Di nuovo sulla strada

E' un NUOVO PERIODICO MENSILE per i nuovi amici che piano piano in questi cinque o sei anni abbiamo conosciuto e con i quali si è andato formando quel clima di simpatia senza dubbio stabilito da una comune ricerca di tentativi di sincerità cristiana in questo nostro mondo che è quello che è e in questa nostra Chiesa che se non altro vuol dire, in questi nostri tempi, travaglio appassionato di ricerca, ansia tormentatissima di rinnovamento per una crescita di identificazione (e quindi di autenticità di testimonianza) a Gesù Cristo.
E' una vecchia testata di periodico dagli anni sessanta in poi, fino al momento di una convinzione che il tacere delle piccole e povere voci (diciamo pure del balbettare confuso degli infanti) potesse servire all'affermazione di una voce chiara e forte, seriamente e sovrabbondantemente persuasiva, come quando un assolo riassume e specifica e approfondisce una corale.
E i vecchi amici (son passati molti anni anche se sono pochi numericamente, come quando è una piena di fiume che travolge tutto sotto il solito ponte abituato al normale scivolare del fiumicello, dall'acqua chiara e tranquilla di sempre o quasi) e i vecchi amici si sorprenderanno - speriamo con gioia, come quando si rincontra un amico, dopo anni, per caso, girando all'angolo della strada - si sorprenderanno di ritrovarsi fra le mani ancora questa « VOCE DEI POVERI » tracciata con un pennellaccio sul solito muro vecchio di quella vecchia casa di Darsena, dove quando vi passo, ancora ve lo vedo accennato, anche se ormai sbiadito, mangiato dal sole.
Il colore rosso della testata vuol dire soltanto che tutto è nuovo, quasi come voler dire che tutto si è vivificato, acceso: ha preso fuoco, insomma, e brucia... E' il desiderio di Gesù, del resto, che tutto prenda fuoco il mondo e si accenda e bruci a quella fiamma che Lui ha portato a tutto incendiare.
Attualmente siamo una comunità di sei preti e con le due ragazze che abitano con noi siamo comunità di otto.
Viviamo tutto un tipo di vita sacerdotale, imperniato in una parrocchia e diffuso a raggio d'impegno dovunque intravediamo un qualcosa che sappia di Regno di Dio. Prima di ogni altro impegno, oltre a quello della parrocchia, la vita operaia, lavoro artigiano, una povera casa da contadini in affitto, la fiducia di una partecipazione a tutta la problematica operaia e alla lotta di liberazione dalla violenza e dallo sfruttamento, fino alla dedizione totale di noi.
Alla base e come fondamento, per cui tutto quello che sogniamo e tentiamo di realizzare non è opera d'uomo e non è realtà e valore che nasce «da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma generato da Dio» (Gv. 1, 1,3) la nostra vita è essenzialmente vita di Fede, totale chiara e allo scoperto, in Dio. E' appassionato Amore a Gesù Cristo fino ad esser Lui la ragion d'essere assoluta e determinante di noi e di tutto in noi. E' fedeltà alla Chiesa in una visione liberata e semplice di Chiesa intesa come continuità del Mistero di Cristo nel cuore dell'umanità. Chiesa quindi che non può ammettere altro privilegio, perché non può avere assolutamente altra vocazione, che quello di morire continuamente nella morte delle Beatitudini (e cioè di tutto il Vangelo parola per parola) o nella morte di Croce, perché Gesù Cristo sia il risuscitato, cioè colui che unicamente vive, il vivente. Colui dal quale soltanto nasce ad ogni momento la speranza e la certezza che la morte è vinta perché la storia non è più costruzione di cimiteri, ma esaltazione di vita, fino ad essere il segno e l'inizio della vita eterna.
Diversamente Gesù Cristo è morto e sepolto e è risuscitato soltanto nella liturgia pasquale.
Allora la vita di preghiera per noi è serietà, perché è, come dire, entrare dentro e lasciarsi macinare da questo Mistero cristiano, subito, in una Fede che è attualità che si compie, anche se non ne vediamo con i nostri occhi forse nemmeno i segni e non ne possiamo toccare con le nostre mani la concretezza. In una Speranza che non è in un futuro strano e nebbioso che è di là da venire, ma è certezza, sia pure sperata nella sua totale realizzazione, ma già vivente, già sulla strada che cammina, già alla porta che bussa, tant'è vero che è Speranza nella quale concretamente giochiamo la vita, ogni giorno, ogni momento, tutta intera, senza assolutamente mai niente che sia per noi.
