Cercare i segni della Risurrezione di Gesù in questo mondo, in questa Chiesa che dovrebbe esserne unico e grande segno, non è impresa facile e richiede fatica, paziente attesa, speranza mai delusa. Il chiarore di alcune luci isolate fende appena il buio di una condizione umana che non ha ancora conosciuto autentiche liberazioni. Quasi lumi di casolari sparsi sul fianco della montagna a segnare presenze di uomini che lottano per sopravvivere. Di qui una prima difficoltà ed insieme, però, anche una valida traccia di ricerca.
Dove incontrare i testimoni del Cristo Risorto, uomini che rischiano la vita nel nome di Gesù? Dove incontrare la luce che dà fiducia a tutto un entrare nel mistero della vita?
Non certo nel «buon cattolico» che cerca di render benedetta una vita chiusa ed egoista, e neppure nel prete affamato di soddisfazioni pastorali e ben al sicuro dalla vita.
La ricerca ha bisogno di orizzonti vasti quanto il mondo, di un cuore capace di accogliere tutta resistenza umana ed insieme ogni vita spesa giorno per giorno nella più assoluta normalità. Dove sorgono aneliti di libertà in un popolo schiacciato dalla fame e dalla guerra per un tragico gioco di interessi tra potenti, dove si paga ogni giorno per difendere il diritto alla libertà contro il compromesso e il servilismo, là sorge una luce che dà speranza e consistenza all'affermazione di Cristo: «Io sono la Vita».
Speranza che le cose possano essere diverse da come le costruiscono gli uomini, legandole ai propri interessi, in una storia vecchia quanto il mondo e che da sempre ripete il dramma di Caino e di Abele. Speranza di realtà nuova in cui ogni uomo si senta accolto come in casa propria, e possa veramente crescere alla misura perfetta in virtù dell'Amore.
E' sempre motivo di grande tristezza che si trovino pochi cristiani, e per lo più dispersi, disposti a raccogliere sacerdotalmente queste realtà vivendole senza difendersi, fino a misure estreme. Inspiegabile assenza della Chiesa. E dire che basterebbe a volte aprire un poco le braccia per dare fiducia a tanta umanità sofferente, sfiduciata, senza pastore. Un po' di coraggio, solo un po' di coraggio per calmare tanta sete e tanta fame. Se non altro un po' di fiducia nelle parole del Signore: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori», coloro che soffrono il peso della malvagità del mondo e sperano di esserne liberati. Si tratta di essere «con loro», misterioso allargarsi dell'Emmanuele, il «Dio-con-noi». Non per annullare la propria identità, ma per una fedeltà assoluta a quella chiamata che ci fa cristiani e ci costituisce in tale precisa identità. E, bisogna esser chiari, non per incidere di più (ne converti più te con la tuta o io con la cotta? ), né per spirito di avventura, né per spirito di polemica. Non perché rende di più, ma perché è più vero. Esser «con loro» e non «da loro», come per una visita di convenienza, uno spruzzare di acqua benedetta sulle quattro mura di un'officina, preso a pretesto di una condivisione di esistenza, di una fraternità vissuta. E neppure «per loro», in un atteggiamento di vuoto paternalismo, per uno sforzo interessato, diretto ad annacquare i problemi umani e a soddisfare le esigenze «religiose» della propria gente. «Con loro, con tutti gli uomini» seguendo l'indicazione di Gesù, Via perfetta al Padre. Come Lui, assumendo totalmente il peso della vita. Come Lui, accettando di essere l'ultimo perché ogni uomo possa accostarsi con fiducia e trovarsi in comunione, poiché non si ha niente che l'altro non possa avere. Rivestiti del suo Sacerdozio, unico, senza possibilità di riferimenti, proprio perché non limitato all'ambito «religioso», ma totalmente affogato nella vita fino a perdersi in essa alla misura estrema.
Dispiace che la Chiesa, pastori e fedeli, abbia contrastato da sempre questo accogliere Gesù e la sua misura di esistenza, quasi a difendersi da una novità di vita troppo a lei estranea. So che è veramente difficile accogliere lo Spirito che, come il vento, soffia dove vuole. E' difficile resistere alla tentazione di sapere da dove venga e dove vada, per poterlo inquadrare, limitare, giudicare, ridurre alla nostra misura, e quindi non lasciare spazio alla sua volontà di avvolgere nel mistero della vita di Dio tutta la creazione.
E questo, che avvenga a livello più o meno universale, non fa differenza se non per un senso di angustia e di miseria umana sempre crescente man mano che il contrasto si localizza e si precisa.
Fino a ridursi a livello di chiesa locale, rigidamente strutturata, incapace di realizzarsi comunione di realtà diverse, di ricerca a respiro allargato, di Regno di Dio.
Il contrasto, la lotta, il tentativo di soffocare ogni innesto di vitalità, è condotto con seria determinazione. Conosco preti schiacciati nel loro sacerdozio e preti che vanno avanti con coraggio nonostante l'opposizione accanita di tanto clero.
Se si chiedono le ragioni di tanta reazione, si scopre che vengono applicati agli altri gli stessi motivi che uno ha nel cuore, senza la possibilità di guardare più in là del proprio naso. E' tipico che siano sempre motivi a ritorno personale; mai che passi per la testa che in ricerche, anche dolorose, possa entrare, come motivazione, il Regno di Dio.
E' terribile che per tanti preti sia così difficile - oppure impossibile? - accogliere motivazioni che si allarghino oltre la persona e non siano difesa di posizioni personali.
Dovremmo allora concludere che, per tanti, il sacerdozio è tirato avanti unicamente per motivi personali?
Difficile rispondere; eppure prima si tira fuori la donna (mostrando così di avere un cuore impuro ben più terribile di tanta impurità della carne), poi il comunismo (nulla è più comodo di un'etichetta per distinguere amici e nemici), il denaro (si sa bene, per esperienza personale, quanto possa addormentare la coscienza), ed infine, e il modo è raffinatissimo, la teoria dei carismi o doni personali (perché è così che in fondo si evita di esserne inquietati).
E' storia di tutti i giorni, eppure provoca sempre dolorosi risvegli; ma, proprio perché è lotta quotidiana, non può far paura, non può trattenere chi vuole accogliere quella verità che fa liberi. Non può e non deve soffocare l'energia che Dio cresce nel cuore degli uomini: proposta che sgorga perenne dalla sua Parola per un'incarnazione che continua fino al compimento dei tempi.
Forse il segno di Risurrezione più vero, in questo tempo, è di poter aprire le mani perché chi vuole possa leggervi tutta la storia di una vita che non si è mai difesa: continua offerta di verità e di amore senza mai cedere a tentazioni di ritorni personali.
Essere sulla strada, all'aperto, perché chi vuole possa subito trovare; allo scoperto perché non si ha nulla da nascondere.
Senza neppure il timore di essere degli importuni, di dar fastidio, di rovinare qualcosa.
E' troppo facile difendersi da ciò che non si vuole vedere, da ciò che non si vuole capire.
don Luigi
in La Voce dei Poveri: La VdP aprile 1971, Aprile 1971
Luigi Sonnenfeld
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