Giustizia e ingiustizia nel Vangelo

Anche questa volta la nostra testata «La voce dei poveri» si trova, come già nel numero precedente dedicato al Sacerdozio, ad essere espressione di tutto un problema. Mai come in queste pagine vorremmo essere responsabilmente voce dei poveri.
Perché quando si tratta, di giustizia nessuno ha diritto alla parola, ad avere una voce fino a potere e dovere gridare sui tetti come e quanto i poveri.
Chi può dir qualcosa intorno alla giustizia è chi ha sempre sofferto l'ingiustizia, è chi è stato oppresso e schiacciato dall'ingiustizia.
Chi ha diritto perché bisogno estremo, immediato, irrimandabile di aria buona, di ossigeno, è chi è come un affogato in mare, chi ha da sempre il cappio al collo dell'impiccato.
E' lo schiavo che può dir qualcosa su cos'è la libertà e può indicare in cosa consiste la sua liberazione: dove finisce la sua schiavitù e dove si inizia la sua libertà.
E' l'affamato che sa bene cosa vuol dire la fame e fino a quali misure può arrivare il suo bisogno e il suo diritto a mangiare.
Che i poveri siano l'ingiustizia è constatazione chiara, lampante. Anche se ne è convinto e ne sa qualcosa perché la subisce e ne è schiacciato soltanto chi è povero.
Semmai bisognerebbe chiarire chi è che è povero e in cosa consista la povertà e dove e quando è povertà che porta in sé, quasi connaturata e diventata tutt'uno con questa povertà, l'ingiustizia.
E qui, come è sempre successo, il discorso può diventare complesso, artificioso, intellettualistico, furbesco e spaventosamente penoso, specialmente perché viene sempre fatto da chi sta bene, da chi ha un presente e un avvenire sicuro, poggia il suo esistere su solide basi e la sua tavola da pranzo su gambi sicuri.
Il povero: ma chi è povero? E piovono giù le distinzioni, le precisazioni, le argomentazioni più impensate e più gratuite fino al punto che va a finire che i poveri sono dei fortunati nella vita e i ricchi invece dei poveracci che devono portare il peso del mondo sulle spalle con la fatica di dividerselo fra loro e l'incombenza di darne le briciole agli altri: ai poveri, per esempio, i quali sono i fortunati che hanno per destino sempre quello di ricevere mentre i ricchi hanno per destino sempre quello di pagare e qualche volta anche di donare.
Ma lasciamo andare e torniamo alla giustizia. Si diceva che i poveri sono l'ingiustizia. E se questo è chiaro si deve concludere che i ricchi sono la giustizia. E questa affermazione è così vera che nella storia i ricchi, i potenti, si sono, oltre a tutto, accaparrati anche la giustizia fino al punto che ogni attentato (di qualsiasi specie) a loro e ai loro privilegi è sempre stato considerato e giudicato e quindi trattato come un'ingiustizia (anche dai manuali di storia delle scuole, oltre che dai trattati di morale in mano al clero fino ai nostri giorni).
Il risultato è che i ricchi, i Mammona (per intenderci con parola riassuntiva del Vangelo) hanno sempre avuto anche la ricchezza della giustizia (e la migliore e più facile possibilità della "carità"), i poveri (quelli che sono indicati con parola «beati» nel discorso della montagna di Gesù) sono sempre rimasti più poveri anche perché a loro riservata e ormai connaturata è diventata l'ingiustizia, fino al punto che qualsiasi cosa facciano per respirare, per svincolarsi dal collo il cappio, è stata sempre giudicata e quindi sistematicamente trattata da tentativo ingiusto e cioè come una vera e propria ingiustizia, da «giustiziare» sempre in ogni modo e senza scrupoli.
In fondo - e è constatazione amarissima - questo mondo conosce e apprezza e accetta soltanto un solo passaggio obbligato, un'unica via, una sola possibilità di arrivare dall'ingiustizia alla giustizia: non essere più poveri e diventare ricchi.
