«Tutti coloro che sono convinti che il cuore della Chiesa avrà affanni e stanchezze finché verso di lei non marcerà, con volto filiale, il grande popolo dei poveri, non dovranno mai dimenticare che in un paese della pianura padana il popolo entra in cimitero passando sul cuore di un prete, sul quel cuore che, alcuni giorni prima, sui gradini dell'altare, scoppiò all'improvviso, perchè non ne poteva più». Così in un affettuoso ricordo dice di d. Primo il padre Ernesto Balducci.
In una lettera del 2 aprile 1959 aveva scritto d. Mazzolari ad un amico: «sono stanco così stanco che mi butterei per terra»; già dal 1954, data del suo testamento, questo prete «contadino» che sempre aveva difeso i diritto di Cristo tra i poveri e nei poveri, e mai si era piegato dinnanzi ad ogni sopruso contro la dignità dell'uomo, di ogni uomo, aspettava la sua «ora»: «eppure viene l'ora e, se non ho la forza di desiderarla, è tanta la stanchezza, che il pensiero d'andare a riposare nella misericordia di Dio mi fa quasi dimentico della sua giustizia, che verrà placata dalla preghiera di coloro che mi vogliono bene».
L'ultima gioia terrena - tanta avara con la sua tormentata esistenza - del Parroco di Bozzolo fu l'incontro con Papa Giovanni. Il Papa che lo aveva conosciuto in guerra (1915-18) mentre d. Primo era tenente cappellano fra i bersaglieri in trincea e Lui sergente, appena lo vide lo chiamò: «Tenente!...» e D. Primo, fattosi coraggio, rispose: «Sergente».
In quell'occasione Giovanni XXIII disse di lui. - «Ecco la voce dello Spirito S. della Bassa Cremonese» -.
5 Aprile 1959, Domenica in Albis: iniziava la spiegazione del Vangelo su Tommaso l'incredulo, nella sua Chiesa: «Tommaso che non vuole rinunciare al suo mestiere di uomo neanche di fronte al mistero del Cristo glorioso, non è un cencio d'uomo, un pavido schiavo: è un uomo. E quando Tommaso crede, è un uomo che crede, e quando Tommaso si offre, è un uomo che si offre. E se offre a Cristo il suo cuore, è un cuore di uomo che si offre: e se china la testa davanti a Lui, è la una testa d'uomo che s'inchina».
Questo prete «mezzo selvatico, che non sapeva fare complimenti, che non sapeva sorridere, neppure applaudire ma solo piangere di dentro e spesso anche di fuori», colpito da emorragia cerebrale cadde come il lavoratore schiantato sul campo con la mano sull'aratro. «Sono creato testimonio davanti agli uomini. Dipende da me se Cristo sarà accolto o giudicato, nella mia luce o nella mia tenebra. Son di fazione per Lui fino all'ultimo respiro. Non sarò smobilitato che morendo». Ci vollero otto giorni d'agonia silenziosa per la sua smobilitazione; il 12 Aprile 1959 il «compagno Cristo» raccolse l'ultimo respiro di questo vero uomo di Dio: era la Domenica del Buon Pastore.
«Tutte le cose sono mie perchè sono di Cristo, e sono di Cristo perchè egli ha dato la sua vita per ognuna di esse. Tutte le creature vantano su lui uguali diritti per la carità che a lui le ricongiunge; le vicine come le lontane, le novantanove come l'una».
Per questo un giorno avremo un solo ovile perchè abbiamo un solo pastore. Il pastore, perchè sia pastore veramente, dev'essere buono: come l'uomo è veramente uomo quando è buono: d. Primo fu pastore e uomo, senza mezze misure.
A 6 anni dalla morte la sua figura s'impone sempre più all'attenzione dei cattolici italiani. Sulle idee di questa singolare figura di sacerdote molti fecero le loro riserve, ma nessuno potrà dubitare del suo senso sacerdotale, del suo amore alla Chiesa.
Tre mesi prima della sua morte qualcuno aveva detto di lui: «Nessuno ha fatto più male all'Italia di quest'uomo. Egli si è perfino vergognato a fare il nome di Cristo!».
Il nome di Cristo! D. Primo vergognarsi di Cristo! Hanno bestemmiato Gesù Cristo. Chi crede, come un fiore percosso dalla tempesta, si china muto, senza proteste, Perchè porre l'ineffabile accanto alle cose volgari, per cui l'uomo ogni giorno protesta?
Cristo non entra nella legge. Gli uomini che l'hanno voluto contemplare in un articolo del codice e quelli che intendono farvi appello, si sono dimenticati di quanto egli sopravanzi le cose nostre, pur nella sua vicina e comune umanità.
