Come per lo schema di lavoro «sul ministero sacerdotale» del prossimo Sinodo dei Vescovi, abbiamo cercato - e, lo speriamo vivamente, con umiltà e semplicità e con Amore sincero alla Chiesa - di manifestare il nostro dissenso su alcuni punti, anche fondamentali riguardanti il Sacerdozio e di offrire, senza curarci della possibile utilizzazione o no, alcune nostre riflessioni e proposte, così intendiamo fare anche per lo schema del secondo tema che sarà trattato dallo stesso Sinodo: la giustizia nel mondo.
E' vero che non abbiamo particolare preparazione scientifica e culturale per un tema del genere e non possiamo né volutamente vogliamo rifarci per le nostre considerazioni al trattato «de justitia» studiato nel corso teologico del Seminario per l'amaro ricordo di orrore che quelle aritmetiche e geometriche tesi moralistiche ci hanno lasciato nell'anima e nella sensibilizzazione che doveva essere teologico-morale, della nostra educazione sacerdotale.
Non siamo però influenzati dalla necessità di voler salvare qualcosa o difendere posizioni faticosamente acquisite o privilegi ormai connaturati.
Non crediamo ai mezzi ricchi (cioè alle risorse specialmente economiche e di potenza che la nostra civiltà offre e che stipulazione di trattati legalizza facendone disinvoltamente realtà di giustizia da non poter mettere più nemmeno in discussione).
Viviamo da povera gente e cioè mantenendoci col lavoro delle braccia, abbandonati all'andamento economico di ogni giorno, sottostando agli sfruttamenti come succede a chi lavora per l'arricchimento degli altri, partecipi assai (ma certamente ancora non nella misura giusta) alle condizioni del vivere umano che soffre l'ingiustizia, ma che deve affidarsi a tutti quelli che dicono di essere la giustizia fino al punto che è perfino giudicata e repressa come «ingiustizia» anche soltanto il mettere in dubbio quella «giustizia».
Leggiamo i giornali - per quanto riusciamo - anche noi e viviamo questa povera umanità affamata, oppressa, schiavizzata che per il fatto di avere fame, di essere sfruttata e dì ribellarsi, di essere in catene e di tentare di spezzare le sbarre della propria schiavitù, viene fatta passare come belva feroce, «giustamente» (cioè per il bene comune) mantenuta in condizioni di non nuocere e cioè d'impedimento che salti fuori e si mangi e si divori tutta «la giustizia» di una civiltà e di un benessere così faticosamente accumulato in secoli e secoli e millenni di spaventosa, indicibile ingiustizia.
Leggiamo anche noi il Vangelo e cerchiamo fra le tante cose, ma specialmente, di scoprirvi e adorarvi Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo fino a farne realtà di Fede e di Amore e di Speranza da giocarvi interamente la vita. Ma non soltanto per cogliervi le possibilità e i sacramenti della salvezza eterna, ma anche le indicazioni per la costruzione esistenziale della vita, precisamente della vita cristiana, nei suoi rapporti con Dio concretamente vissuti e nei rapporti di esistenza vissuta in comunione con l'umanità intera.
Pensiamo che sia lì, nelle pagine del Vangelo e cioè nel Pensiero, nella Parola, nella Vita e quindi in Gesù Cristo perché Lui è Pensiero, Parola, Vita, il tutto unica realtà senza la minima ombra di dissonanza, pensiamo che noi Chiesa, continuità storica del suo vivere la vita dell'umanità, sia in Lui che dobbiamo cercare di sapere con esatta discriminazione cos'è e dove é la Giustizia e che cos'è e dove si annida il satanasso dell'ingiustizia.
Prima del pensiero di Paolo VI e di Giovanni XXIII e di Pio XII e di Pio XI e di Leone XIII e di tutta la dottrina sociale della Chiesa, c'è Gesù Cristo.
E non è un discorso da ridere e tanto meno devozionale se è vero (come riconosce il documento) che «il problema della giustizia nel mondo è uno dei problemi più vasti, più gravi e più urgenti della società umana contemporanea. Si potrebbe anche affermare che è il problema «centrale» che preoccupa oggi la società mondiale».
