La condizione operaia condizione d'ingiustizia

Come sacerdoti che vivono una vita di lavoro, ci è sembrato un dovere dire qualcosa sulla condizione operaia.
Sono riflessioni semplicissime, pensieri sparsi, che non hanno davvero la pretesa di esaurire un argomento cosi grosso tantomeno di presentare delle ricette per una soluzione.
Sinceramente, ci sembra di balbettare. Ma ci è parso giusto cercare di dire chiaramente, anche se in maniera incompleta, su quali linee vogliamo impegnarci perchè il mondo operaio sia sempre più radicato nella Giustizia.
Vivendo di un lavoro operaio, come salariati, è subito evidente il fatto di trovarsi dentro un sistema dove l'ingiustizia è una condizione permanente, continua.
La giustizia esiste come aspirazione, come desiderio profondo, come molla potente di tutta una lotta: le sue conquiste sono sempre frutto di una dura fatica, come una strada aperta nel vivo della roccia.
Il mondo operaio, - in genere tutto il mondo del lavoro - ricerca, dal profondo della sua storia, una soluzione che sia di autentica «giustizia», una risposta a ciò che di più vero e di più bello matura e cresce nella coscienza di ogni uomo.
Noi pensiamo di poter offrire onestamente la nostra testimonianza di sacerdoti che vivono nella condizione operaia, denunciando in nome di Gesù Cristo, figlio di Dio e fratello di tutti, il carico d'ingiustizia che i sistemi della nostra cosiddetta civiltà impongono alle spalle dei poveri.

SFRUTTATORI
La grossa ingiustizia del mondo operaio - quella più evidente e più pesante - è di essere in mano a tutta una serie di uomini (individui e gruppi) che approfittano del loro potere economico per arricchirsi col sudore degli altri.
Il «padrone» o i «gruppi azionari» sono l'anello più grosso della catena che inchioda al ceppo dell'ingiustizia tutti coloro che vivono di un lavoro salariato: in nome di un presunto «diritto di proprietà» - che non è altro che legge del più forte - essi sfruttano il lavoro, la fatica, i rischi, l'intelligenza, l'iniziativa di quelli che essi trattano come i loro servi.
Considerano «propria» la fabbrica, il cantiere, la azienda, che invece è di tutti quelli che vi operano: il fatto di possedere denaro li autorizza a disporre a loro piacimento della produzione, degli orientamenti commerciali, delle assunzioni, dei licenziamenti, dell'economia dell'azienda.
Il guadagno venuto fuori da tutta una fatica e uno sforzo comune, finisce nelle loro casseforti private: sono ladri, autorizzati legalmente a rubare.
E' logico che per reggere un simile sistema essi hanno bisogno di numerosi «Fedeli servitori» - che non mancano in nessuna azienda - pronti a ragionare non in base alla loro coscienza di uomini, ma unicamente in forza dell' interesse, della «ragion di stato», dello egoismo.
Tutto questo contribuisce a rendere il luogo di lavoro una "caserma" circondata di cancellate, recinti: un posto dove non si va volentieri, consapevoli di compiere un'opera di libera e responsabile partecipazione allo sviluppo della vita, della creazione, del progresso; ma dove si entra come sotto un giogo, spinti dalla necessità del pane quotidiano.

SFRUTTATI
Il grosso del mondo operaio e salariato è fatto di un intero popolo sfruttato: uomini e donne (con le loro famiglie alle spalle) che sono derubati della loro dignità, della libertà, del rispetto, dei frutti delle loro fatiche quotidiane.
La fabbrica, l'azienda, il laboratorio è di loro, proprietà comune, e attraverso di loro è dell'intera comunità umana che essi sono chiamati a servire e a far sviluppare. Invece che primi artefici del lavoro, essi si ritrovano ad essere numeri di un sistema che sfugge loro di mano e finisce per schiacciarli fisicamente e moralmente e spesso li rende complici del sistema che li sfrutta a causa dell'attrattiva potente del «dio quattrino».
La nostra scelta è di stare con loro, di vivere come loro, di essere di loro: tra chi sfrutta e chi è sfruttato la scelta cristiana è chiara e indiscutibile. Vogliamo assumerci il peso di questa condizione per mettere dentro questo popolo di cui siamo orgogliosi di poter far parte la forza del lievito di Cristo, la spinta rivoluzionaria dell'amore di Dio, il soffio della Libertà e della Giustizia di colui che è Padre di tutti e vuole tutti fratelli.

LOTTARE
Questa situazione di «ingiustizia radicale» va combattuta: non può essere accettata, «giustificata», benedetta. Esiste da tanti secoli la «lotta di liberazione» dalla schiavitù: essa è un dovere, un atto d'amore allo uomo, alla sua dignità di creatura e di figlio di Dio.
Il mondo del lavoro conosce bene questa lotta: la porta avanti da tempo, l'ha pagata con prezzi durissimi, anche di vite umane. Essa ha il sapore amaro del sangue, del carcere, delle percosse. E' la storia di una speranza senza fine.
Forse oggi, nel nostro mondo occidentale, in questa civiltà spesso cosi assurda e cosi venduta al denaro, questa lotta rischia di finire in una pura rivendicazione economica, per una migliore sistemazione dentro la struttura del sistema.
E' chiaro che questa lotta contro la «radice» del male, va fatta insieme, con unità, con partecipazione cosciente di tutti.
Ci sono obiettivi chiari di questa lotta, per i quali vogliamo offrire il nostro contributo e il nostro impegno, a seguito dei valori scoperti nel Vangelo.
1 ) - Il «padrone» (individuo o gruppo) deve sparire dalla vita operaia. Un uomo non può essere padrone di un altro, del suo tempo, della sua intelligenza, della sua fatica.
2 ) - La fabbrica, l'azienda, deve essere una «comunità di lavoro», dove tutti sono ugualmente responsabili e partecipi. La fabbrica è di tutti: tecnici, operai qualificati, manovali, impiegati. Non devono esistere categorie o «classi» all'interno, ma solo una divisione di competenze.
3 ) - Le assunzioni, i licenziamenti, l'orientamento produttivo, le modifiche del lavoro sono tutte decisioni da prendersi attraverso la riflessione comune.
4 ) - Il guadagno netto deve essere diviso fra tutti in parti uguali.
5 ) - Il lavoro deve acquistare il suo vero senso di partecipazione creativa al progresso umano, di costruzione del mondo, di servizio all'intera comunità umana. Pur nella fatica, nel rischio, nelle difficoltà che esso comporta, l'uomo che lo fa non dovrà aver l'impressione d'essere uno «schiavo» che vive in una prigione, più o meno dorata. Il lavoro ha una sua armonia, ha bisogno di tempi di riposo, di soste, di pause.
La «produzione» non deve essere la prima e quasi esclusiva regola del lavoro operaio.
Dire queste cose è come raccontare un sogno; ma poiché certamente questa è la «Giustizia» a cui il mondo operaio ha diritto, lottare per renderlo realtà è semplice e urgente dovere di fedeltà all'uomo e a Colui che l'ha creato non perchè fosse schiavista o schiavo, ma libero e fratello di tutti.



Mario, Giuseppe e Beppino



in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1971, Settembre 1971

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