E' evidente che oggi non è più il momento di proporre ai giovani come soluzione di vita il matrimonio o la vita religiosa, come unica alternativa, anche perchè si vanno verificando sempre più due fenomeni: la crisi della famiglia nella quale il rapporto moglie-marito non riesce più a collocarsi secondo uno schema tradizionale di ruoli, e la donna in specie si sente sempre più lacerata fra il ruolo moglie-madre e quello lavoro-società; e un numero ogni giorno maggiore di persone che hanno rinunciato al matrimonio e tirano avanti grossi impegni in campo professionale, politico o semplicemente umano, accentuando maggiormente col loro stile di vita, un discorso di schemi uomo-donna, superati.
La società ha oggi bisogno di riscoprire chi sia l'uomo e chi sia la donna, anche lentamente, faticosamente, disordinatamente, ma sotto la spinta di un cammino ormai inevitabile.
La chiesa, l'unica che ha indicato per secoli la possibilità di realizzarsi in uno stile di vita che non fosse quello coniugale (verginità) ha purtroppo sempre perduto la sua partita di essere voce viva e vera di umanità, e ha tentato di sottrarsi all'enorme fatica di cercare un volto pienamente umano al proprio esistere - chiudendosi in una assurda separazione di difesa: da una parte gli uomini, ben distanti le donne.
Oggi che tutti sono per la via abbiamo di nuovo offerta la possibilità di camminare con la ricerca di ognuno nella pazienza di verificarci continuamente con la vita, nella sicurezza di portarvi un pò di lievito buono, per questo il Sinodo dei Vescovi, che si è lungamente soffermato sulla questione del celibato dei preti, non può limitarsi a ripetere una semplice adesione alla legge e alla disciplina tradizionale. Il celibato non può essere attualmente riproposto al di fuori di responsabilità precise che ne fanno una strada diversa da quella coniugale, strada che deve riscoprire il suo volto nella realtà concreta di ogni giorno. I legami di sangue e di carne si precisano lasciando spazio a legami originati da un ideale comune, da un senso di fraternità universale, da un'attenzione piena d'amore per una situazione di povertà, di sete e di fame di giustizia... là dove all'uomo e alla donna è richiesto lo stesso impegno per cui non c'è differenza se non quella che è formidabile tendenza ad essere una cosa sola, comunione e riconciliazione delle creature.
L'uomo o la donna che non scelgono la vita coniugale, non per questo per esempio, sono privati della responsabilità di avere una casa, un lavoro, una «famiglia», e non per questo sono esentati dal dover cercare un proprio volto, un proprio ruolo come uomo e come donna. Non certo persone che si fanno da sé, evitando ogni rapporto reciproco o confidandolo in modi e forme convenzionali.
In questo il cristiano e quindi anche il prete non rappresentano delle eccezioni; solo che il legame, il nodo di tutta questa ricerca di valori è (in modo assolutamente prevalente per il prete) il regno di Dio e il suo continuo sforzo di essere generato nei cuori degli uomini.
Per questo il prete non può continuare ad identificarsi nell'uomo che vive solo, separato dagli altri, in un «ambiente» sacro che gli dà un volto umano sbiadito, quasi irreale.
Se ha una casa deve vedersi che è la casa di un uomo che affronta la vita con responsabilità, cercando di rendere concreto nella propria esistenza, il Vangelo che annuncia. Una casa pagata giorno per giorno con la propria fatica e subito offerta a tutti, senza orari che non siano quelli del buon senso, dove chiunque può entrare senza imbarazzo e sentirsi accolto. Una casa che non è quella dello scapolone o del figlio non ancora accasato che è una posizione di privilegio, custodito e servito, ma una casa che accoglie anche le persone che condividono una vita sacerdotale, chi cerca una strada, chi ha bisogno di un tetto, di una amicizia, di un aiuto.
Se è vero che la famiglia del sacerdote è tutta una parrocchia, la gente che è chiamata a servire, questo non vuol dire che il sacerdote non debba accogliere una sua «famiglia» segno concreto di tutta un'attenzione che si allarga senza confini. E' qui che il prete è chiamato ad assumere la sua responsabilità di uomo che tira avanti le cose con il suo lavoro, la sua fatica di ogni giorno, la sua forza d'animo, la sua capacità di allargare il cuore oltre la misura.
Una «famiglia», quella del prete, capace di vera accoglienza di persone, di situazioni, di problemi. Senza difese. Non una compensazione alla sua scelta di solitudine, ma spinta ad osare sempre di più, a misure di accoglienza sempre maggiori, là dove la famiglia non è freno, ma primo passo cui necessariamente devono seguire molti altri. Là dove la «famiglia» è luogo in cui si riversa l'attesa viva del Regno di Dio e quindi la sete lacerante di Lui che non concede riposo.
Questo e tanto di più è compito del sacerdote perché dev'essere un uomo ed ha il dovere, lui, uomo di Dio, di affrontare questo problema entrando nel mondo in fedeltà di vita ed è nella sua accoglienza piena che può finalmente offrire il proprio contributo per dare al rapporto uomo-donna il vero valore e l'autentica dimensione.
Se non è possibile richiamarsi ad una formazione nel Seminario (piuttosto un peso assurdo) e neppure ad un riscontro diretto con il mondo che attende piuttosto un apporto di valore, non è neppure studiando e meditando che uscirà fuori una proposta nuova di vivere il celibato. E' una ricerca cui è attesa tutta la Chiesa e quindi l'apporto di ciascuno risulta decisivo e irrinunciabile.
Apporto di ricerca pagata e sofferta di persona con autentica fiducia nella indicazione di Gesù.
La Chiesa non ha mai nascosta la propria insofferenza nel considerare seriamente la possibilità di un rapporto nuovo tra l'uomo e la donna. La vita di alcuni santi che hanno accolto con fiducia l'esempio del Signore non è stata mai veramente accolta e il richiamarsi a Gesù in questo senso è sospetto. Sarà senz'altro una grossa difficoltà il peso di quest'inerzia di secoli, ma la Chiesa è chiamata anche qui ad essere lievito di nuova realtà. Rifiutarsi significa perdere contatto con la realtà, rimanere estranea alla storia umana, rinunziare ad essere continuazione di Cristo, parola che vivifica.
don Luigi
in La Voce dei Poveri: La VdP ottobre 1971, Ottobre 1971
Luigi Sonnenfeld
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