La parrocchia "fontana del villaggio"

L'incontro quotidiano con sacerdoti, seminaristi o laici attenti ai problemi della vita della Chiesa, mette il dito su una piaga tutt'altro che sanata: la parrocchia.
Quasi tutti la subiscono, molti preferiscono ignorarla, alcuni ne predicano la soppressione come ostacolo alla predicazione del Vangelo.
Esaurita la novità, sapientemente dosata, della riforma liturgica, si è riaperto un vuoto, nella vita della parrocchia, che si tenta tenacemente di riempire con i ritrovati più diversi.
Da qui il senso di rassegnazione che ripropone vecchi modelli in una assurda speranza che ritorni il tempo della giovinezza, oppure il correre qua e là per strappare una ricetta, una medicina che dia di sperare che la vita continua. E' un libro, una rivista, un esperto, un «maestro», un'esperienza viva, che vengono propinati con l'arte magica dell'incantatore che fa il suo interesse e pensa al portafogli. Ne viene che si continua così a darla a bere a tanti poveri preti che, bisogna dirlo, da parte loro cercano molte volte solo una giustificazione agli occhi della gente di una loro sistemazione giuridica e soprattutto economica, attraverso una dimostrazione di efficienza sempre più raffinata.
Ma i tentativi, anche i più riusciti, di rendere funzionali le strutture parrocchiali, mostrano la corda. Si ha la netta sensazione di una vita anemica, come di pianta coltivata in serra, nonostante il volume, spesso notevole, di convergenza di persone e di interessi. Una minestra all'apparenza appetitosa, ma spaventosamente sciocca. I grandi problemi della vita rimangono lontani, nascosti da un velo di pioggia fitta fitta di buone intenzioni che non aumentano la fede in chi l'ha già, e certo non fanno venire la voglia di cercarla a chi non l'ha.
Da qui, nonostante lo sforzo di credibilità, un crescente disinteresse per le cose religiose; un'indifferenza assoluta interrotta solo da avvenimenti che han tutta l'apparenza di casi eccezionali e distolgono appena l'attenzione dai problemi immediati di cui ciascuno è caricato.
E' dalla contestazione di questo vuoto di presenza che viene il lampo di genio risolutore: non basta una medicina: bisogna operare in profondità, ci vuole un intervento radicale. E' necessario cambiar pelle: la parrocchia deve scomparire.
Al suo posto comunità «vere», autenticamente protese in una forte testimonianza evangelica.
L'intenzione è seria, la strada scelta per realizzarla, assai meno. Distruggere una capacità di respiro per chiudersi spesso in conventicole inconcludenti. Favorire per altri versi lo stesso spirito dì parrocchialismo da sacrestia. Ricreare dipendenze da persone e situazioni. Questo il risultato, molto spesso, di una contestazione che si preoccupa solo di distruggere, per una impossibilità costituzionale a generare.
Quale speranza può venire perché ci sia la vita, e cresca in abbondanza? C'è da credere invece che forme nuove create come alternativa alle vecchie aumentino solo la misura di egoismo, di interesse e di sistemazione personale, tale da rendere il peso più opprimente di prima.
Non si vuole capire che la parrocchia non è sacramenti, fogli di matrimonio, quattro vecchietti, il banco dei bambini, un gruppo biblico. Certo: parrocchia non è centro di attività turistico-sportivo-religiose dove la meditazione sulla Bibbia segue il torneo di ping-pong e precede l'arrivo della corsa ciclistica. Ma non è parrocchia una scuola di belle maniere liturgiche, e non è un apparato catechistico, e non è neppure la santità personale del parroco imposta, con vari accorgimenti, alle anime intorno.
E, nonostante che questo si sappia ed anche si dica, sono le parrocchie che riescono ad essere sintesi di tutto questo quelle che sono poste all'attenzione dei preti e costituiscono il modello preferito. Non si vuole capire, e per i vecchi è tanto spirito di conservazione, come per i giovani è tanto frutto di delusione. Non si vuole, in fondo, capire perché si è scelto una logica umana e non l'attenzione seria al pensiero di Dio.
