Dispiace che un discorso chiaro e appassionato nei confronti della realtà storica della Chiesa sia scambiato ostinatamente per polemica. Non si dicono certe cose per prurito di contestazione, di contrasto ad ogni costo, di vana mormorazione. Per noi è soltanto Amore, e vorremmo anzi esprimerlo in modo molto più forte e deciso, secondo lo stile così preciso e immediato di Gesù, con la sua stessa fedeltà alle cose del Regno di Dio. Nella parola e nell'azione.
Se i nostri fratelli sacerdoti o cristiani (e sono diversi) si induriscono di fronte al nostro discorso che nasce unicamente dalla concretezza del vivere quotidiano insieme ai nostri fratelli, dalla preghiera raccolta come dono meraviglioso di Dio nelle nostre giornate segnate di lavoro, di accoglienza, di attenzione agli altri, se si induriscono perché hanno l'impressione di qualcosa di sbagliato, questo ci fa dispiacere, ma non ci ferma.
Una cosa deve essere molto chiara e per noi evidente: non cerchiamo i nostri vantaggi, non diciamo le cose che possono contribuire al nostro star bene, non ci interessa di noi. L'impegno, la consacrazione, la scelta è per la Verità: quella che ci ha rivelato Gesù Cristo e che va resa vita e storia vissuta.. Verità che non pensiamo affatto di «possedere», ma dalla quale avvertiamo di essere raggiunti e sospinti incessantemente a «gridare dai tetti quello che ci viene sussurrato all'orecchio». Preferiamo perciò rischiare di sbagliare, piuttosto che fare i finti sordi.
Tutto questo è per introdurre una riflessione amarissima, pesante e a volte angosciosa su una «maledizione» che la Chiesa di Gesù Cristo nella sua storia attraverso lo scorrere del tempo si porta addosso e dalla quale non sembra seriamente e definitivamente decisa a liberarsi. Maledizione che Gesù stesso ha sperimentato nella sua vita e superato nella Fedeltà all'Assoluto Valore di Dio, proponendo così attraverso la sua stessa carne una linea ben precisa di azione e di presenza dentro la storia umana.
Maledizione del Potere: demonio terribile, dalle mille forme e dai mille volti, sempre pronto ad insinuarsi fra le pieghe del nostro cuore e a prendersi campo, fino a diventare «struttura storica» della vita dei cristiani che per essenza sono chiamati ad essere non coloro che dominano e comandano, ma coloro che servono. «Non sono venuto per essere servito, ma per servire»: non per essere il Padrone, ma lo schiavo. L'Amore di cui parla tutta la storia di Gesù, l'Amore che ci è offerto dalla grotta di Betlem, dall'officina di Nazaret, dalle strade sassose e assolate della Palestina, dalla nudità di una croce e di quattro chiodi è Amore spogliato di qualunque ombra di potere, di dominio, dì forza, di affermazione di un diritto, di privilegio.
E' Dono puro e assoluto.
La Chiesa - il popolo di Gesù, la famiglia dei suoi fratelli e delle sue sorelle - avrebbe dovuto mantenere il cuore lucido di fronte a qualunque possibile tentativo di penetrazione da parte dell'avversario più pericoloso, più terribile, più mortale qual'è il Potere.
Se è vero che «Dov'è carità e amore, lì c'è Dio» è altrettanto vero che dov'è Potere Dio non c'è. Se c'è un «Beati» per «i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati e gli assetati di giustizia, i perseguitati», c'è anche un «guai» per i ricchi, gli oppressori, i violenti, gli sfruttatori, i persecutori di ogni tipo. E' duro sentirci dire queste cose, ma non possiamo sottrarci davanti alla luce della verità evangelica, né tentare di addolcirla: la Verità in questione non è un sistema di pensiero, un insieme di idee, una sapienza culturale, ma il Figlio del Padre fatto uomo. E di fronte a Lui la scelta è inevitabile: o diviene la «pietra angolare» su cui costruire la propria storia oppure diventa pietra d'inciampo, segno di contraddizione, ostacolo ai propri passi.
La vita della Chiesa è legata a questo Mistero di Incarnazione del Figlio di Dio, alla sua esistenza umana senza potere, all'infuori di quello di perdonare i peccati, annunciare il vangelo ai poveri, rimandare in libertà i prigionieri, ridare la vista ai ciechi, resuscitare i morti, dare la vita per i propri amici. E' il Potere che nasce dal cuore di Dio, che lo manifesta al mondo come Amore assoluto, come Colui che di continuo alimenta la vita e la custodisce. E' lo stesso Potere di cui Pietro può dire allo storpio di Gerusalemme: «Non ho né oro né argento; ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo di Nazareth alzati e cammina» (Atti 3,6). La Chiesa, oggi, non può ripetere le stesse parole a fronte alta, e non solo per la storia passata, ma anche per tutto un insieme di realtà nelle quali tuttora è compromessa. Le sue mani non sono davvero come quelle di Pietro, nude, segnate di fatica, libere dal demone dell'oro; e anche il suo cuore non è ricolmato unicamente dall'Amore per il Suo Signore. Essa, a vari livelli e in misure diverse, continua a vivere in una vera e propria prostituzione, legata com'è al Potere maledetto del denaro, degli interessi politici, del militarismo, del possesso. E' Chiesa dei poveri, degli umili, dei piccoli, degli oppressi, perché c'è tutto un popolo fatto così che le appartiene e ne è parte viva; ma è anche Chiesa dei ricchi, dei padroni, degli sfruttatori, dei forti, dei potenti, dei servi del dio delle casseforti, degli eserciti, dei compromessi politici. Essa porta nel suo seno la Beatitudine dell'Amore e insieme la maledizione del Potere. Ed è la sua misteriosa volontà di restare imbrigliata in questa maledizione che l'ha resa e la rende ancora, nel cammino degli uomini, «tomba di Dio» anziché seme di vita, di liberazione, di resurrezione incessante.
E' questa maledizione alla quale si prostituisce che la fa apparire agli occhi dei poveri un «ostacolo storico» da abbattere e spazzar via, perché la strada verso la Giustizia non passa fra le sue mura.
In questo, essa veramente è «satana», come Pietro dinanzi a Gesù che gli manifestava il compimento del suo dono d'Amore per gli uomini attraverso la Croce: «Allontanati da me, Satana, perché tu non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Marco 8, 31-33).
E' contro questa Chiesa, per Amore, nella Fedeltà a Colui che è l'unica ragione della nostra vita, che intendiamo lottare ad oltranza. In noi prima di tutto, ma anche fuori di noi.
don Beppe
in La Voce dei Poveri: La VdP ottobre 1971, Ottobre 1971
Luigi Sonnenfeld
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