I maestri

Accade così spesso che dò ormai poco peso a chi mi dice che il nostro modo di fare è «da maestri»: «Sembra che voi soli conosciate la verità», io non so degli altri: so quello che nasce e cresce dentro di me e che offro, senza imporre niente a nessuno, perché credo di cercare Dio e di balbettarne la Storia.
E' offerta, quella cristiana, urlata dai tetti: ha sempre la forza della verità: è vera, di quella verità assoluta che le deriva dall'avere la sua radice immediata in Gesù Cristo. Costruito da Lui, ogni cristiano è donato all'umanità, alla terra intera, perché di Lui si riempia il mondo. Scintilla di verità mandata a liberare il mondo dalla ignoranza delle tenebre; guizzare di fuoco che vuole bruciare per fondere tutto nell'unico Amore.
Come non gridare tutto questo? E' la vita, eterno respiro di primavera che tutto rinnova e purifica: e la forza della vita chi la può contenere?
Ciò che urge a parlare non lo si impara dai libri, non lo si ascolta dagli uomini: non da volere di carne, non da volere di uomo: nasce da Dio.
«Come mai conosce così bene le Scritture, senza aver frequentato le scuole?» dicevano di Gesù gli Scribi e i Farisei con il loro argomentare da preti. Ed Egli insegnava con autorità e non come gli Scribi e i Farisei. Autorità che gli viene dalla vita in perfetta adesione alla volontà del Padre: "La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato. Se qualcuno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se parlo da me stesso".
Certo nessuno di noi è Gesù («nessuno tra voi si chiami maestro»), ma è pur vero che Gesù è in noi per crescerci alla misura perfetta. Ed è Lui che unicamente conta in noi fino al punto che ogni nostra cosa, fosse pure la più grande, perde rilievo di fronte al suo avanzare luminoso.
Come è dunque possibile che la mia miseria, il mio peccato, il mio tradimento possa ostacolare ed esaurire questo fluire di acqua viva?
Non merita davvero perder tempo a scusarsi, a gettare mille ponti, a preparare difese per evitare il rischio di passi falsi.
Non merita davvero fare mille contorsioni per esprime una verità che non ferisca, che non urti, che sia da tutti accolta. Si sbriciola nelle nostre mani, incapace di prostituirsi ai nostri interessi.
Non è questo il modo di servire la verità: è spesso, purtroppo, il modo che ci consente di mantenerci a galla, succeda quel che vuole. Ed in questo il mondo ecclesiastico la fa veramente da maestro con le sue furberie, i suoi sotterfugi, quel dire e non dire, quell'arrangiarsi sugli specchi di interpretazioni che sono vere acrobazie mentali. Quel velare le cose che fa sospettare che perfino il fumo dell'incenso serva ad impedire che Dio possa accorgersi di quanto si raccoglie in chiesa al bacio della reliquia.
So bene tuttavia quanto ne venga un tremendo problema di responsabilità: accogliere Dio. Vivere completamente immerso nella realtà della storia umana: indifeso; ultimo perché nessuno possa esser lasciato indietro; completamente immerso in Dio perchè nulla sia fuori di Lui. Sacerdote rivestito di Cristo per questo grande rito di comunione tra l'umanità e il Padre. Segno di risurrezione, totalmente avvolto dallo Spirito. Tutto questo che vuol dire pagare giorno per giorno il nostro debito di amicizia con Colui che si è spogliato di tutto per venirci incontro.
* * *
Nasce qui il problema dell'ascolto che viene spesso proposto come atteggiamento in alternativa a quello del «maestro». A torto, credo, perché si determina l'ascolto ad un livello superficiale del tutto gratuito. La buona maniera di chi lascia parlare e dà educati segni di interesse. Di chi non perde mai la pazienza e lascia che l'altro parli sentendosi a proprio agio: quasi un confidarsi ad amici. Tecnica messa spesso in atto e molto lodata, che non arriva però al cuore del problema: direi che non ne incide neppure la crosta. Perché tutto questo di per sé non significa proprio nulla se non per chi ha il cuore debole e nervi tesi.
Perché l'ascolto non è frutto di un'educazione ad un particolare momento, ma atteggiamento che rivela una scelta di vita. Non è prima di tutto il rispetto formale per eventuali interlocutori, ma rispetto serio e profondo per la vita in quanto espressione di Dio che vi ricama i segni rivelatori di verità. E' frutto di una ricerca seria, di un perdersi, di uno sbriciolarsi nel mondo, raccogliendo tutto senza lasciar perdere nulla, accettando di vivere come i più poveri, senza privilegio alcuno, nella condizione di chi non porta né borsa, né calzari, né bastone per difendersi, per poter ascoltare chini sulla terra il passo degli uomini.
