"L'annunciata grande manifestazione pacifista è fallita di fronte all'energico intervento della polizia che ha fermato circa cinquemila dimostranti. La riunione di tante migliaia di contestatari attesta comunque la volontà politica di una larga porzione della popolazione americana di concludere presto l'avventura americana in Indocina. Nelle prime ore di stamani i dimostranti hanno tentato di bloccare il traffico su uno dei quattro principali viadotti che conducono a Washington, ma la polizia è intervenuta disperdendoli... Il ministro della giustizia John Mitchell ha dichiarato: «La città è aperta, il traffico fluisce, il governo funziona». A sua volta, il sindaco negro Walter Washington ha detto che i dimostranti hanno fallito nel loro obiettivo di paralizzare la capitale".
(dall'«Avvenire» del 4 Maggio 1971)
Sono fatti di questi giorni, segno indiscutibile di due mondi opposti, di due volti profondamente contrastanti della «grande America», di due tipi di «coscienza» di fronte al dramma assurdo e terribile di una guerra che nessuno sembra più capace di fermare.
Le parole così fredde del ministro della giustizia (!) sono l'indicazione precisa della durezza di cuore, della assoluta mancanza di respiro umano di tutti coloro che sono schierati dalla parte del più forte, di chi ha il «potere»: gente che non ha più occhi capaci di vedere l'uomo, ma unicamente pronta a servire la ragion di stato, la «necessità del momento storico», gli interessi dei padroni di turno.
Nella lotta coraggiosa di coloro che affrontano la violenza della polizia e il rischio del carcere per dire di «no» alla guerra, ci pare invece di scorgere come il riflesso della presenza misteriosa dello Spirito di Cristo che muove la storia e opera nel cuore dei figli migliori, di tutti quelli che sono disponibili per la Verità e la Giustizia.
E' leggendo la cronaca di questi avvenimenti che ci è tornato in mente Martin Luther King, cristiano coraggioso che ha pagato fino al sangue, «fino alla croce» la sua umile e radicale fedeltà ai valori del Regno di Dio.
Ci sembra importante riascoltare la sua voce che esprime in modo serio una presa di coscienza autenticamente cristiana di fronte ad uno dei peccati più gravi dell'umanità, come è la guerra.
la redazione
Martin Luther King
"Essendo la mia professione quella di predicare, penso che nessuno sia sorpreso che io abbia numerose ragioni per portare il Vietnam nel campo della mia visione morale.
Prima di tutto, una relazione evidente, fin troppo facile a scoprirsi, esiste fra la guerra nel Vietnam e la battaglia che noi conduciamo in America.
Qualche anno fa, un barlume di speranza sembrò schiarire questa battaglia.
Ogni speranza sembrava permessa ai poveri - bianchi e neri - grazie al programma di lotta contro la povertà.
Esperienze piene di promesse si susseguirono: le cose si mettevano bene.
Fu allora che I America intraprese la guerra nel Vietnam, e vidi la lotta contro la povertà smantellata e svirilizzata come se si trattasse di un qualsiasi gioco politico divenuto inutile in una società presa dalla furia della guerra.
Fu allora che compresi che l'America non avrebbe mai investito i fondi e le energie necessarie alla riabilitazione dei suoi poveri per il tempo che le avventure come la guerra nel Vietnam avrebbero continuato ad assorbire uomini competenze e capitali come una diabolica di distruzione.
E così che io fui costretto a vedere sempre più nella guerra il nemico diretto dei poveri e ad attaccarla come un nemico.
Ma il momento più tragico, forse di questa scoperta della realtà fu quando mi apparve chiaramente che la guerra non si limitava a distruggere la speranza dei poveri, ma che essa spediva i figli dei poveri, i fratelli dei poveri, i congiunti dei poveri e combattere e morire in una proporzione ben elevata del resto della popolazione.
I giovani neri rovinati dalla nostra società noi li prendiamo e li mandiamo a dodicimila chilometri da casa loro a difendere delle libertà che essi non avevano trovato né in Georgia ne ad Harlem.
Crudele ironia: tutti i giorni vediamo sui nostri schermi televisivi soldati bianchi e neri uccidere e morire insieme per una nazione che si è mostrata incapace di farli sedere insieme nella stessa scuola.
Li vediamo, in una sorta di barbara solidarietà, bruciare le capanne di un povero villaggio, ma nello stesso tempo abbiamo coscienza che questi uomini non abiteranno mai nel medesimo edificio a Detroit.
Mi è impossibile stare zitto quando si agisce così crudelmente contro i poveri.
