Non so bene, ma vi è qualcosa nella mia anima di pena profonda che vorrei dire a qualcuno.
Vorrei dirla a qualcuno per dirla a tutti, al mondo intero. Perfino alle stelle di stanotte e alla luna. E al cielo grigio e pesante di tristezza. Agli alberi fermi per una primavera che ancora non viene. Alla gente che passa dalla strada e pensa a chissà cosa. Agli operai che lavorano là fuori, sul porto e nei cantieri. All'umanità intera dispersa su tutta la terra e che ora sento terribilmente vicina, come se fosse una folla radunata, come se l'avessi tutta fra le braccia, come se mi fosse tutta nel cuore.
Ma per dire questa mia pena a qualcuno e nel frattempo dirla a tutti (è dovere urgente, pressante dire a tutti questa angoscia che travaglia l'anima mia) ne parlo con Lui, con Gesù. Perchè Lui è veramente tutti. Tutto ciò che è con Lui è con tutti. Lui è più che tutto l'universo perché tutto l'universo è in Lui e tutta l'umanità è nel suo essere vero Dio e vero Uomo.
Non so ma sento - sia pure in modo sereno e disteso, nella pace più dolce - che devo tanto chiedere perdono.
E' già da molto tempo che ho nell'anima questo sentimento strano ma che si va sempre più precisando per uno scoprire chiaro e preciso responsabilità nascoste, segrete, determinate dai rapporti fra Dio e me e me e gli altri.
Devo chiedere perdono a Lui. E questo lo faccio con gioia. Ogni momento e così tanto, che a volte mi viene in mente che io mi stia approfittando della Bontà di Dio. Ma poi mi sembra che Dio ne sia felice che ci approfittiamo del Suo essere buono, infinitamente buono, cioè bontà che non finisce mai, che non si esaurisce mai, che non si stanca mai di essere sempre e unicamente bontà. E mi pare che se un giorno mi dovesse rimproverare che mi sono approfittato un po' troppo della sua bontà, io ne rimarrei molto stupito, sorpreso e mi sembra che Gli direi: ma allora io ti ho giudicato più buono di quello che veramente sei? Credo che non potrebbe non sorridere e allora io mi sentirei tutto felice di aver fatto sorridere Dio ma specialmente di non essermi sbagliato nel giudicare infinita la Sua Bontà.
Ma non è che oggi voglio chiedere perdono a Dio. Mi nascondo - e cerco di scomparirvi dentro davvero - nel Mistero di Gesù. Lui è la sicurezza del perdono di Dio. Il dubbio, l'incertezza, l'angoscia mortale tutta la tragedia fino al terrore del sudare sangue, della passione e della morte di croce, l'ha patita Lui, per questa implorazione di perdono infinito in riconciliazione d'Amore fra gli uomini e Dio. Fino al punto che il nostro chiedere perdono forse vuol dire soltanto desiderio, volontà di voler vivere nell'Amore che Gesù ha ottenuto che sia la realtà di rapporto fra Dio e gli uomini. E' un semplice consentire all'Amore che è già tutto dentro di noi.
Mi sento in quest'Amore, sento tutta l'umanità in quest'Amore come in una realtà d'esistenza nata dalla Incarnazione, passione, morte e resurrezione di Gesù, la nuova creazione, fatta ad immagine e somiglianza di Lui, di Gesù.
Chiedere perdono è chiedere che Gesù sia in noi, è chiedere noi d'essere Lui. E' chiedere che Lui sia Dio, onnipotenza creatrice dal nulla: creature di Dio; dal non essere: esistenze d'Amore; dal male: miracoli di bontà.
Nella gioia e nella pace del chiedere perdono a Dio, si allarga però ogni volta la pena, l'angoscia del chiedere perdono agli uomini.
Perchè ogni volta che mi incontro con Dio, ogni volta che mi scende nell'anima il Mistero dell'Amore di Gesù, scopro gli altri, sento il mio prossimo, mi appare tutta l'umanità.
Dio e gli uomini: è un'unica realtà con rapporti essenziali, determinanti, con me. Unica realtà, entrata come componente costruttiva del mio essere e del mio destino.