Perché è la ricchezza, secondo il criterio comune dei ricchi e dei poveri (e degli ecclesiastici) che decide circa la giustizia e l'ingiustizia.
Quindi - e la conclusione è sconcertante, ma disgraziatamente anche troppo evidente - l'ingiustizia è la povertà (e più ancora proporzionalmente la miseria) e la giustizia è la ricchezza.
Ciò che Gesù Cristo ha rovesciato (e lo scandalo è stato gravissimo e gli è costato la Croce e ogni volta che questo scandalo avviene è sempre a prezzo di croce, pagato in un modo o in un altro) ciò che Gesù Cristo ha rovesciato (rivoluzionato, si direbbe oggi) è che insieme alla povertà Lui ha unito la giustizia e tutt'uno con la ricchezza (in tutto quello che ricchezza è e comporta) Lui ha considerato, giudicato e condannato l'ingiustizia.
Gesù Cristo e cioè il suo essere Dio che ha «annientato» fino all'obbedienza e all'obbedienza della Croce (povertà totale, suprema). Come uomo fino a respingere la ricchezza come Satana. E a scegliere per sé (e per i suoi) la povertà più sconcertante, dalla stalla di Betlem alla nudità della Croce.
Gesù Cristo della Fede cristiana: il servo-Figlio di Dio, l'Amore totale per ogni uomo, per tutta l'umanità.
Lui solo può dichiarare dove è giustizia e ingiustizia.
Chi è giusto e chi è ingiusto.
E nel Vangelo si annuncia con estrema chiarezza: ingiustizia la ricchezza nei confronti di Dio, come contrapposizione a Lui, come alternativa letteralmente paragonabile ad un fatto idolatrico di fronte al quale è giocoforza scegliere, perché è inevitabile, che si adori l'Uno e si disprezzi l'altro e viceversa.
Ingiustizia la ricchezza nei confronti del prossimo in quanto affermazione egoistica: e cioè radicale annullamento dell'«altro» fino a non accettare di non essere prossimo all'altro: e questo «altro» è nientemeno che fratello, a tutti i livelli: dall'avere in comune il Padre fino al prezzo di pane, al bicchiere d'acqua, il vestito ecc.
Cristianesimo è la condanna e la respinta di questa ingiustizia e l'affermazione della giustizia che arriva fino alle misure dell'Amore: Amore a Dio e all'uomo. E qui è l'unico comandamento, questa è la Volontà di Dio, qui sta la verità e la dignità dell'essere umano. Questa è la legge. (Che sono tutte le altre leggi se non per sistemare l'ingiustizia in parvenze di giustizia?). E qui stanno tutti i profeti (evidentemente non gli avvocati, i professori di diritto, i sistematori della morale legalitaria, ecc. e nemmeno le cosiddette forze dell'ordine, i tribunali, i giudici sempre trovabili per rendere giustizia in base e in forza di leggi appositamente emanate perché sia giustizia l'ingiustizia: è spaventoso e orribile nella storia questo far le leggi capaci e fatte apposta per rendere giustizia l'ingiustizia, giusta la violenza, la repressione, la schiavitù di popoli, lo sfruttamento, l'affamamento, l'assassinio politico ecc.) e ingiustizia la lotta di liberazione, l'abolizione di privilegi, la difesa della dignità dell'essere umano, l'uguaglianza fra i popoli, la pace nel mondo, ecc.
Non per nulla è Lui, Gesù Cristo (quello che sdolciniamo sacrilegamente in immagini irriconoscibili di parole e di dottrine devozionali e alienanti e in figurazioni spesso oscene di una religiosità sentimentale) è Lui, Gesù Cristo che giudicando e giustiziando tutti i criteri di giudizio della storia, tutti i codici zeppi di leggi del giuridicismo di dominio di tutta l'umanità, tutti i tribunali rizzati su dall'interesse maledetto d'imporre e di mantenere l'ingiustizia come giustizia, giudicherà il mondo, l'umanità e tutta la sua storia, nell'ultimo giorno (ma ogni sera è l'ultimo giorno).
