giovanni 18, 57) con tutti i cristiani del mondo, impegnati per il Vangelo.
Per questo, ai nostri fratelli, vescovi, preti, religiosi, cristiani e non cristiani, uomini di buona volontà dell'America del Nord, chiediamo che si facciano eco di ciò che noi oggi denunciamo, di queste violenze favorite e alimentate dal loro governo, e le condannino apertamente.
Vi chiediamo anche di utilizzare tutti i mezzi perché il governo nordamericano comprenda che non deve interferire nell'impresa della nostra liberazione, nella creazione del nostro futuro, libero da ogni oppressione straniera.

Ottobre 1971.

Gruppo Cristiani dell'Uruguay



in La Voce dei Poveri: La VdP ottobre 1971, Ottobre 1971

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