Testimoni della Chiesa dei poveri
II suo sgomento, che di tanto in tanto traspariva, non era dovuto alle tradizioni minacciate dalla età moderna, ma alla certezza che la cristianità non aveva ancora compreso tutte le esigenze del Vangelo «In un colloquio intimo ha narrato Mons. Guerry, arcivescovo di Cambrai - il Papa mi confidava la sua sofferenza nel pensare che nel mondo tanti uomini di buona volontà pensavano che la Chiesa li rifiutasse e li condannasse. Allora, mostrandomi il Crocifisso che era sul suo tavolo, diceva animandosi: - Ma io faccio il Cristo, apro loro fino in fondo le mie braccia. Io li amo e sono il loro padre. Sono sempre pronto ad accoglierli.. Poi, voltandosi verso di me: - Monsignore, non si sono comprese le esigenze del Vangelo!»
Aprire le braccia a tutti fino in fondo, a tutti gli uomini, ecco una esigenza del Vangelo che mille tradizioni recenti c'impediscono di ben capire. Egli ha aperto le braccia oltre i limiti fissati dalla nostra prudenza carnale.
Quando un Papa parla ai suoi figli può dare a questa parola diversi contenuti affettivi. Può pensare ai cattolici a lui fedeli, può pensare a tutti i battezzati, può pensare a tutti gli uomini, senza nessuna distinzione. In Papa Giovanni era quest'ultimo il senso immediato e preponderante, ed era talmente sincero che a capirlo meglio furono spesso i figli prodighi, e a restarne scandalizzati furono i «fratelli maggiori», nei quali il senso troppo legale della fedeltà cristiana ha prodotto, non di rado, nei suoi confronti, durezza di cuore e spirito farisaico.
«Il Cristo ci ha lasciato sulla terra affinché noi diventiamo fari che illuminano, dottori che insegnano; affinché adempiamo il nostro compito come angeli, come annunziatori fra gli uomini; affinché siamo adulti fra minori, uomini spirituali fra i carnali al fine di guadagnarli, affinché siamo sementa e portiamo frutti numerosi. Non sarebbe neppur necessario esporre la dottrina, se la nostra vita fosse a tal punto irradiante; non sarebbe necessario ricorrere alle parole, se le nostre opere dessero tale testimonianza. Non ci sarebbe nessun pagano, se ci comportassimo da veri cristiani». Durante la lettura di queste parole di un Padre della Chiesa il Papa dice: - Siamo al punto giusto. A chi chiede di conoscere le linee caratteristiche del mio pontificato, sì può rispondere con queste o con altre consimili parole. E' tutto.
La Chiesa, abbandonando mansioni e strutture richieste in altre epoche, deve riconquistare la propria misura essenziale, disegnata nel Vangelo, e farsi presente fra gli uomini non come depositaria di cultura, di filosofia, di tecnica, di politica, di ricchezze materiali, ma come testimone inerme e luminosa del Regno di Dio.
Non è questa un intuizione nuova: il Papa si è sempre detto «servo dei servi di Dio». Ma l'aver riportato questo servizio a purezza di espressioni, l'averlo liberato da corazze principesche, l'averlo tradotto in gesti e parole ed esempi perfettamente conformi all'attesa del mondo: ecco il dono di papa Giovanni.
Si è seduto alla nostra tavola, ha detto parole comuni, come le nostre, ha spezzato il pane quotidiano delle nostre tribolazioni e delle nostre gioie, e alla fine ci siamo accorti che il Signore era stato un ora con noi e ci aveva trasformato il cuore.
«Soprattutto voglio continuare a rispondere sempre bene per male, ed a sforzarmi di preferire, in tutto, il Vangelo agli artifizi della politica umana».
«lo lascio a tutti la sovrabbondanza della furberia e della cosiddetta destrezza diplomatica e continuo ad accontentarmi della mia bonomia e semplicità di sentimento, di parola, di tratto, Le somme, infine, tornano sempre a vantaggio di chi resta fedele alla dottrina e agli esempi del Signore».
La sua fiducia nell'uomo lo portava a trascurare gli accorgiménti della furbizia, il suo temperamento lo portava troppo facilmente, fuori dalle cortine vellutate degli uffici ecclesiastici, nelle vie e nelle piazze dove si muove l'umanità viva, quelle in mezzo a cui circolava, misericordioso e paziente, Gesù Cristo. «Io non cesso di guardare in alto e lontano». Una sera disse a J. Guitton - Papa Giovanni - indicando la cupola dell'osservatorio di Castelgandolfo: - «Guardi questi sapienti astronomi, per guidare gli uomini, si servono di strumenti molto complicati. Io invece non li conosco. Io mi accontento come Abramo, di avanzare nella notte, un passo dopo l'altro, alla luce delle stelle».