E davanti a Dio è facile chiedere perdono anche agli uomini. Nel ritrovarli in Lui e nel sentirli tutt'uno con Lui, chiedere perdono agli uomini è come chiederlo a Dio. Ma è tanto penoso, è angoscia profonda chiedere perdono agli uomini considerati in se stessi, scoperti e sentiti nella loro realtà umana così terribilmente bisognosa di Dio.
Perché devo chiedere perdono di non aver dato Dio a chi non l'aveva, a chi nemmeno lo cercava pur avendone bisogno più della vita stessa.
Non ho scuse, lo so bene e non cerco nemmeno di trovarne.
Sono nato per questo scopo. Sono cristiano per questo destino. Sono sacerdote per questa missione. Io devo dare Dio al mondo. Devo essere vivente testimonianza di Gesù.
Il mio corpo deve essere presenza di Dio. La mia anima bisogna che sia immagine di Lui. Il mio Amore il Mistero del Suo Amore. La mia pazienza la Sua pace.
La mia attesa sicurezza di Lui. La mia vita evidenza scoperta, luminosa, trasparente dell'esistere invisibile di Dio.
Non so se vi può essere qualcosa di più terribile che avere tutto il Mistero di Dio e doverne essere comunicazione, presenza. Sapere che il proprio corpo deve dare esperienza di Lui. Assai più del sole nella fiamma di luce a mezzogiorno, più delle stelle di una nottata splendente, assai più della grandiosità del mare a perdita d'occhio e della profondità senza fine dell'azzurro del cielo. Il mio povero corpo, così fragile e buono a nulla. Eppure tutti vi devono poter trovare Dio. Qualcosa che faccia pensare a Lui. Che susciti almeno un'inquietudine e scavi un po' di voglia di Lui....
E tanto più la mia anima dev'essere infinita, Mistero così profondo e complesso come è l'anima umana eppure chiarito, disteso, aperto perché tutto nella verità e nell'Amore. E' terribile dover avere un'anima schiacciata dal Mistero di tutta l'anima dell'umanità e nel frattempo avere un'anima chiara e limpida che trasparisca Dio come l'acqua cristallina i sassi bianchi del ruscello. Avere un'anima traboccata di tutto il travaglio del mondo, sopraffatta dall'angoscia dell'umanità intera e nello stesso momento avere un'anima che manifesti e offra la gioia dolce dell'Amore e la pace profonda della fiducia, come gli occhi di un bambino, fino a far pensare irresistibilmente a Dio.
Ho avuto le mani colmate di Dio. Il cuore ne ha traboccato. Un fiume di Lui la mia povera vita. Sono stato soltanto Lui, rimasto come sono appena un'apparenza, una realtà puramente esterna e anche questa spesso vinta e bruciata da fuoco che avvampa e rende cenere la carne e il sangue, più di un incendio.
Eppure ho tanta paura. Di non averlo dato Dio abbastanza. Di avere scioccamente stabilito le misure. Di avere posto dei limiti. Di non averlo lasciato andare, liberandolo totalmente da me, dalle mie prudenze e attenzioni, impedendogli, chissà quanto e quante volte, d'allargarsi a fiumana che straripa, di tutto sommergere come una marea inarrestabile.
Mi sgomenta pensare che forse non Gli ho abbandonato tutto il cuore, che non Gli ho concesso tutto il mio corpo e non Gli ho lasciato andare tutta l'anima mia permettendoGli, con la gioia pazza dell'innamorato, di forzare tutti i miei limiti lasciandomi serenamente e a occhi chiusi travolgere dal Suo infinito.
Ho tanta paura di averlo reso gretto Dio, limitato, ridicolo, costringendolo, comprimendolo nei miei limiti, nella mia grettezza, riducendolo alla risibilità della mia prudenza e saggezza.
Mi fa terrore questa responsabilità e chissà quanta ne ho, che Dio sia stato in me non come Lui è, ma come posso averlo creato io. Non io Sua immagine e somiglianza, ma Lui a mia immagine e somiglianza.