In un Amore, in un Amore che è difficile dire cos'è, da quanto è vitalità sovrabbondante. L'Amore per una unificazione di sé e attraverso se stessi di tutto l'universo, a Dio. L'Amore che fiotta nel cuore a sangue vivo e bruciante nella consapevolezza che Dio vive la tua e la vita
dell'umanità e che quest'Amore è carne e sangue e storia e attualità perché è Gesù Cristo. L'Amore che ti mangia l'anima di dare un bicchiere d'acqua all'umanità che muore di sete, di caricarti sulle spalle ogni ferito e ammazzato sul ciglio della strada della storia, derubato da tutti e scansato perché non intralci il traffico e neanche guardato perché non c'è tempo da perdere, il lebbroso che ti chiama, il cieco che cerca la tua mano per vedere qualcosa, la folla - branco di pecore senza pastore o con mercenari che ormai sono rimasti solo loro a guardare il gregge, armati di mitra assai più per sparare alle pecore che sui lupi..
Intendiamo vivere tutto questo e chissà quanto altro ancora, ma certamente questa Fede, questa Speranza, questa Carità, logorandoci di sofferenza e di desiderio e malati di vergogna per i nostri tradimenti e le nostre incapacità, nella preghiera e specialmente crocifiggendoci ( non abbiamo altro modo come forse invece l'hanno in Spagna, in Brasile, in Polonia, in Giordania, nel Camerun, nel Vietnam, nell'Angola, nel Sud Africa e sempre meno basta una carta geografica a indicare dove i Calvari si moltiplicano nel mondo) insieme a Gesù Cristo nella continuità del suo morire eucaristico nel cuore dell'umanità, crocifiggendoci nella Messa della comunità di ogni sera.
Ma poi abbiamo pensato che bisogna anche lottare. La lotta è parola sacra. Ha cominciato Dio a lottare fin subito dopo la creazione e ha messo perfino nelle realtà inanimate violenze spaventose di lotta (cos'è fuoco e acqua e tutto l'universo se non lotta apocalittica che non si placa mai, e il vento e il mare e sopra e sotto il cielo?). E la lotta nel mondo animale fino al punto che la vita è frutto di lotta, vivere è sempre un vincere?
E la lotta di Dio con l'uomo, contro l'uomo e per l'uomo? La storia della Rivelazione è la storia dell'Amore di Dio che non trova altra via di esprimersi e donarsi che scendere sulla strada tracciata a rivoli e a fiumane di sangue dagli uomini a lottare contro di loro, contro tutti.
E vorremmo lottare insieme ai nostri amici. Agli amici che incontreremo. Anche a nome loro. Anche a nome della loro lotta e a seguito della loro sconfitta, se vi è stata, o della loro stanchezza, ma specialmente per riaccendere la fiducia. Se non altro la convinzione che si è vivi in proporzione a quanto si lotta e si è cristiani nella misura in cui si accetta di lottare e di lottare cristianamente, cioè secondo la lotta a seguito di Gesù Cristo, sapendolo vivo e vivente insieme a noi, dentro il popolo di Dio, cuore dell'umanità, a lottare e vincere la formidabile lotta per la salvezza del mondo. Obbedendo soltanto alle sue violenze di Amore. Che sono sempre, in Lui soltanto, unicamente Amore.
Questa lotta a marea di sangue doveva colmarsi e concludersi sulla Croce, dove Dio stesso è venuto a versare tutto il Suo Sangue fino all'ultima goccia. E al sangue che ancora doveva irrorare il mondo doveva bastare il vino nei calici che rende vivo e palpitante il Sangue (quello necessario per la vittoria del bene sul male) di Cristo.
E' questa nuova lotta di Gesù Cristo che chiude tutta una lotta di Dio contro l'umanità, e inizia una nuova, totalmente nuova lotta, ma sicuramente lotta di Dio fra gli uomini, che ha cominciato a urgerci nel cuore come qualcosa che non si riesce a contenere, a fermare. Anzi ci è cominciata a pesare la vergogna di non sapere lottare, di non riuscire a lottare, di non essere la lotta di Cristo nel mondo.
Perché l'Amore che non lotta non è Amore, abbiamo imparato da Gesù Cristo. La lotta che non accoglie anche a rischio che si spacchi il cuore perché è troppo e non è pronta a dividere, a respingere, ad angustiare, a inquietare il mondo fino ad esserne maledetti e respinti, schiacciati e pestati. Allora il Vangelo è libro chiuso e basta soltanto leggerne la copertina per l'apologetica che veramente quello che vi è scritto è di Marco, Matteo, Luca e Giovanni.
Ma la testimonianza che il Vangelo è la Parola di Dio che si è fatta vita umana ha bisogno di tutt'altra testimonianza.
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Programmare tutto l'impegno che una comunità in ricerca di autenticità più che sia possibile di vita cristiana e sacerdotale, da riversarsi ed esprimersi in un periodico a seguito della stessa ricerca impegnata e pagata ogni giorno nella vita, non è cosa facile e forse nemmeno cosa possibile. Ogni giorno porta la sua pena, ma anche la sua lotta e quindi anche la sua parola.
Ci affidiamo completamente a quello che ci nasce nell'anima e trova riscontro e quindi dovere di rapporto, nella quotidianità della vita nostra, della Chiesa, del mondo.