* * *
Quando mi interrogo su questa follia che è la guerra nel Vietnam, e ricerco i mezzi per comprendere e manifestare la mia compassione, è sempre al popolo di laggiù che io penso,
Non ai soldati dei due campi, né alla giunta di Saigon, ma precisamente alla gente che soffre e muore per i mali della guerra, che dura quasi da trent'anni senza interruzione.
Penso a loro, anche perchè mi pare chiaro che non esisterà alcuna soluzione durevole fin tanto che non si sarà provato a conoscerli e ad ascoltare i loro gridi soffocati.
Ai loro occhi, gli americani debbono essere dei ben strani liberatori!
Adesso muoiono sotto le nostre bombe, e pensano che siamo noi, e non i loro compatrioti il vero nemico.
Partono tristemente, indifferenti a tutto, quando li deportiamo lontani dalla terra dei loro avi in campi di concentramento dove il minimo necessario alla vita non si trova che raramente.
Essi sanno che debbono partire o che le nostre bombe li distruggeranno.
Partono donne, vecchi, bambini.....
Ci vedono inquinare la loro acqua, distruggere centinaia di migliaia di raccolti.
Piangono quando i nostri bulldozer rombano sulle loro terre distruggendo le piante, così preziose.
Vagano negli ospedali, dove si trovano venti ferite di origine americane per una sola causata dai vietcong.
Vagano nella città e vedono migliaia di bambini senza tetto e senza vestiti che corrono in bande per le strade come animali.
Vedono i bambini, umiliati dai nostri soldati, che mendicano un po' di nutrimento.
Vedono i bambini che vendono la loro sorella ai nostri soldati e fanno l'adescamento per la loro fame.
Cosa pensano i contadini quando sosteniamo i proprietari fondiari e ci rifiutiamo di mettere in pratica tutte le nostre belle parole sulla riforma agraria?
Cosa pensano quando sperimentiamo i nostri nuovi modelli di armi sopra di loro, come i tedeschi sperimentavano nuove medicine e torture nei campi di concentramento europei?
Dove sono le basi del Vietnam indipendente che pretendiamo di costruire?
Fra gli uomini senza voce?
Distruggiamo le loro terre e i loro raccolti, e il Villaggio.
Distruggiamo le loro terre e i loro raccolti.
Partecipiamo alla distruzione della sola forza politica rivoluzionaria che non sia comunista: l'unione dei buddisti.
Sosteniamo i nemici dei contadini di Saigon.
Corrompiamo le loro donne e i loro bambini, e uccidiamo i loro uomini.
Che liberatori!
Salvo il risentimento, non resta quasi più nulla su cui ricostruire adesso.
Assai presto le sole fondamenta che resisteranno saranno quelle delle nostre basi militari e il calcestruzzo di quei campi di concentramento che noi chiamiamo «villaggi fortificati».
Legittimamente i contadini hanno ragioni di domandarsi se intendiamo costruire il nuovo Vietnam su tali basi.
Possiamo biasimarli di avere simili pensieri?
Sta dunque a noi patrocinare la loro causa e porre le questioni che essi non possono porre, perchè anch'essi sono nostri fratelli.
In un modo o in un altro questa follia deve cessare.
Parlo come figliolo di Dio e fratello dei poveri che soffrono nel Vietnam.
Parlo per coloro la cui terra è devastata, i cui focolari sono distrutti, le cui colture sono inondate.
Parlo per i poveri d'America che pagano due volte il prezzo di questa guerra: per le loro speranze ridotte al nulla, e, nel Vietnam, per morte e la corruzione.
Parlo come cittadino del mondo perchè il mondo resta stupito dalla via che noi prendiamo.
Parlo come cittadino americano ai dirigenti della mia nazione.
Siamo noi che abbiamo cominciato la guerra.
Sta a noi prendere l'iniziativa per fermarla.
Ecco il messaggio dei principali dirigenti buddisti del Vietnam: «Ogni giorno di guerra vede l'odio aumentare nel cuore dei vietnamiti e in tutti coloro che credono nell'uomo. Gli americani stanno per trasformare i loro amici in nemici, ed è sorprendente che essi non comprendano, essi che calcolano accuratamente le possibilità di una vittoria militare, che procedono così subiscono una grave disfatta, psicologica e politica. L'immagine dell'America non sarà mai più l'immagine della rivoluzione, della libertà e della democrazia, ma della violenza e del militarismo".
da «Oltre il Vietnam» - Ed. La Locusta
in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1971, Maggio 1971
Luigi Sonnenfeld
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