I diplomatici più abili lo reputavano troppo loquace, troppo arrendevole ai moti del cuore, troppo disposto a coltivare amicizie di scarsa garanzia teologica: gli intellettuali lo trovavano poco fiducioso nel valore innovatore delle teorie: i tradizionalisti notavano in lui una disponibilità eccessiva a ciò che di buono e di valido cresce nei campi avversi: i progressisti lo vedevano troppo innamorato delle sane tradizioni di un cristianesimo devoto ed alquanto campestre e troppo fedele alle consegne dell'obbedienza: i Vescovi non vedevano in lui i tratti convenzionali delta solennità episcopale.
Insomma, prima che, diventato Papa, ci mettesse tutti, in pochi mesi, nella più filiale ammirazione, egli non riusciva ad entrare in nessuno degli schemi con cui noi misuriamo ed esaltiamo un uomo. Lo sapeva ed era in pace. E restò in pace anche dopo, quando, una volta Papa, non fece tante storie, andò avanti come era andato prima, con questo di diverso, che lo studio di rimaner nascosto non aveva più nessun risultato e che le sue decisioni ormai toccavano tutto il mondo. Smise di obbedire agli uomini, ma non smise di essere in pace, perchè continuò ad obbedire e Dio. «Tutto zampillava dalla sorgente. Con tutta naturalezza egli era soprannaturale, ed era naturale con tale spirito soprannaturale che non si poteva scorgere la linea di sutura. Respirava la fede, come respirava la sanità fisica e morale a pieni polmoni. Viveva alla presenza di Dio con la semplicità di uno che vada a passeggio per le strade della città natale. Viveva a suo agio sulla nostra terra; s'interessava alle preoccupazioni della gente con una simpatia vibrante. Sapeva fermarsi ai margini della strada per scambiare qualche frase con la gente del popolo, ascoltare un fanciullo, consolare un malato. Mostrava interesse per la costruzione di un aereoporto, e pregava per gli astronauti». Si prenda ad esempio, il fatto di cui tanto si occuperanno le cronache del marzo 1963. C'è a Roma il Direttore di un giornale sovietico, con sua moglie. Chiedono di vedere il Papa. Ecco una situazione che può essere giudicata con giudizio politico e risolta in conformità, ma può essere giudicata con giudizio di fede, cioè sulla base di una intuizione che scopre, all'interno della circostanza, una possibilità sacra che non è bene lasciar fallire.
Papa Giovanni giudica secondo la fede, e si comporta secondo la sua intuizione, mantenendosi, in ogni sua parola, al livello della fede. In quell'atto tutta l'umanità non farisaica colse la trascendenza della Chiesa sulla politica: in tutto il mondo, un piccolo atto ha portato più luce e più disponibilità verso il Cristianesimo che non centomila quaresimali.
Se egli si liberò da schemi culturali e da sistemazioni astratte, lo fece in nome della concretezza dell'uomo, che non è, in quanto uomo, ne rinascimentale ne illuminista ne liberale ne marxista, non è, insomma, un appendice individuale di un sistema, non è il «caso» di una legge. Anche i contemporanei di Cristo avevano le loro categorie di giudizio con le quali dispensarsi dal prendere coscienza dell'uomo: «samaritani» «pubblicani» «etnici» e così via.
Cristo li ridusse allo smarrimento perchè, scartando quei concetti, rivelava, dietro la loro maschera, il volto dell'uomo.
Una delle più feconde intuizioni di Papa Giovanni è che, per far davvero la pace sulla terra, dobbiamo abituarci a guardare un uomo come un uomo, di là dalle sistemazioni ideologiche che tentano d'inghiottirci nei loro contrasti. Le antitesi ideologiche, fatte scendere all'interno della meccanica che regge i nostri contatti umani, diventano guerre di sangue. Papa Giovanni ha dato al mondo una lezione di vero realismo solo con lo scommettere sulla bontà dell'aspirazione umana alla pace e sulla onnipotenza dell'intenzione di Dio che opera nella storia.
In tutta la sua vita, e tanto più negli ultimi anni, restò sempre estraneo alla polemica, per santa che fosse, ne mai, nei molti giorni in cui soffrì l'incomprensione o, peggio, il vilipendio, si concesse, come capita a molte anime pie, gli atteggiamenti leggermente declamatori dell'eroismo.