"Il cittadino Cristo non è mai esistito. Egli è fuori del diritto, fuori di ogni rispetto, perchè è sopra tutti i diritti, perchè l'unica riverenza che gli conviene è l'Amore, tutto l'Amore di cui un'anima è capace. Che posto gli abbiamo fatto nella nostra vita? Tutto gli abbiamo prestato, fuorché ciò che gli conviene. La nostra ignavia gli abbiamo imprestato, chiamandola rassegnazione; la nostra paura chiamandola prudenza; la nostra avidità di godimento, chiamandola sacrificio; le nostre concupiscenze chiamandole diritti; le nostre viltà chiamandole desideri di pace...". Solo questo era il rossore del prete di Bozzolo per Gesù Cristo!
Aveva qualcosa del profeta che parla pagando di persona ogni conseguenza del suo franco dire o scrivere: molti si scandalizzavano, naturalmente. «Quanti - dice p. Balducci - sono colpevoli in Italia, di non avergli mostrato un affetto pari alla riconoscenza! E a quanti sarà venuto il dubbio che un simile ritegno abbia avuto per motivo il timore di non restar compromessi con le sue idee di fuoco!
Pochi dissero parole buone sul suo conto. Uomo libero della libertà di Cristo, non fu mai un ribelle. Non concesse mai ai suoi Superiori vita comoda, non voleva giustificazioni alla pigrizia. «La libertà, con tutti i suoi rischi, è l'aria dell'uomo, e l'impegno urgente del cristiano non è d'imbrigliare la libertà perchè non faccia male, ma d'impedire che venga incamerata e assorbita da una nuova dittatura».
La sua personalità fu oggetto di equivoci e di contrasti: i libri, «La più bella avventura», "Il Samaritano", "Impegno con Cristo", suscitarono polemiche e sospetti nel quieto mondo dei cattolici italiani. In cattiva luce e minacciato dal Regime Fascista per il suo ardente desiderio di salvaguardare contro ogni potere politico la personalità e la libertà del credente, negli anni della vergogna e della caligine, fu uomo della resistenza con il suo puro avallo religioso e sacerdotale per la difesa dell'uomo, della verità e della libertà.
Per questo fu insultato, percosso, braccato e dovette vivere nascosto per sfuggire alla rappresaglia nazi-fascista. Lottatore per temperamento, non piegò mai.
Come credente e ministro del Vangelo soffriva dell'incomprensione e della rivolta ma usava di tutte le accortezze della carità per placare, illuminare, accostare; non giudicava il fratello e non si credeva in diritto di forzargli la mano per salvarlo, avrebbe tradito il Vangelo ove l'Amore viene insegnato come termine e come via: «Che cosa può venire di buono da un samaritano? Ma da quando il Figlio dell'uomo ha preso in mano gli uomini per ricrearli, gli ultimi sono i primi. Il monopolio del bene è finito. Non vi sono più popoli eletti, nazioni, classi o uomini superiori. Da quando un samaritano può rappresentare Gesù, ogni impalcatura d'orgoglio è caduta, né vale a ricostruirla la più sufficiente politica o la più servizievole filosofia. Dio gioca con le nostre categorie, e incastona il bene nel metallo più vile. Niente di occupato nel bene: il bene non è patrimonio di nessuno».
Nel suo apostolato erano esclusi non solo i mezzi non buoni secondo la legge morale, ma non si serviva dei mezzi pesanti o materiali non convenienti all'affermazione del Regno dello Spirito. Rimase fedele al Vangelo e andò pecora in mezzo ai lupi senza borsa, senza bastone, senza bisaccia, senza calzari, senza spada: «non possiedo niente. La roba non mi ha fatto gola e tanto meno occupato... intorno al mio Altare come intorno alla mia casa e al mio lavoro non ci fu mai «suon di denaro».
Credeva fermamente e di gran cuore alla verità che libera: ma una verità imposta non libera più, le vien tolto il lievito liberatore. Condizione per il suo fermentare, essere accolta liberamente, per amore.
Faticosa e lunga strada che d. Primo, curato di campagna, percorse con pazienza e fiducia perchè l'unica che conduce al regno di Dio sulla terra, l'unica strada della vittoria.
I suoi piedi stanchi di apostolo non ricalcarono le orme pesanti e disumane che non rispettano l'uomo. Anzi vi si erse sempre contro... per Amore.
Dopo la liberazione fondò il quindicinale «Adesso» per un contributo più attivo nel campo dell'opera cristiana e in posizioni d'avanguardia. Le idee perseguite dalla rivista furono la concezione antitemporalistica della Chiesa, impegno di opporsi ad eventuali forme di clericalismo politico. I suoi redattori si richiamarono anche ai sensi apostolici per evitare l'imborghesimento del clero e della cattolicità, e più importante di tutti, vollero effettuare la ricerca ed il colloquio con i «LONTANI» in uno spirito di rispetto, anzi con indulgenza e simpatia. Molti si sentirono urtati e d. Primo fu accusato di ...tutto.
