Non si fece mai conoscere durante la sua vita mortale, usava nel rintanarsi la stessa cura che altri usano per mettersi in mostra; una cura meticolosa e feroce. Pouget non ha pubblicato alcun libro - ma ha avuto una posterità - non somigliava nessuno, da solo costituiva una specie. Non sembrava ma in realtà era una delle più grandi intelligenze del suo tempo. L'oscurità fu il suo «ambiente»: era veramente ignoto al mondo, ma il mondo non era ignoto a questo povero cieco. Una mente aperta ed informata di tutto l'umano sapere, aveva un giudizio sicuro e posato, ardito e prudente, che dopo aver girato sofferto e gemuto trovava infallibilmente la linea precisa di demarcazione tra ciò che si può sapere e ciò che si deve ignorare.
In fondo era un uomo di campagna, paziente e schietto come un contadino: «uomo di Dio» che aveva lasciato tutto, campi, i suoi occhi, le scienze predilette, la tranquillità e la libera disponibilità del suo tempo per le «cose» di Dio.
Pouget era primogenito di sei figli. I suoi genitori erano dei contadini ex umili portatori d'acqua a Parigi: avevano un po' di roba, «qualcosa al sole», potevano bastare a se stessi, servizievoli con tutti ma liberi da tutti: ecco la nobiltà contadina. Imparò a leggere quasi da solo; a cinque anni già se la cavava. Solo a 12 cominciò ad andare a scuole, tre mesi l'anno, alternando lo studio con il lavoro della terra.
Prese la sottana a 19 anni: l'umiltà lo fece entrare nella regola di S. Vincenzo dei Paoli: "non sarò straordinario - dicevo tra me - non supererò i miei colleghi".
Sacerdote, data la sua intelligenza «mostruosa» fu insegnante a Parigi per gli allievi del suo Ordine. Un suo ex allievo dice di Lui «ci faceva constatare che non c'era da temere il piccone o il martello demolitore della sana critica: questo rendeva più visibile e più ammirevole l'opera divina del Cristo costruttore, non appena si dissipava la polvere e venivano tolti i rottami delle ingessature. Che incancellabile impressione ci ha lasciato il tono della sua voce quando parlava di Cristo «omnia in omnibus».
Pouget amava dire che i suoi exalunni non avevano perduto la Fede. «Ai giovani cercavo d'insegnare a imparare. Avevo cercato sempre di «fabbricare» della gente chi capisse qualcosa. Pare che gli alunni lamentassero che mettevo troppo in rilievo te difficoltà - in rilievo, ohimè, saranno messe molto più tardi quando andranno nel mondo, e li tormenteranno. Però non mi si attaccava mai quando ero presente, perchè avrei dato le mie spiegazioni. Il superiore mi difendeva: «Pouget ha la fede, non farà ma del male».
Il Superiore non poté difenderlo e il Padre, fu allontanato dall'insegnamento: aveva 58 anni: sacrificato, come molti a quel tempo, perchè era stato confuso con la scuola degli innovatori. E' la sorte comune di coloro che vogliono affrontare le difficoltà e buttarsi nelle lotte reali: i combat tenti di prima linea rischiano di essere confusi con gli avversari. Non si turbò «Dopo tutto non si è obbligati a insegnare, ma soltanto a cercare la verità. Vedete le dinamo: Quando non vengono innestate girano ugualmente. Io non sono più innestato ma giro. Mi si può togliere l'insegnamento mi si possono togliere i titoli, ma davanti a Dio cos'è tutto questo? Anche se mi si proibisse di confessare, che cosa mi si farebbe? Non siamo obbligati a confessare ma a confessarci. Si è tentati di reagire all'autorità, ma dietro l'autorità c'è Cristo». In questo modo dava alla Chiesa Romana, di cui era umile servitore, il più bell'omaggio ch'essa possa desiderare da un uomo: quello di una conoscenza indomita e di una mente molto difficile in materia di prove.