E bisogna leggere tutta l'introduzione e la passione con cui sono descritti «i segni dei tempi» e «cioè le nuove situazioni storiche che comportano un nuovo impegno, quello di un sincero riesame del messaggio cristiano e di un ritorno coraggioso all'essenziale del Vangelo: in questa maniera la parola di Cristo sarà per il mondo di oggi «parola di verità e di vita».
«Infatti questi segni dei tempi hanno un'intima coerenza con la fede cristiana, che sottolinea fortemente il valore della persona umana come esigenza assoluta di rispetto e di amore, che considera come missione principale della Chiesa quella di testimoniare nella sua dottrina, nella sua vita e nella sua azione l'opera liberatrice del Cristo». E continua subito dopo: ... «la comunità cristiana deve dunque diventare per tutti gli uomini un segno efficace, attuando la giustizia, abbattendo ogni forma di schiavitù, apportando speranza a ogni generazione umana».
Ottime cose che aprono il cuore alla fiducia. E questa cresce nella prima parte «descrizione della situazione reale della giustizia nel mondo» che si risolve tutta in una assai seria analisi dell'ingiustizia nel mondo fino all'accenno cauto e rispettoso di possibilità d'ingiustizia nella Chiesa stessa. «La Chiesa» sempre renovanda «deve perciò interrogare se stessa a riguardo della giustizia, sia nei suoi membri come nelle sue istituzioni. In alcuni casi infatti sembra che determinate sue istituzioni siano dalla parte delle classi più ricche. Con grande apertura d'animo e di spirito bisognerà vedere il bene e il male, il chiaro e l'oscuro (la giustizia o l'ingiustizia, precisiamo noi) nella situazione attuale della Chiesa».
E veniamo alla seconda parte del tema promettente «la giustizia alla luce del Vangelo».
Cosa viene da aspettarsi e con viva e profonda ansietà? Semplicemente un cercar di cogliere alla luce nuova dei segni dei tempi, una nuova chiarificazione e precisazione del pensiero di Cristo circa la giustizia e l'ingiustizia.
Perché interessa sapere e va detto dalla Chiesa con coraggiosa chiarezza, anche se può suonare a sua condanna, cos'è nel Vangelo la giustizia e dov'è l'ingiustizia. Perché una distinzione chiara e netta e anche gridata con violenza e pagata fino alla Croce, Gesù Cristo, la deve pure aver precisata.
E' questa precisazione quella che conta e sulla quale bisogna verificare la giustizia e l'ingiustizia e è da questa Fede che devono nascere i doveri assoluti di lottare per la giustizia cominciando e perseverando a costo di tutto nella lotta contro l'ingiustizia,
E invece l'amarezza è terribile quando subito dopo il titolo, la prima riga di un discorso confusionario se non proprio equivoco, suona così: «Di fronte a tutte le ingiustizie che esistono oggi nel mondo non bisogna aspettarsi che la chiesa gerarchica dia delle soluzioni tecniche perfette, queste non sono di sua competenza...». Ma nessuno gliele chiede, anzi dispiace che troppe volte abbia tentato (e continuerà anche nel sinodo) a propinarle «queste soluzioni tecniche» se non altro sotto forma di raccomandazioni ed esortazioni, auspicando la manna del cielo e l'intenerimento dei cuori di quelli che sono i padroni de! mondo.
Chiediamo altro: che la Chiesa operi un giudizio sulla giustizia e ingiustizia nel mondo esattamente come l'ha operato Gesù, storicamente, sulla giustizia e l'ingiustizia del suo tempo e attraverso quel giudizio (Lui che è Dio) offrendo criteri e termini alla Chiesa per un giudizio storico in ogni tempo sulla giustizia e ingiustizia nel mondo.
Altrimenti viene in mente, inevitabilmente, Pilato che con tutto il suo giuridicismo e tatticismo arriva a lavarsene le mani sulla giustizia e ingiustizia e risolve, mettendosi l'animo in pace, con un «pensateci voi».