La parabola del Buon Pastore: ecco la «parrocchia» secondo il pensiero di Dio, di cui la nostra pastorale è, molto spesso, caricatura blasfema. Una vita vissuta in mezzo al gregge, condividendone fatiche e pericoli, per un cuore senza ombra di interesse al punto di abbandonare il gregge indifeso per cercare la smarrita, per un amore senza misura al punto da dare la vita. La «parrocchia» è questa esistenza vissuta giorno per giorno ed offerta come pane spezzato e vino versato nella testimonianza di una Presenza di amore. Esistenza di due, di pochi o di molti, questo non ha importanza, perché seriamente impegnati nella vita fino al punto che di più è impossibile.
Vivere del proprio lavoro, in una casa tra le più povere, magari in affitto, cercando di farne una accoglienza semplice, ma senza riserva; l'attenzione presa dagli avvenimenti quotidiani, sia che accadano al vicino, che nel posto più remoto del mondo, senza difendersi e chiudere le porte.
Partecipare alla vita degli uomini, morendo ogni giorno della fatica delle proprie mani, con il gesto silenzioso di una presenza mai distratta; partecipare alla storia degli uomini portando la parola di Gesù come giudizio degli avvenimenti, come luce che illumina le sofferte vicende del mondo.
Ecco la parrocchia secondo il pensiero di Dio: una manciata di lievito nella grande massa, una luce posta in alto per dare speranza a chi cerca. Braccia aperte per raccogliere tutta la realtà umana e cuore ripieno unicamente di Dio per offrirsi come luogo di incontro degli uomini con Lui: sacerdozio di Cristo che continua nel mondo fino all'incontro totale: sacerdozio immerso nel mondo perché questo accolga la vita stessa di Dio e questa Io penetri e lo accenda di nuova luce.
Che cosa ci impedisce di vivere così la parrocchia? Che cosa ci impedisce di lottare nella Chiesa perché la parrocchia sia sempre più vicina al pensiero di Dio? Abbiamo forse paura di una misura di fatica che consumi la nostra vita?
Ciò che è fatto giuridico non interessa più e quindi non ha nemmeno importanza. Rimane la gente, piccola parte di umanità che vive e cerca il senso della propria esistenza. Rimane il particolare da non inquadrare in nessun modo. Da non irreggimentare in gruppi, da non dividere con iniziative a vantaggio personale.
Ed è in questa porzione di umanità che il Regno di Dio cresce con il suo respiro ampio per cui ogni cosa acquista la dimensione dell'universale.
Credo che le difficoltà provengano proprio dal perdere questo respiro ampio, dal!'impoverire la fede a meschina verifica dei nostri sforzi.
Questa parte di umanità in cui vivo è famiglia che deve allargarsi nell'accoglienza di tutti gli uomini, lo vi sono per morirvi con umile semplicità, gettando il seme della vita, soffrendo di essere cosi poco ed insieme accogliendo con gioia la forza onnipotente di Dio.
lo vi sono come sacerdote per raccogliere nell'esistenza di ogni giorno la ricerca di verità, il desiderio di giustizia, il pensiero di pace. E vi sono dentro come presenza viva di Colui che è Verità, del Giusto che è nostra Pace.
La parrocchia è allora questo fatto, visibile solo agli occhi della fede, in cui un popolo può dire con Gesù: questo è il mio corpo e questo è il mio sangue; ed è l'Eucarestia il segno autentico e vero della vita parrocchiale. Nella Messa vive la parrocchia come realtà raccolta e salvata da Dio, come seme santificato dalla Sua Presenza, reso sale del mondo e luce della terra. Perché sia così in quella grande massa che è la vita umana vissuta unicamente per motivi di Dio.
Non importa più a questo punto perdersi in mille cose, per una esistenza inconcludente e frammentaria. Non ha più senso escogitare realizzazioni bene accolte e neppure preoccuparsi di lasciare le orme del proprio passaggio.
Ciò che importa è gettare a piene mani il seme di una vita fedélmente costruita da Dio, unita intorno a Lui, unicamente spiegabile con Lui. Solo allora cominceremo a prendere sul serio Gesù, dopo averlo tanto giocato. Solo allora potremo veramente accogliere Colui che è la Vita.





don Luigi


in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1971, Febbraio 1971

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