Un Gesù fatto da me. Un Vangelo non secondo Matteo, Luca... ma secondo me. E quindi secondo la mia vigliaccheria, il mio istinto di difesa, la mia miserabile mediocrità, la mia diffidenza del troppo, le mie paure dell'infinito... Ho tanto timore che vi sia chi ha cercato Dio in me e che ciò che ha trovato non l'abbia potuto accettare perché quello non poteva essere Dio, quello non poteva essere pensiero, insegnamento di Dio, non poteva essere Gesù, Dio fatto Uomo.
Qualche volta ho pensato, ne ho sentito perfino l'impressione fisica, che per una strana - sembrerebbe assurda, ma non lo è - per una strana, spietata onestà, atei o non praticanti possano avere sentito il dovere di continuare ad essere atei, a non essere religiosi perchè hanno potuto e dovuto pensare, dall'esperienza avuta attraverso me, che era più valor umano, più motivo d'impegno, più vastità d'ideali il loro ateismo, il loro materialismo, il loro filantropismo ecc. della Fede religiosa, dell'ideale cristiano che io testimoniavo e offrivo.
Allora non sarei soltanto un velo fra gli uomini e Dio, un muro, una montagna da impedire che possano vederlo anche se ne hanno voglia, da rendere tanto difficile il trovarlo anche se muoiono di bisogno infinito di Lui. Ma per colpa mia conoscerebbero un Dio impossibile. Verrebbero a conoscere un Gesù senza senso, assurdo specialmente nella sua affermazione di essere Dio. Un Dio, un Gesù Cristo che è onesto respingere. Che è giusto liberarsene e liberarne gli altri, per il loro bene. Penso ai lontani dalla Chiesa. Sento il dramma degli atei. Mi rendo conto dell'angoscia di chi non riesce a scoprire Dio e a non credere in Lui.
Perché non lo vedono? Eppure mi vedono tutti i giorni. Non si accorgono di Lui quando mi stringono la mano. Perché?
E' terribile che non avvertano in me cosa vuol dire Gesù e quanto Lui sia tutto nell'esistenza umana.
E' triste che non lo vedano Dio nell'anima mia. Assai più triste che non lo vedano nel brillare delle stelle e nel. l'azzurro del mare. Mi angoscia tanto che questo mio povero essere umano, questa mia esistenza cristiana, non sia manifestazione irresistibile di Lui, motivo di convincimento sereno e forte per gli uomini.
Perché se io non sono la luce di Dio e Grazia e presenza di Lui fra gli uomini, cosa dò loro, cosa ricevono da me? Non è peggio che se si spengesse il sole per colpa mia?
Chiedo perdono a chi non crede in Dio, a chi non conosce e non ama Gesù. Chiedo perdono ai lontani dalla Fede e da Dio. Essi sono gli affamati ai quali non dò il pane, gli assetati che non so dissetare. Sono gli ignudi che non rivesto. I pellegrini senza riposo che non accolgo in casa mia e forse nemmeno trovano il coraggio di venire a battere alla mia porta. Sono gli ammalati che abbandono alla loro disperazione, io che sono venuto per gli ammalati e non per i sani. Sono i carcerati per i quali io non sono libertà, eppure sono libero della libertà dei figli di Dio...
Chiedo perdono e dal più profondo dell'anima e non è perché nell'ultimo giorno non mi sia evitata la condanna, ma perché ho, dolore acerbo e terribile di non servire alla manifestazione di Dio agli uomini e alla conoscenza degli uomini, di Dio e di non servire al loro Amore vicendevole. Di non essere così niente il Mistero di Cristo, io che sono cristiano. Io che sono sacerdote, zolla di terra dove è piantata, di diritto, una Croce sulla quale, per il Mistero di Gesù Cristo, in ogni momento, devono potersi incontrare, riconoscersi e amarsi gli uomini e Dio. Tutti gli uomini, nessuno escluso, e Dio.
don Sirio
in La Voce dei Poveri: La VdP aprile-maggio 1965, Aprile 1965
Luigi Sonnenfeld
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