Ingiustamente, è vero ma... il prete di Bozzolo discusso e compromesso «aveva bisogno della quarantena indispensabile all'assopimento dei bollori faziosi» (!!!) così scrive su queste vicende uno che gli fu vicino con il cuore, ma difforme nelle idee. .
Fu proibito a d. Mazzolari di scrivere sul giornale: lui coraggiosamente e nobilmente s'inchinò e accettò senza discutere e senza chiedere spiegazioni: «Adesso» è meno di un attimo, mentre la Chiesa è la custode dell'eterno, ed io voglio rimanere nell'eterno.
«Mi stacco dal foglio come il vecchio contadino si stacca dal suo campo appena seminato e dove ancora niente germoglia. Ma tutto è speranza perchè tutto è fatica; tutto è fede, proprio il non vedere; tutto grazia, anche il morire; tutto testimonianza, anche il silenzio, sopratutto il silenzio».
D. Primo continuò, in un silenzio difficile alla sua naturale franchezza, la missione fra i suoi figli di Bozzolo con lo stesso cuore e le stesse opinioni. Non s'abbarbicarono in lui rancori o segrete ansie di rivincita «persuaso com'era che la verità fa la sua strada nonostante tutto e che il silenzio patito per obbedienza e in unione col Cristo giova spesso al cammino della verità e della pace meglio assai che le nostre parole arroventate e vibranti».
Al funerale nessuno «dei suoi» si vergognò d'accompagnare il povero parroco «Tiratutti». Anche gli avversari gli resero l'onore delle armi.
Aveva scritto un giorno, amorosamente, ad un pastore smarrito: «Il profeta parla, deve parlare, ma se la parola non gli trema sulle labbra, vuol dire che nel ricrearla gli è venuto meno il cuore».
Il cuore di d. Primo era venuto meno in quel mattino di primavera perchè le sue labbra avevano troppo tremato per la «PAROLA che non passa».
don Rolando
da «Mazzolari», antologia dei suoi scritti. - G. Barra. Ed. Borla - Torino.
- d. Primo Mazzolari di p. E. Balducci (Ed. Paoline: «La verità e le occasioni»).
- Il Gallo di Genova, giugno 1959.
- «La Parola che non passa» di D. Mazzolari - Ed. La Locusta - Vicenza.
L'avventura cristiana continua in chi crede. Non c'è bisogno di rinunciare ad entrare in porto perchè la ricerca continui. La fede non è un approdo, ma un sicuro orientamento di grazia verso l'approdo. La traversata continua, e travagliosamente. Chi non ha la grazia di credere è tentato dall'incertezza e dal timore del niente. Chi ha la grazia di credere è travaglialo dalla luce stessa che gli fu comunicata.
Il mio ideale, che non è fatto su misura, ma che mi supera infinitamente, è il mio tormento. La parola di Dio l'ho dentro di me, non la posso più rifiutare o adattare ai miei gusti, imborghesendola. Nel lontano le ricerca è un istinto naturale: nel credere è istinto e grazia. C'è poi il confronto continuo tra ciò che mi splende nella visione e nel desiderio e ciò che riesco a fissare. Penso in eternità e avanzo lentamente nel tempo.
Ho ricevuto tanto e di tanto devo rispondere: anche davanti agli uomini.
Chi non ha una fede, non è impegnato: è sempre più onesto di chi ha un ideale evangelico. Io, che credo e predico il Vangelo, sono giudicato secondo il Vangelo, Molti uomini non mi condannano neanche: ma io non posso non condannarmi. La mia fede mi crea giudice implacabile di me stesso.
La scelta tra la realtà che tiene e la realtà che non tiene, ma che è sotto i miei occhi, palpitante, appetibile, invitante, non è facile.
I confronti si fanno col cuore palpitante e le labbra arse. Almeno la presenza fosse continua, sicura, tangibile! Invece la mia tentazione è accordata su questo motivo tragico: un Dio che resta presente allontanandosi.
Sono una memoria: «Ciò che ho visto, sentito, toccato». Qualche schiarita, un lampo, un mattino di Pentecoste: poi niente, neanche una voce: silenzio e oscurità.
A volte non è più soltanto un allontanamento ed un rimanere, ma un assenza, una fede desolata. E si deve vivere lo stesso, parlare lo stesso, testimoniare lo stesso.
Don Primo Mazzolari
in La Voce dei Poveri: La VdP aprile-maggio 1965, Aprile 1965
Luigi Sonnenfeld
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