Un sibilo di sirena e 130 uomini escono da un portone che dà su Via Indipendenza. E' mezzogiorno. Uno dopo l'altro, con la borsa logora del pranzo, si incamminano verso la mensa.
La gente delle case popolari è avvezza a questo corteo e non ci fa più caso. Solo i bambini si voltano curiosi e si domandano: «Chi sono questi uomini così sporchi?».
E' un lavoro, il nostro, davvero sporco, fatto in un ambiente squallido e sudicio oltre ogni misura.
Anni e anni di trascuratezza nella manutenzione e nelle pulizie hanno lasciato segni indelebili di lerciume un po' dappertutto: dai gabinetti ai reparti, dai magazzini agli spogliatoi. Sui vetri, sui bandoni, per terra, sulle pareti. Dovunque tu giri lo sguardo vedi sudicio, respiri sudicio, tocchi sudicio. Credo di non esagerare a dire che, come ambiente, si trattano meglio le bestie. Sembra impossibile, ma questo esiste tutt'oggi, con tanto di sindacato e di ispettorato dei lavoro, in pieno centro abitato, in una città come Viareggio.
E non si tratta, badate bene, di una azienducola qualsiasi, ma della S.p.A. F.E.R.V.E.T. che ha officine con centinaia di operai a Bergamo (sede centrale), Bologna, Castelfranco e Viareggio.
Evidentemente ai padrone il sudicio non dà noia e nemmeno alla Direzione che, come minimo, dovrebbe vergognarsi di dirigere un'azienda-letamaio.
Chiunque abbia varcato anche per una volta sola la porta, si è trovato davanti lo spettacolo che ora ho descritto.
Per capire meglio queste «storie di lavoro» immaginatevi di entrare nello stabilimento su di un carro ferroviario (un P., un P.O.Z., un cassoncino standard, un milione o carro F, un H.G....) che arriva per la riparazione.
F.E.R.V.E.T. infatti significa: Fabbrica e Riparazione Vagoni e Tramvie.
Quando arrivano, i carri sono spesso assai sciupati dall'uso e dalle intemperie e qualche volta, per cozzi o deragliamenti subiti, sembrano ammassi di lamiere e di ferri contorti.
Ogni mattina inizia una vera lotta con questi mostri di ferro per pulire, raddrizzare, sostituire pezzi, riverniciare, rimettere a nuovo o demolire.
La gente fuori dal muro di cinta pensa sicuramente che per un lavoro complesso e duro come questo ci siano attrezzature speciali, create apposta dal progresso della scienza e della tecnica: invece niente. Ecco il secondo grande paradosso di questa azienda: gli attrezzi sono ancora quelli riscattati per poche palanche dalla COMA, nel 1936, con qualche rara aggiunta.
Il lavoro viene fatto da operai forniti solo di esperienza, di buona salute e di grande pazienza.
Ognuno si deve arrangiare meglio che può: facendo magari il giro di tutto il reparto in cerca di un pezzo di catena o di una vecchia binda.
Quando poi per la buona idea di qualcuno, e per il profitto, ci si trova insieme allo stesso carro saldatori, fabbri, raddrizzatori, lascio immaginare a voi il rumore assordante dei ribattini, il bagliore bruciante degli elettrodi e il giramento di coglioni degli operai.
Ma per i sordi c'è la pensione. Per i ciechi anche. Per i coglioni basta il Padrone.
In questa bolgia (l'inferno di Viareggio, si dice) conduce la propria esistenza per 9 ore al giorno l'operaio proveniente dalla città o dai dintorni. E' una lotta per il pane, per la casa, per la famiglia. O prendere o lasciare. Tutto il tempo in cui uno è vivo, ogni giorno (11-12 ore tra lavoro, mensa, viaggi), lo devi passare così, dimenticando quasi che sei un uomo.
Voci di operai:
- E' una vita da bestie.
- Meno male che pagano il giorno stabilito.
- Ma è troppo poco.
- Il cottimo è tutta una truffa.
- Ci vorrebbero dei controlli severi.
- E' inutile. Il Padrone, l'Ingegnere e il Segretario sono come la SS. Trinità.
- Eppure siamo tutti compagni. Anzi «fratelli».
- Non vi illudete: a far questa vita tocca sempre ai soliti.
Conclusione:
E tu, sei fra «i soliti» o sfrutti «i soliti»?
Pensaci un po'.
Giuseppe Pratesi
Prete operaio
in La Voce dei Poveri: La VdP marzo 1971, Marzo 1971
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