Non serbava mai amarezza, perchè non aveva mai lavorato per pubblicare i suoi scritti ma solo per la pura verità. Era la rettitudine e la semplicità in persona, non poteva supporre la più piccola mancanza di franchezza in un Loisy o in un Turmel: la sua carità era inesauribile, «non cogitabat malum», faceva prodigi d'interpretazioni caritatevoli per salvaguardare e difendere la loro ortodossia. Fu per Lui un vero dispiacere arrendersi all'evidenza. Quella carità cristiana non era minore per coloro che con tutti i mezzi contrastavano la sua prodigiosa influenza sui giovani: non mise mai in discussione la loro buona fede e le loro eccellenti intenzioni. «E dire che andranno diritto al cielo a causa del loro zelo! Ma sarà divertente vedere la loro sorpresa lassù. Intanto approfittiamo dei meriti di cui ci offrono l'occasione».
Vi era in Lui un alleanza così rara della povertà, della cecità e della scienza. Non aveva affatto l'amore della povertà come di una virtù desiderata e acquistata con sforzi interiori: no, questo amore era così ben ancorato nella sua natura che non sapeva di essere povero, così come non sapeva di essere umile. Aveva una specie di orrore per il denaro. Nel disfarsi delle sue poche lire (del suo pochissimo denaro) metteva la stessa cura che altri hanno nell'accumularlo. Pouget era avaro di povertà. Le sue vesti erano tutte d'accatto. Uno dei suoi scrupoli era di non chiedere nulla alla sua congregazione che era fatta di poveri e per i poveri. Il fratello che lo vegliava nella sua malattia era rimasto terrorizzato dalla povertà delle sue vesti: stracci, cenci inutilizzabili.
Dappertutto c'era questa preoccupazione di risparmiare. «Perchè non prende l'omnibus? - Costa tre soldi - rispondeva - e tre soldi rappresentano abbastanza pane per un povero». Nonostante tutte queste privazioni, Pouget si riteneva fin troppo ricco. Aveva un letto, una tavola, un tetto. Aveva una sicurezza per l'avvenire. «Gli sciacalli hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. Voi sapete che è duro dormire per terra; la testa vuole essere appoggiata a qualcosa di morbido. Vedete, quando penso a Cristo, che non aveva una casa propria, che era perseguitato, sempre costretto a fuggire da un posto all'altro, mi dico che sono abbastanza ricco».
La maniera di lavorare di Pouget era veramente prodigiosa: «non mi sono mai preso un divertimento o una vacanza». Se pensiamo a un cieco di 80 anni, senza aiuto, sempre più o meno sofferente per gli occhi così sensibili alla luce, disturbato spessissimo dai confratelli, dai penitenti e dagli studenti che lo tiranneggiano, mai in riposo, un vecchio cieco che recitava, pregava, componeva nella sua testa quello che doveva scrivere a macchina, con semplicità e naturalezza, avremo allora un'idea di quella sua straordinaria applicazione allo studio.
«Manus Domini tetigit me»: la mano del Signore lo toccò nei suoi occhi, sigillo, la cecità, su tutta la sua vita e innanzitutto sul suo volto. Aveva perso l'occhio destro a 48 anni, Vanno dopo fu la fine: il contadino dotto che dissodava la fisica e la Scrittura come avrebbe fatto con una brughiera non vide più. I primi momenti furono terribili - diceva che se non avesse avuto la fede, sarebbe stato tentato d'uccidersi. «Accettavo allegramente la mia condizione di cieco, il più allegramente possibile. Ma il passaggio fu duro. Sono soltanto una rovina». Trovò un ringiovanimento nella sua infermità. Pouget cieco si elevò ad altezze di pensiero e di vita che forse non avrebbe raggiunto diversamente. «Questo cieco che da ormai trentanni viveva un giorno si e un giorno no in una nebbia luminosa più penosa delle tenebre gettava raggi così puri di luce che si staccavano da lui e potevate portarli con voi».
Alcuni giorni prima della morte diceva: «La morte è un particolare senza importanza. Direi anzi che è dolce. Ciò che è duro è lasciare coloro che amiamo».
Era la prima volta che si sentiva dire una parola di questo genere; come i contadini era delicato; non diceva mai parole di amore. Il 24 febbraio 1933 il cieco evangelico, cessando di brancolare sulla terra, approdò a Cristo «il suo maestro incomparabile».
Bisogna cominciare ad amare sulla terra Colui che ameremo - diceva spesso Pouget.
don Rolando
da "La vita di Pouget", ed. Borla Torino
in La Voce dei Poveri: La VdP marzo 1965, Marzo 1965
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455