Non sarà un giudizio sull'Amore fra gli uomini come normalmente si dice e si predica, ammorbidendo sentimentalmente anche il giorno del giudizio universale e le norme che questo tribunale supremo e senza appello userà come criterio assoluto.
Questo giudizio sarà sulla giustizia e l'ingiustizia rovesciando (già come nelle Beatitudini, ma allora come indicazione struggente di Amore e ora come implacabile risoluzione definitiva) rovesciando le parti fino al punto che la povertà (il non possedere nulla, ma l'essere stati derubati di tutto) è di per sé giustizia e il tribunale non è per ciò che è già giustizia. E così tanto giustizia che quella povertà il giudice la identifica con se stesso.
Per la ricchezza è il tribunale, per la proprietà, il possesso, il dominio, la padronanza...
E non sulla «carità» di aver dato qualcosa o no. Ma sull'avere o no mantenuto questa posizione ingiusta del possedere e del tenere per sé o no. Dal separare gli altri dal «tuo» e quindi da te o dal metterli a partecipare del tuo e quindi di te.
Insomma il giudizio sarà sul mantenimento o sul superamento del divisorio così invalicabile del mio è mio e anche ciò che è tuo (il pane, l'acqua, il vestito, ecc.) è mio.
E sarà un bruciare con fuoco inestinguibile (perché definitivamente la giustizia sarà giustizia) la ricchezza, la proprietà, il dominio, l'egoismo, il classismo, il razzismo... con tutto l'apparato così sapientemente e prepotentemente organizzato perché questa spaventosa ingiustizia sia sempre potuta mascherarsi di giustizia.
Ma l'ultimo giorno è perché si sappia come dev'essere ogni giorno.
Il cristiano, quello nato a Betlem in una stalla e morto nudo sulla croce e risorto ogni volta che mangia e bene della Resurrezione di Cristo, il cristiano non può non portare nel suo destino l'indicazione esatta della giustizia e della ingiustizia colta nel Cuore di Cristo e imparata nelle Beatitudini e in ogni pagina del Vangelo e lottare perché avvenga nella storia il giudizio dell'ultimo giorno perché questa lotta è Amore ai fratelli come è vero che «l'unica Carità che si può avere per i ricchi è costringerli a passare dalla cruna dell'ago». Perché è di lì unicamente che possono entrare nel Regno dei Cieli.
I Segni dei tempi e ormai non più soltanto i segni ma la realtà dei tempi nei quali viviamo e sicuramente molto di più in quelli che verranno, dichiarano che il discorso sulla giustizia e sull'ingiustizia non corre più lungo le leggi, i codici, i legislatori, ecc. secondo cioè i millenni di storia che hanno stabilito, con una carenza impressionante di secolo in secolo, di regime in regime, di civiltà in civiltà, di codice in codice, una linearità mai interrotta anche se temporaneamente spezzata, da movimenti, ribellioni, rivoluzioni, scontri e guerre fino ai nostri giorni (spezzata ma immediatamente ricucita) una linearità codificante perpetuamente la giustizia in base e a seconda del diritto vigente (sempre quello della potenza, della forza, della ricchezza, della proprietà, del possesso, ecc.).
Questa giustizia a misura d'uomo, di regimi politici ed economici, di potenza e di ricchezza, di privilegi e assolutismi... sta andando sempre più in crisi. E la conservazione (qualsiasi denominazione abbia - da qualsiasi forza sia sostenuta) fatica a vuoto, nonostante tutto a mantenere l'impalcatura sulla quale fin qui la giustizia ha dettato le sue leggi per dichiarare in arresto l'ingiustizia e condannarla.
