Sono tanti i motivi di gioia per le novità apportate allo svolgimento della Liturgia dall'attuazione della Costituzione Conciliare.
Tanto più poi se si pensa - come è giusto pensare - che queste novità liturgiche sono il segno, l'indicazione visibile di tutto un impegno più scoperto, di tutta una ricerca più sentita di contatto, di partecipazione, di unificazione con il popolo e con il tempo da parte della Chiesa.
Non è la nuova liturgia una novità per riti e cerimonia diverse, ma è nuova perché finalmente cerca d'essere coi tempi nuovi, con l'umanità nuova, quella che vive oggi.
Pensiamo che non si tratti di una riforma liturgica quanto d'una liturgia che va avanti coi tempi; che cammina insieme agli uomini per il semplice motivo che la liturgia è fatta per gli uomini in cammino, espressione attuale, sempre viva, di una realtà vivente, concreta, di ogni giorno e, diremmo, d'ogni minuto.
La Chiesa raccoglie i suoi tesori (tutto il Mistero di Dio, la Rivelazione, la Redenzione...) i suoi meravigliosi e infiniti tesori di sempre, e li distribuisce, in modo nuovo, più aperto, più semplice, immediato e alla povera umanità che vive ora sulla terra, in modo che questa umanità di ora possa meglio arricchirsene.
Anzi sembra che ora la Chiesa sia di più non tanto nell'atteggiamento di distribuire sia pure a piene mani, quanto di vivere «insieme» con il popolo i Misteri di Dio.
Mangiare e bere insieme, alla stessa tavola. Abitare nella stessa casa. Fare di più un cuore solo, un'anima sola perché la Chiesa possa essere - come dev'essere - il cuore dell'umanità e l'anima dell'universo.
Cuore dell'umanità che ama Dio e tutti gli uomini. Anima dell'universo che è lode di gloria al Signore e la voce di tutti cioè l'unica voce che dalla terra sale a! Cielo a glorificare e a chiedere a Dio la Sua dolce Bontà.
La Chiesa in questa ricerca di maggiore attualità, ri-spondenza, fedeltà liturgica è sempre di più la fontana del villaggio di cui parlava papa Giovanni, fresca e zampillante per tutti gli assetati.
Sì ha tutta l'impressione - e è motivo di grandissima gioia -che questo rinnovamento liturgico sia come un invito che la Chièsa rivolge a tutto il popolo perché entri a far parte del suo sacerdozio, prenda il suo posto intorno all'altare, unisca la sua voce a quella della Chiesa, sia parte attiva nella celebrazione del Mistero di Cristo.
E' per questo che ora la lingua del popolo è la lingua liturgica: è come una consacrazione del nostro parlare, un raccogliere le nostre parole per parlarle a Dio, ufficialmente, attraverso la Chiesa. E' un parlare fra noi nella nostra stessa lingua, come quando parliamo in casa, nella strada, fra gli amici. Sono le parole di tutti i giorni. Lo stesso linguaggio col quale ci diciamo i nostri pensieri, comunichiamo i nostri problemi, ci manifestiamo l'Amore e ci confortiamo nel dolore.
No, non è gran cosa l'uso della lingua italiana soltanto perché così si può capire ciò che legge il Sacerdote sul Messale, ma specialmente perché la lingua dei popolo - il parlare di ogni giorno e il parlare di tutti - è la stessa lingua con la quale ora parliamo con Dio. La Chiesa parla con Dio e parla con noi la nostra stessa lingua. Finalmente «ha imparato» la nostra lingua, è diventata di più della nostra terra, non si distingue più dal nostro popolo, dal popolo che non sa dire altro che Gesù e Maria come gli ha insegnato la mamma.
E siccome la Liturgia parla la stessa lingua dei fedeli allora il sacerdote è rivolto verso i fedeli. E' colloquio, dialogo, un parlare insieme, a tu per tu, a faccia a faccia e è bellissimo guardarci in volto e scoprirvi i segni della commozione, dell'infinita serietà del Mistero, comunicarci attraverso l'espressione degli occhi ciò che palpita nell'anima, vivere insieme, allo scoperto, il simbolismo liturgico, lasciandoci, tutti insieme, affascinare dalla potenza dei segni, dalle apparenze, che velano, nascondono il Mistero di Dio, la Sua adorabile presenza fra noi.
Il sacerdote, a seguito delle innovazioni liturgiche, non sta più lassù, separato, lontano, solo, a trattare le cose di tutti con Dio: è in mezzo, come al centro di una tavola imbandita, a ministrare con devoto e umile servizio, gli invitati alla mensa.
Sacerdote e popolo: è la Chiesa viva e vivente nella quale e attraverso la quale Gesù vive il Suo Sacerdozio Eterno per la gloria infinita di Dio e per la salvezza del mondo.
La nuova liturgia vuole che il sacerdote esca dal suo isolamento e scenda in mezzo al popolo e offra una partecipazione totale al Mistero di Dio. E' come aprire le braccia, spalancare il cuore ripetendo a pieno diritto le parole di Gesù: «venite a Me voi tutti che siete stanchi e affaticati e lo vi ristorerò».
E il popolo non può non accogliere l'invito.
Andare in Chiesa alla Messa ora più che mai vuol dire stringersi - anche fisicamente - intorno ad un altare. Significa entrare in una comunità di fratelli a cuore aperto, comporta un respirare l'Amore, che unisce, parlare la stessa lingua, diventare tutt'uno con Gesù, cercare l'unico Dio e perdersi nella Sua Gloria.
La Liturgia, nelle sue innovazioni sta chiedendo al clero di abbandonare ogni realtà e perfino l'apparenza di ogni privilegio. Lo costringe ad uscire da ogni posizione anche religiosa, di distacco, di lontananza. Per il sacerdote tutto il suo ministero deve essere più semplice, più immediato: un'esistenza umana consacrata a Dio e agli uomini con l'unico scopo d'aprire le braccia, il cuore e tutto il proprio destino, ad accogliere. Ad accogliere tutto il Mistero di Dio e tutta la sua realtà umana. Punto d'incontro, visibile e ministeriale, che, però, più che sia possibile deve essere semplice e povero, per non nascondere troppo e velare l'unico Sacerdote dell'unico Sacrificio che è Gesù Cristo.
E la Liturgia nelle sue innovazioni sta chiedendo al popolo cristiano di uscire da una passività che può arrivare perfino all'indifferenza e di prendere il suo posto a pieno diritto e con chiara coscienza. Chiede ai fedeli di scoprire la loro essenzialità nella Chiesa e di vivere anche esteriormente, nell'azione liturgica e poi nell'esistenza quotidiana, la loro meravigliosa realtà di «stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo d'acquisto» (I Pietro 2,9).
Bisogna allora aprire il cuore all'Amore vicendevole superando tutto ciò che distingue e divide. Nella Chiesa, popolo di Dio, sono una vergogna le distinzioni fra ricchi e poveri, fra personaggi e povera gente. E sono sicuramente profanazione e sacrilegio i vestiti eleganti e i! senso di distinzione e l'atteggiamento di distacco ecc.
Il dialogo liturgico vuol dire anche fraternità, la stessa lingua vuol dire anche uguaglianza, lo stringersi insieme intorno all'unico altare vuol dire famiglia, l'unica liturgia vuol dire unione totale fra noi con Gesù, nella Chiesa, davanti all'unico Dio, del quale, per la Sua dolce bontà, siamo tutti ugualmente figli, infinitamente bisognosi, come poveri mendicanti, di un po' d'Amore.
La Redazione
in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1965, Febbraio 1965
Luigi Sonnenfeld
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