Vuol dire sentirsi «donato» ai fratelli e quindi sentire i fratelli come «dono» da accogliere sempre; «dono» prezioso, unico e irrepetibile cui bisogna interamente darsi per poterlo accogliere. Vuol dire quindi cercare solo l'autore del «dono», Gesù Cristo: Lui solo è la nostra comunione. Non ha senso ascoltare gli uomini se non è un ascoltare Lui e non possiamo farlo se Gesù non è il motivo della nostra esistenza, se la Sua voce non grida in noi la presenza di Dio.
Ritorniamo così al punto di partenza: l'ascoltatore vero è colui che sa gridare il messaggio che porta nel cuore e ne conosce tanto il valore da accoglierlo ovunque esso si presenti, al di là di ogni difficoltà, di ogni divisione, di ogni contrasto. Consapevolezza di custodire nella fragilissima realtà della propria coscienza quella briciola di verità che deve ricomporsi nel tessuto della storia umana fino a diventare precisa indicazione di presenza dell'unico Vero. Adesione totale, in perfetta obbedienza a chi ci sospinge nella vita a raccogliere la meraviglia di un Pensiero d'amore.
* * *
Come è possibile chiamarci «maestri», quando si è tanto così al seguito, discepoli attenti ad ogni gesto dell'unico Maestro, legati a Lui da un vincolo d'amicizia che nasce da comunione di vita? Come è possibile dire che ci siamo scelti una strada, quando tanta fatica quotidiana è solo ricerca della Sua volontà, desiderio di percepirla in ogni risonanza e risvolto della vita?
Ciò che decide non è la forza dell'affermazione che coesiste di fatto, in ogni caso con tanta miseria e debolezza, quanto giudicare se si è o no al seguito di Dio. «Le tue parole sono da Dio o dagli uomini?».
Quando mi ritrovo tra preti, si arriva presto a classificare ogni ricerca che si allontani un poco dalla tradizione e sicura uniformità, come un seguire le proprie idee, una fatica, sia pur apprezzabile, a puro titolo personale, per la salvezza della propria anima. Questione di santità personale.
Ho reagito molto a questo modo di pensare che mi ha sempre ferito dolorosamente perché non ho ragione di vivere se la mia vita ha motivi personali di esistenza. Non ho scelto infatti la verginità per evitare la scocciatura di avere una moglie, e neppure per rispettare una legge della Chiesa, quanto per poter essere del tutto disperso nella realtà della vita.
Ho tentato di spiegarmi, senza troppo successo. Ho tentato di ascoltare. Le nostre riunioni: un parlare di cose nostre per tappare falle, cercare soluzioni, garantire sicurezze. Mai un vero ascolto del mondo, degli uomini, dei loro problemi percepiti dal vivere loro vicino. Mai - le eccezioni sono tali - un parlare di sé fino in fondo, senza reticenze, giocando sui motivi che stanno alla base della propria vita. Ci interessa solo che alcune cose siano altrimenti sistemate perché ci urtano, ci danno noia, e non si apre mai un discorso serio su ciò che veramente schiaccia l'uomo di oggi. Quell'uomo che siamo chiamati a servire e che invece serve a noi per giustificare agli occhi del mondo la nostra esistenza, il nostro diritto ad essere mantenuti.
Che cosa devo dunque ascoltare? Le lamentele di uomini per lo più appena sfiorati dalla vita, sicuri del proprio stato, tesi unicamente a dare un fondamento a quello che, in barba ad ogni altrimenti protestata obbedienza, si sono scelti per la propria sicurezza?
Certo, bisogna mantenere un educato atteggiamento di ascolto, senza fare una grinza, che altrimenti ti chiamano «maestro» e ti guardano dolorosamente sorpresi e sdegnati da tanta sfacciataggine.
Mi dispiace, perché spesso sono stanco e non riesco a star fermo. Capisco che dovrei farlo per amor di pace e per dovere di comunione sacramentale, ma sto ascoltando tante voci e diverse vengono da lontano e si son sempre sentite poco nella Chiesa. L'unico gesto d'amicizia e di rispetto che credo vero è quello di farle ascoltare agli altri, di non farne un problema personale! Per questo continuo a parlare a rischio di scocciare molti. Questo spero di farlo da «maestro».


don Luigi


in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1971, Maggio 1971

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