E' difficile sapere o intuire su quali basi, con quali criteri, su quali forze sarà possibile contare perché realmente una buona volta il rovesciamento si compia, la nuova giustizia capace di rendere giustizia a tutto ciò (e i valori s'iniziano alla radice dell'uomo e corrono per tutto l'arco dell'esistere umano) che fin qui da sempre ingiustamente è stato giudicato - con tutte le conseguenze fino alle più spaventose - ingiustizia.
Noi cristiani però sappiamo bene chi questa rivoluzione ha iniziato, predicato, sostenuto fino alla Croce.
Noi cristiani conosciamo bene (o almeno si dovrebbe) quell'unica legge che stabilisce in termini inequivocabili (nonostante gli studi degli studiosi e le sbriciolanti e confusionistiche chiarificazioni dei canonisti e dei moralisti) cos'è la giustizia e l'ingiustizia e dove si annida la cosiddetta giustizia e dove abita di casa come inquilina permanente la cosiddetta ingiustizia.
Si tratta semplicemente di chiudere una storia di equivoco e di compromessi in cui risulta molto dolorosamente che Gesù Cristo non è una precisa concreta giustizia che nasce insieme al suo nascere da Dio e, nel tempo, dal suo nascere da Maria, fino a poter guardare a Lui come alla giustizia prima e assoluta, fino ad essere capace di rendere giusti tutti gli uomini (salvati cioè dall'ingiustizia davanti a Dio e davanti agli uomini col suo essere l'Amore che viene da Dio e si dona a tutti gli uomini) e tutti gli uomini costituisce figli di Dio e fratelli fra loro.
Si tratta semplicemente di cancellare l'equivoco circa la sua parola (la Parola che Lui è e la parola che Lui esprime e grida) interpretata così disinvoltamente come esortativa e devozionale, offendendo in questo modo a morte la Sua Parola che è Parola di creazione dell'uomo nuovo, della nuova esistenza, quella nata dall'acqua e dallo Spirito Santo.
Diversamente ogni possibilità di presenza incisiva, creativa, che sia veramente salvezza e cioè liberazione totale dell'uomo, il cristiano e tanto più la Cristianità, la sta progressivamente perdendo e in maniera irrecuperabile, storicamente parlando.
Vi sono occasioni nella storia che a perderle non si ritrovano più e segnano perdite imperdonabili di doni di Dio e di miracoli di Spirito Santo.
Anche la storia della Chiesa (cioè della continuità visibile del Mistero di Cristo nel mondo, della testimonianza della sua Risurrezione e quindi nel suo essere vivo e vivente fra gli uomini) anche la Chiesa nel suo camminare si trova davanti ad un crocevia: è inevitabile una scelta.
Nel nostro momento, il crocevia davanti al quale la Chiesa, la cristianità, il sacerdozio, il cristiano si trova è quello segnato da una strada sulla quale il cartello indicatore porta inchiodato il Vangelo con sopra scritto a lettere di sangue: Giustizia e ingiustizia, e un'altra strada sulla quale il cartello indicatore è carico di codici stampati dove è scritto a pagine e pagine senza fine: giustizia e ingiustizia.
Il prossimo Sinodo (ma tutta la Chiesa) speriamo che chiarisca (e basterebbero poche parole) cos'è giustizia e ingiustizia, dov'è la giustizia e l'ingiustizia e dichiarare qual'è la giustizia che è ingiustizia e l'ingiustizia che ha il diritto di essere considerata e cercata e liberata perché è giustizia.
Dopo duemila anni sarebbe l'ora (e per grazia di Dio sta urgendo, è alla porta) che questa Parola fosse di nuovo chiaramente e coraggiosamente fatta carne e gridata sui tetti all'umanità intera.
Anche se per questa Parola vi può essere già preparata una Croce.

don Sirio


Il ricco sovente commette ingiustizia e poi grida come se fosse l'offeso, il povero è maltrattato e deve chiedere anche perdono (Eccl. 4,9)




in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1971, Settembre 1971

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