Un prete uguale per tutti


Sono molti a credere che la crisi del prete si identifichi con la perdita di un suo ruolo specifico in mezzo agli uomini. Da una posizione chiara e indiscutibile si è lentamente confinati su posizioni ambigue: una nota sempre più stonata, sempre meno sopportata.
Da qui tutto uno sforzo per recuperare il terreno perduto e ritrovare la precedente condizione.
Fino ad ora il prete era ministro di un signore potente e conosciuto. Come tale godeva di diversi privilegi che insensibilmente sono divenuti, almeno di fatto, dei veri e propri diritti (comunque pretesi come tali). Ora che la potenza rappresentata è resa insignificante agli occhi degli uomini (ed è terribile pensare alla responsabilità di questi ministri), il problema è quello di conservare il proprio stato e di non essere, a loro volta, svalutati agli occhi di tutti. Gente incapace di capire che un rovesciamento di posizione può nascondere la volontà del signore di essere rappresentato in ben altro modo.
Per esempio una delle cose date per scontate e che costituivano un preciso punto di riferimento, era il fatto che il prete fosse uguale per tutti. Dispensatore della giustizia divina era accolto come arbitro nelle questioni più diverse sia da chi rifiutava, per proprio tornaconto, ogni confronto diretto, sia da chi, vivendo nell'ignoranza, temeva la virtù sacra delle leggi. Cresceva cosi questa figura più che rivestita, direi corazzata di neutralità con tutta una serie di attributi, di qualifiche, di particolarità che la estraniavano dal mondo degli uomini per darle un alone di purità. Una neutralità evanescente, destinata ad essere assorbita dal polo di attrazione della proprietà e quindi del potere; senz'altro il polo più forte.
Cosi nello stretto rapporto di servitù instaurato nel M. E. tra suddito e principe. Ed ancor più nell'epoca moderna in cui il prete si è inserito addirittura in uno strato ben qualificato della società: la borghesia, il ceto medio, facendo così una cosciente scelta di classe ben motivata da una precisa fedeltà ad un ruolo di neutrale mediazione.
Venivano fuori le figure di preti tesi a sanare la divisioni tra famiglie e tra paesi, nonostante costasse il sacrificio delle persone più deboli, e, nella tensione sociale nascente, le campagne e i sobborghi venivano disseminati di immagini di Madonne Addolorate e di Cristi sul Calvario. La umiliante sopportazione dei poveri e il furbo silenzio dei ricchi erano le richieste di questo mediatore di pubblica tranquillità che, in molte occasioni, è stato il prete.
La Risurrezione, prima di essere un mistero perduto nei cassetti dei teologi, è stata la grande realtà assente nella fede e nell'annuncio della Chiesa di questo periodo. La Risurrezione dimenticata: quasi a significare lo sforzo per impedire ogni novità di vita capace di rovesciare lo equilibrio faticosamente raggiunto.
E l'equilibrio si è rotto. Non per la forza della fede, ma per l'inarrestabile cammino della storia. E' difficile essere l'uomo di tutti in una realtà sbriciolata come quella d'oggi. Il pianto sommesso dei poveri è divenuto il boato di una folla che non si riconosce più nei cuori trafitti. I ricchi non si fidano più di una Chiesa già monolitica nelle sue manifestazioni ed ora incapace di reggere al dubbio e all'opinabilità.
E' duro per questo poveruomo che è il prete, essere uguale per tutti.
Spera di poter legare tra loro padri e figli, ed è sopraffatto dalla richiesta di soddisfazione e di sistemazione. Sogna di poter essere punto di incontro tra ricchi e poveri, e si scontra con una sempre maggiore politicizzazione di rapporti. Si rompe la testa contro quel gran muro che è il sistema richiamandosi alla coscienza personale quando è quella stessa coscienza addormentata dai precetti e dalle leggi, svuotata dalla mancanza di ogni responsabilità in ordine alla fede.
Sarebbe povero tra i poveri questo prete carico di insuccessi se accogliesse questa nuova condizione di impotenza. !'
C'è invece chi non si rassegna e cerca impossibili recuperi, cedendo inevitabilmente sempre più al potere e alla forza del denaro che si infiltra sottile ad avvelenare ogni ricerca che non sia totalmente disinteressata.
E' duro perdere ciò che ci appartiene di «diritto», e soprattutto la posizione che di «diritto» ci si è conquistata davanti agli uomini. E' duro per un prete operare una scelta precisa in ordine ad una realtà di povertà. Come per un impiegato dover lavorare con le mani.
E' duro, ma ordinato ad una indicazione del Vangelo che non lascia dubbi: la scelta di Gesù per la vera giustizia.
Gesù si è incarnato ed è vissuto in una condizione umana di chiara povertà. Come ogni scelta di Gesù anche questa non è fine a se stessa. E' scelta di una situazione umana di ingiustizia perchè diventi, in tal modo, in quanto condivisa da Dio, situazione di vera giustizia. E' scelta di tale condizione, non per un rivestirsi di virtù, ma in ordine ad una chiara relazione di fede, perchè la povertà è la più grande affermazione esistenziale della presenza di Dio come Colui che è Tutto, in opposizione alla ricchezza che, in questo senso, è altrettanto chiara indicazione di un calare di fede.
Se il sacerdote è segno di Cristo nella totalità della Sua esistenza e deve riprendere i valori accolti da Cristo per offrirli con la propria vita, si trova davanti la scelta della povertà come il valore iniziale. Una povertà globale che abbraccia con uno sguardo di fede ogni frammento della propria vita perchè sia sempre più precisa indicazione che Gesù è il Signore.
Questa scelta va resa concreta ogni giorno di più per un precisarsi sempre crescente, fino ad accogliere oggi il problema di una scelta di classe, non per una opzione politica, ma per motivi di fede avendo riscontrato la coincidenza tra una classe e la condizione umana di povertà.
E' su questa strada che il sacerdote può veramente essere uguale per tutti. Non uguale nel senso della giustizia amministrata dagli uomini, ma uguale per una spinta di amore che raggiunge tutti per una totale comunione di fratelli.
Uguale non perchè tende all' equidistanza, ma in quanto fa suo l'estremo in stato di ingiustizia perchè possa essere accoglienza totale di giustizia.
Uguale non perchè sogna un astratto interclassismo, ma in quanto opera una scelta concreta motivata dalla fede, allungata a tutti nell'amore, resa presenza assoluta di Dio nella condizione di povertà.
don Luigi


Chi sono gli autori degli scandali, se non quelli cui accenna l'Apostolo Paolo quando scrive: «Essi fanno i loro interessi e non quelli di Gesù Cristo».
S. AGOSTINO


in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1971, Settembre 1971

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