E il Cristo di tutti i secoli che sono le vittime dell'ingiustizia continua a morire di fame, di dissanguamento nei paesi sottosviluppati, di sfruttamento nelle miniere e nelle fabbriche, nel fondo delle prigioni, sui banchi di tortura, appiccati ad un patibolo, fucilati come erba falciata, umanità carne da macello se non accetta di essere animale da soma, vinti e schiacciati e disumanizzati dal bisogno della carota ci dalla paura del bastone.
Ma il documento conclude questo assurdo secondo capitolo sulla giustizia alla luce del Vangelo, con la materna e classica soluzione esortativa «la Chiesa esorta i cristiani ad adempiere con sollecitudine e fedeltà i compiti terreni a loro affidati, né approva (!) il modo di agire di coloro che, col pretesto dei beni della città eterna, trascurano i doveri umani. Il cristiano infatti che diserta gli obblighi terrestri, viene meno ai suoi obblighi verso il prossimo e soprattutto verso Dio e pone in pericolo la sua salvezza eterna». E pare che sia un discorsino fatto da una madre superiora particolarmente aperta e sensibile ai problemi sociali, alla sua comunità di suore addette ad un asilo infantile.
Non è facile e semplice (e noi vorremmo tanto che la chiesa gerarchica che si riserva con esclusivismi così pesanti la responsabilità della pastorale - rapporto fra Dio, Gesù Cristo, l'umanità... - nel mondo, se ne preoccupasse di questo presentarsi e tentare di essere presente nella storia del nostro tempo così carica di ricerche e di esigenze di liberazione e di giustizia) non è facile e non si riesce, nemmeno con l'atto di fede-occhi chiusi, ad accettare e condividere questo modo di porsi di fronte al terribile» bruciante problema della giustizia e dell'ingiustizia nel mondo, come si dichiara al n. 25 dello stesso capitolo della giustizia alla luce del Vangelo.
«La Chiesa di Cristo desidera servire i singoli uomini e tutto il genere umano e deve guardare questo servizio con umiltà incessantemente rinnovata: con quella umiltà cioè che promana dalla forza e dalla debolezza del proprio compito pastorale. La chiesa infatti può sentirsi debole e povera non avendo accesso al potere tecnico, economico o politico che costringono ad agire in un determinato modo; ma si sente anche forte perché possiede la forza di Cristo, forza che illumina di luce evangelica la coscienza degli uomini e le loro reazioni e azioni personali e comunitarie».
C'è soltanto un grosso problema, risolvibile unicamente uscendo insolitamente da un equivoco che ormai dura da troppo tempo: che si manifesti finalmente, se c'è, questa debolezza senza umiltà ma semplicemente con sincerità e prorompa chiara e appassionata quella forza di Cristo con tutta quella violenza liberatrice nell'uomo fino alle misure dell'essere gli uomini figli di Dio e fratelli dell'unica famiglia di cui Dio è Padre.
Allora la Chiesa sarà giustizia nel mondo capace di gettar luce anche negli angoli più oscuri e tenebrosi dove si annida e trama l'avvelenamento del mondo, l'ingiustizia.
Respingiamo tutto il resto dello schema come si respinge un piatto a tavola che è stato ammannito ormai troppe volte. Ma particolarmente respingiamo l'ultimo capitolo, il quarto, «Linee per l'azione».
Se questa è l'azione per la giustizia nel mondo che il Sinodo dei vescovi proporrà alla chiesa, allora c'è sinceramente da sgomentarsi, se non proprio da disperarsi.
Ma forse tutto è perché rimanga l'unica Speranza che è lo Spirito Santo. Ma non però come rifugio e un arrendersi ad una rassegnazione passiva e quindi assurda, ma piuttosto per un aprire di più il cuore e disporre l'anima alle indicazioni e alle spinte di violenza di Amore che lo Spirito Santo riversa, nonostante tutto nella Chiesa e nella storia dell'umanità.
Per essere preparati e pronti a giocare tutto di noi nel Regno di Dio che sicuramente viene ad ogni giorno che passa e che porta con sé la vera giustizia a realizzarsi fra gli uomini.
La Redazione
in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1971, Settembre 1971
Luigi Sonnenfeld
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