Sacerdozio scelta di classe

(riflessioni di due preti che sono operai)

NON ESISTE UNA «VITA DA PRETE»

Il Concilio aveva già detto che la vita del prete deve scaturire dalla fedeltà intelligente alla sua missione: «vivere in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli. Così infatti si comportò Gesù Nostro Signore, Figlio di Dio, Uomo inviato dal Padre agli uomini, il quale dimorò presso di noi e volle in ogni cosa essere uguale ai suoi fratelli, eccetto che per il peccato». (P.O.3)
Di più sulla «vita» del prete non si può aggiungere. E' ridicolo schematizzare la «vita cristiana» e la «vita sacerdotale» perché la fede e il sacerdozio sono quanto di più sconvolgente si possa immaginare: un vino che nessuna botte può contenere, perché sempre nel bicchiere per essere bevuto.
C'è il solo esempio della vita di Cristo (seguita dagli Apostoli) ma allora:
- addio la mia bella vita da prete, segnata dal suono delle campane;
- addio al vivere all'ombra dell'altare,
- addio al lavoro pastorale nelle scuole di Stato o nell'esercito di Stato, per insegnare la religione dello Stato...
Che cosa rimane? Come deve vivere il prete?
Gesù Cristo me lo dice se è vivo e se vive in me e nel suo Popolo. E se Lui non me lo avesse detto e non mi dicesse più nulla non andrei certo a chiederlo ai decreti conciliari.
Solo la fedeltà alla propria missione sacerdotale è la legge per la vita del prete. Quella sacerdotale non è un'attività occasionale aggiunta alle altre occupazioni. (Gesù Cristo non faceva il prete dopo il lavoro) semplicemente perché non è un'attività specifica, diversa dalle altre, che consisterebbe, grosso modo, in questo: vivere da prete: predicare, celebrare, assistere i malati, amministrare i sacramenti, ricavando un utile sostentamento.
Non è questo il lavoro del prete semplicemente perché non c'è un lavoro da prete, né una vita da prete.
Questa è la nostra convinzione numero uno.

GESÙ CRISTO HA FATTO LA VITA DA POVERO

Ecco il nostro Maestro, l'unico: Gesù Cristo. Si sta con Lui, si guarda la sua vita e il suo insegnamento. Si chiede allo Spirito che ci ricordi e ci spieghi le sue parole e si chiude il libro del Concilio e i documenti sul sacerdozio, (quest'ultimo in particolare, composto in modo anonimo da gente che non si sente «sacerdote» ma solo «gerarchia».)
E Gesù Cristo è stato nella sua vita, dalla culla all'officina, alla croce, un povero: la sua casa, la vita di lavoro, e i problemi di chi lavora, cioè di chi è povero.
La realtà degli uomini è stata da lui vissuta senza riserve: in tutto simile agli uomini.
Non c'è ombra in lui di sdoppiamento: non povertà di spirito, non castità di spirito, non obbedienza di spirito: ma vero povero nella povertà, nella castità, nell'obbedienza e nella lotta: tutto pagato fino in fondo col suo corpo e il suo sangue.
Ecco allora la nostra risposta franca a chi ci domanda come va il nostro esperimento nel mondo del lavoro. Gli esperimenti li fanno i ricchi sulla pelle dei poveri. Noi siamo consapevoli che la scelta della povertà è una componente necessaria nella vita di chiunque vuol seguire Gesù.
E la povertà più comune (quella della stragrande maggioranza degli uomini) è quella di chi giunto alla sera della giornata e della vita può prendere un pezzo di pane nelle mani e un bicchiere di vino e dire:: questo è il mio corpo e il mio sangue. Gesù lo ha detto davanti a pescatori e non ne ha provato vergogna e nessuno allora come oggi, può fargli rimangiare le sue parole.
Noi abbiamo la certezza e la gridiamo al mondo che per ridire in verità (senza magia o superstizione) le parole di Gesù (cioè il suo Vangelo}, dobbiamo prima scegliere di vivere come Lui.

PER ESSERE SACERDOTE FRA GLI UOMINI

Sacerdozio è scelta di classe: la classe dei poveri. E il modo normale di essere povero è di vivere col lavoro delle proprie mani (i malati hanno già la loro croce non da «preti» o come quei privilegiati che vivono sul lavoro degli altri, ma come la grande classe degli oppressi e degli sfruttati.
La loro vita porta i segni della vita di Cristo, la fatica, la lotta, la morte, lo sfruttamento, il vuoto di cultura, la mancanza di potere...: è la vita degli ultimi. Il Vangelo parla per loro e di loro. Gesù li ha messi come misura, termine di confronto per chi vuol seguirlo. Tutto quindi si capovolge.
Non è una scelta di classe gretta, piena di rancore e odio, chiusa al progresso e al benessere: ad esempio: diventare tutti poveri, per fare un mondo di disgraziati; o lottare contro i ricchi, per capovolgere la frittata.
No! Però segnare tutti il passo e mettere tutto al servizio di tutti. La cultura da parte di chi studia, i mezzi di produzione per ohi li possiede (perché non son suoi), il potere politico per chi lo esercita (perché sia un servizio e non abuso), la religione come offerta da parte di chi vive la speranza di una vita che vale e che dura al di là delle apparenze (che non sia, però, oppio che addormenta, ma fiducia a vivere e lottare).
Essere nella classe dei poveri come sacerdoti significa: condividere e alimentare la fame e sete di giustizia e di pace, .raccogliere questa vita, come ha fatto Gesù, offrirla come beatitudine e segno di salvezza per tutti, facendola poi divenire di nuovo la carne e il sangue di Gesù.
Così si prende coscienza insieme e si rivela a tutti che il popolo dei poveri, di ogni razza, lingua e religione, è l'unico che ha conservato la fame e la sete di giustizia, il pianto di chi è oppresso, la misericordia di chi sfama anche i suoi affamatori, la pace di chi subisce la violenza dei potenti.
Qui affonda le sue radici il Popolo di Dio.


Giuseppe Pratesi e Mario Facchini


in La Voce dei Poveri: La VdP giugno-luglio 1971, Giugno 1971

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