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Vorremmo tanto però portare la nostra lotta all'interno della Chiesa. Non crediamo alla lotta intesa come contestazione, polemica, risentimento, ribellione ecc. Crediamo nella lotta di liberazione da tutto quello che non ha niente a che fare con Gesù Cristo, in maniera diretta, immediata. Così, semplicemente. Il Cristianesimo è il Cristianesimo. Con serenità e pace, ma ad occhi aperti e non per sentito dire (anche se per lunghezza di secoli). Se c'è il sole è una bella giornata, se piove vuol dire che piove.... «La vostra parola sia sì, sì, no, no: tutto il resto viene dal maligno».
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Vorremmo dichiararci per un antimilitarismo appassionato, radicale. La vita militare (con tutto quello che questa parola vuol dire nella sua causale, nella sua realtà, nella sua finalità) è vita scopertamente disumana perché è tutta ordinata ad uccidere (non vogliamo saperne più di tutta una morale disponibile a tutto condannare e giustificare secondo quello che pensano i moralisti e i tempi che li condizionano). L'annuncio di Cristo (e della Chiesa) è e deve essere di Amore fraterno. E' chiamare Dio, Padre di tutti gli uomini. La salvezza è nel morire non nell'uccidere. Gli uomini e l'umanità continueranno a scannarsi, ma che sia però almeno senza benedizione. Che vi sia nel mondo, fra gli uomini sciaguratamente sempre in guerra, una forza (Cristo risorto vivente nella Chiesa, popolo di Dio) che si oppone, che dice no e che grida sul serio «pace» perché maledice «la guerra» e la strappa via (perché anche se è un filo è sempre un filo di sangue) dal suo Mistero che è soltanto realtà, esistenza di Amore nel mondo, questo è il dovere e la gloria della Chiesa. Che vi sia nel mondo, nella storia dell'umanità questa forza che lotta contro la guerra, contro qualsiasi guerra, è urgente, non si può rimandare di un minuto e riguarda essenzialmente ogni cristiano.
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E' chiaro che intendiamo lottare contro ogni dittatura che è semplicemente e terribilmente la sopraffazione dell'uomo sull'uomo, della vita di uno o di pochi sul morire di tutti.
I capi, il partito, il capitalismo, la ragione economica, la razza, la civiltà, l'accaparramento di Dio ecc. sono la dittatura. Sono la guerra. Sono la fame. Sono la disperazione: la marea di sangue e di lacrime che non si sa come ancora non sia riuscita ad affogare l'umanità.
E intendiamo lottare contro la pena di morte per motivi politici. Neghiamo ad ogni uomo il potere di uccidere: ma specialmente l'orrore di uccidere perché prima vi è stato un processo che si è fatto le leggi appositamente per poter uccidere coprendosi di legalità e quindi di giustizia.
Non lottare contro questo orrore e almeno non morire di vergogna vuol dire foresta vergine.
Lottiamo perché la Chiesa (cominciando dal Papa, Vescovi, preti e ogni cristiano) lotti contro questo orrore. E è chiaro che non ci contentiamo delle dolci, prudenti maniere diplomatiche. Né delle vaghe condanne a parole al vento. Il morire dei fratelli non si combatte a sospiri.
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E' chiaro che siamo dalla parte dei poveri. Della povera gente sballottata come un pallone sul campo da gioco dalle pedate di questi e di quelli perché interessa loro soltanto servirsene per vincere la partita.
Vorremmo lottare (ma come si fa a lottare come e quanto sarebbe giusto e doveroso più dell'aria che si respira?) contro lo sfruttamento della povera gente, del povero popolo. E liberarlo dalla violenza di chi lo spinge alla violenza e ad ammazzarsi gli uni gli altri per dopo sfruttare perfino quel sangue, maledetti fin nel midollo dell'ossa chiunque sia che arma la mano del povero contro il povero.
E liberarlo dalla fame e dalla miseria, dall'essere senza casa e senza lavoro, senza parola e senza diritti all'infuori di quello di morire logorandosi giorno per giorno per la ricchezza e lo sfruttamento degli altri.
E liberarlo dalla tentazione borghese che con un frigorifero, una cinquecento, la partita domenicale allo stadio, quattro dischi e un'anteprima vietata ai minori di 14 anni, si crea un paradiso, fatto di vuoto assurdo, di felicità al contagocce e di massa amorfa e smarrita facilmente manovrabile in tutti i sensi, ma specialmente verso un individualismo spaventoso, un egoismo cieco, una violenza capace di tutto.
* * *
Ci permettiamo di pensare tutte queste cose, di tentare di viverle e quindi anche di scriverle perché sappiamo di essere povera gente, povera comunità, che è desiderabile e bellissimo perché questo vorrebbe dire quanto più gli capita di perdere, rischia semplicemente di arrivare a perdere anche la "propria anima"; e ciò che nella vita cerca appassionatamente e umilmente qualcosa che sia Gesù Cristo.


La Redazione


in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1971, Febbraio 1971

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