«La morte non può aver ragione di lui - scriveva in quei giorni Alfonso Gatto - sentiamo che vive, parla e ci mostra, faticato, passo passo, il lungo cammino verso la conoscenza, l'incontro con l'amore. Egli ha parlato dentro l'uomo, dentro la casa dell'uomo, dentro la paura e la speranza dell'uomo. Allietava la vita con lo sguardo semplice del Parroco che ha nel cuore il Dio di tutti, la messe e il deserto, l'acqua e la sete...
Egli svegliava nel creato il suo Creatore, nel fatto la ragione del fare, nel perfetto il bisogno della imitazione, nell'imperfetto le ansie di fare meglio, persino il pungolo dell'ottimismo. Questa è la sua libertà, un gesto paterno di liberazione che restituisce all'uomo la sua scelta».
«Vengo dall'umiltà e fui educato ad una povertà contenta e benedetta, che ha poche esigenze e che protegge il fiorire delle virtù più nobili ed alte, e prepara alle elevate ascensioni della vita». Questo «papa contadino» ha avuto sempre per la sua «umile gente» una riverenza di carattere religioso: ha voluto sempre rispettarne le condizioni di onorata povertà, anche quando avrebbe potuto, senza venir meno allo spirito evangelico, concederle una maggiore agiatezza. No questo fu, per lui e per i suoi fratelli, motivo di sacrificio e di scandalo. Restar fedeli alle origini era per loro cosa ovvia, era un facile omaggio a ciò che vale in se e per se e che, già sul piano terreno, non ha niente di meglio come alternativa. «Senza un po' di santa follia, la Chiesa non allarga i suoi padiglioni » ripeteva spesso Monsignor Roncalli. La sua carriera diplomatica fu svolta in luoghi più o meno scoperti dalle tutele canoniche così ebbe modo, senza compromettersi, di dare libera espressione alla sua indole faceta, di cui si faceva schermo e strumento la santa allegria della sua anima.
«Benedetto questo Papa che ci ha fatto godere, nel mondo!» La Chiesa ha vissuto per secoli sul piede di guerra. Non le sono mancati Pontefici davvero grandi, degni del loro tempo tragico. Tra una guerra e l'altra era passata questa prima metà del secolo, lasciando nell'aria un odore di polvere e di putrefazione e dentro di noi una tal quale durezza vigilante. Le nostre verità erano ancora armate: certo, avevano un cuore, ma la corazza c'impediva di sentirlo battere. Il vecchio contadino di Sotto il Monte continuava a camminare, come suo padre e suo nonno, barcollando sulle piote agitando le mani come se gettasse frumento: aveva Fede, non tremava, non precipitava gli eventi, non sgomentava il suo prossimo. La sua serenità di umile servo del Signore traeva di qui continua ispirazione ed aveva origine anche dalla conoscenza degli uomini e della storia e non chiudeva gli occhi davanti alla realtà.
Ogni vero rinnovamento della Chiesa nasce dalla Fede, che consente di spostare le montagne, di camminare sulle acque, o di gettare le reti a dispetto di ogni delusione.
Papa Giovanni ha spostato le montagne solo perchè ha avuto fede: ha vinto, con la fede, se non le leggi fisiche della natura, almeno le leggi della storia, ottenendo i massimi successi con i minimi mezzi.
L'allegria inesauribile nasceva in Lui da un intimo crogiuolo, dove il suo buon sangue e la serena fede in Dio facevano lega.
Facciamo nostro il «Grazie» di d. Sirio Politi: «Dio lo ricompensi Lui, Papa Giovanni, per la serenità e la dolce gioia della sicurezza diffusa nelle nostre anime di poveri cercatori forse troppo scontenti e inquieti e inquietanti. Ora camminiamo su una strada ben tracciata abitiamo in una casa sicura: l'unica paura è quella di non essere degni e capaci di fedeltà alla sua consegna.
Tanta gratitudine verso questo vecchio ottantenne, malato e stanco, che obbedendo all'Amore ha aperto le braccia ad abbracciare il mondo.
Noi, la Chiesa, siamo quelle braccia. Che Dio ci conceda di continuare senza paure e stanchezze quell'amplesso, fino all'ultimo giorno, quello dell'agonia nostra e del mondo».
don Rolando
dal Libro: Papa Giovanni di E. Balducci Vallecchi Ed. Firenze « E venne un uomo di nome Giovanni. Ed. Massimo, Milano
- Testimonianze su Papa Giovanni XXIII Riv. Testimonianze - Firenze.
- Giovanni XXIII - Il Giornale dell'anima - Ed. di Storia e di Letteratura.
in La Voce dei Poveri: La VdP giugno 1965, Giugno 1965
Luigi Sonnenfeld
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