Facciamo nostra la parola di Langston Hughes, il poeta nero di Harlem:
Sì,
lo dico molto chiaramente,
per me l'America non è mai
stata l'America,
e pertanto faccio questo
giuramento
l'America sarà!
E' divenuto evidente per tutti quelli che hanno, poco o tanto, la preoccupazione dell'integrità e della vita stessa dell'America d'oggi, che non sì può 'ignorare la guerra attuale.
Se l'anima dell'America si avvelena mortalmente, l'autopsia rivelerà che il Vietnam ne è la causa principale.
Non si potrà mai salvare, l'America, fin tanto che distruggerà le speranze radicate nel cuore degli uomini del mondo intero.
Quelli che hanno già preso partito per l'America del futuro sono stati costretti dalla forza delle cose alla protesta e al distacco, ed è così che essi lavorano alla guarigione del nostro paese.
Come se tutte queste ragioni non fossero abbastanza sufficienti a convincermi di preoccuparmi della vita e della salvezza dell' America, nuove responsabilità mi sono arrivate nel 1964.
Non posso certo dimenticare in effetti che il Premio Nobel per la pace comporta una missione, quella di lavorare ancor più di prima alla fratellanza degli uomini.
Ma anche se questo richiamo a superare i miei sentimenti di fedeltà nazionale non mi fosse stato indirizzato, sarebbe stato frattanto necessario vivere il mio impegno al servizio di Gesù Cristo.
La relazione tra questo ministero e l'edificazione della pace è così evidente ai miei occhi che mi stupisco perfino quando mi si domanda perchè mi dichiaro contrario alla guerra.
E' possibile che non sappiamo che la «buona novella» è rivolta a tutti gli uomini, ai comunisti, ai capitalisti, ai bianchi e ai neri, ai rivoluzionari e ai conservatori?
Si son dimenticati che il mio ministero deve conformarsi a Colui che ha tanto amato i suoi nemici da morire per loro?
Se io sono il servitore fedele di Gesù Cristo cosa posso dire ai vietcong oppure a Castro o a Mao?
Bisogna che li minacci di morte o bisogna che doni loro la vita?
Finalmente, provando a rintracciare per me, non meno che per voi, l'itinerario che mi ha condotto da Montgomery fino a qui, avrei potuto dire tutto dicendo semplicemente che la mia convinzione è che bisogna partecipare a tutti gli uomini la nostra vocazione di figli di Dio, e che io devo agire secondo questa fede.
Al di la della solidarietà di razza, di nazione o di religione, c'è questa vocazione di figli e di fratelli.
E perchè io credo che il Padre si dà pensiero specialmente delle sofferenze dei suoi impotenti reietti che io vengo stasera a parlare in loro nome.
Questo è il privilegio, ma anche l'onore di tutti coloro che si sentono legati da fedeltà, e da solidarietà più vaste e più profonde del nazionalismo, e che superano la situazione attuale della nostra nazione e gli obiettivi che ella si propone.
Noi siamo chiamati a prestare la nostra voce ai deboli, ai senza voce, alle vittime della nostra nazione e a tutti quelli che essa considera come nemici, perchè nessuno non può far sì che questi uomini non siano nostri fratelli.
Martin Luther King
da «Oltre il Vietnam» - Ed. la Locusta
in La Voce dei Poveri: La VdP giugno-luglio 1971, Giugno 1971
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455