Epifania 1965

E' la festa del manifestarsi e del rivelarsi del Salvatore e Redentore agli uomini, al di là del suo popolo, ai «pagani», cioè a tutte le genti e all'umanità nel suo complesso. Questo ci annuncia «Apparve la grazia benevola e l'umanità del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo»; la solennità dice: Ecco, Dio è qui, ancora piano e sommessamente, ancora come la primavera sta chiusa, tranquilla nella sicurezza della sua vittoria, entro il piccolo seme, nascosta sotto la terra invernale, eppure già più possente di ogni tenebra e gelo. E' la festa che proclama: «E' qui Dio, che s'è fatto uomo, che è penetrato nella povertà e nell'angustia della nostra vita», Egli è vissuto così da essere uno di noi, e da non rendere mai più dubbio quale sia l'esito di questo dramma che l'umanità recita sulla scena della sua storia, così da far cosa sicura - o fede benedetta - che questa tragedia apparentemente improvvisata con tanta assurdità, intrisa com'è di sangue e di lacrime, è invece pregna di un divino finalismo, da quando Dio stesso non si limita più ad osservarla da spettatore, ma vi partecipa Egli medesimo da attore e pronunzia le battute caratteristiche e decisive. Festa dell'apparizione del Signore: nella quale si continua perennemente a celebrare la santa Notte, che è più chiara dei nostri oscuri giorni, dacché ha accolto l'eterna piccola Luce a brillare nella nostra tenebra.
Tuttavia v'è pure un nuovo tratto in questa seconda festa natalizia, che non emergeva tanto chiaramente nella prima. Non solo Dio è venuto a noi, ma in virtù di questo atto divino gli uomini stessi sono spinti a porsi in moto, essi medesimi s'avviano verso Colui che è venuto a loro.
...Pertanto questo giorno è la festa del viaggio benedetto dell'uomo in cerca di Dio nel pellegrinaggio della sua vita, dell'uomo che trova il Signore perchè lo è andato cercando.
In realtà, quando leggiamo i primi dodici versetti del secondo capitolo di Matteo, che parla dei Magi noi lèggiamo la storia di noi stessi, del nostro eterno pellegrinaggio.
E' la nostra storia, che vi cogliamo, o meglio deve esserlo. Non siamo noi tutti pellegrini, in viaggio, uomini che non hanno sede alcuna, permanente, quand'anche, nella realtà concreta, non dovessimo abbandonare la nostra patria? Come fugge il tempo, come svaniscono i giorni, come è vero che noi siamo sempre nel divenire, che passiamo sempre oltre: abbiamo cominciato in qualche luogo e in qualche momento, ed eccoci già partiti per il viaggio, che procede sempre più avanti e mai non ritorna nel medesimo punto. E la via si svolge attraverso la fanciullezza, il vigore della gioventù, la maturità virile, attraverso poche feste e molti giorni feriali, attraverso le altezze e le miserabilità, la purezza e la colpa, l'amore e l'illusione, sempre più oltre, inarrestabilmente oltre, dall'Oriente della vita all'occidente della morte.
Ma dove si dirige questo vigore? Meta del nostro pellegrinaggio si chiama Dio. Egli abita in remota lontananza. La via verso quel termine ci può sembrare troppo lunga e difficile, ed incomprensibile ciò che noi stessi intendiamo quando diciamo «Dio».
..L'enorme flusso dì tutto il creato attraverso ogni tempo, ogni mutamento e ogni vicenda, fugge verso di Lui.
Non si deve mettere in cammino verso quella meta pure il nostro cuore, per cercarlo, se lo spirito libero trova soltanto ciò che ha voluto cercare?
...Ecco, i Saggi sono partiti... La strada è lunga, il piede spesso stanco, il cuore a sua volta sovente greve e inaridito.
Ma il cuore dei cercatori di Dio resiste, essi stessi non sanno donde continui a venir loro il coraggio e la forza, che non scaturiscono da loro, che son sempre solo quanto bastano, che neppure tuttavia vengono meno.
Quando poi giungono e si inginocchiano, fanno solo ciò che hanno sempre compiuto, già durante la ricerca e il viaggio, portano l'oro del loro amore, l'incenso della loro venerazione, e la mirra del loro dolore innanzi al volto del Dio invisibile fatto visibile.
Andiamo anche noi nel villaggio avventuroso del cuore verso Dio! Corriamo! Dimentichiamo quello che sta dietro di noi. Tutto è puranche avvenire: sono ancora aperte tutte le possibilità della vita, poiché possiamo ancora trovare Dio.
Cuore, non ti sgomentare alla vista della fila pellegrinante dell'umanità, degli uomini che procedono curvi sotto il peso del loro segreto tormento, sempre avanti, apparentemente tutti nella medesima assurdità senza scopo. Non ti sgomentare: la luce è là e risplende.
Come debbo correre? Deve muoversi il cuore! E' lui che pregando protendendosi nel desiderio, trepido, ma pronto a esercitarsi onoratamente nelle opere, corre, cammina incontro a Dio, il cuore, che crede e non si lascia inasprire, che stima più saggia la follia della carità che la furberia dell'egoismo; il cuore, che ha fede nella bontà di Dio, vuol farsi perdonare con amore la sua colpa da Lui (è cosa più difficile a compiersi di quanto forse non si pensi), il cuore che si lascia convincere dal Signore della propria misteriosa povertà di fede, né se ne stupisce ma Gli rende onore e Lo confessa, tale cuore ha intrapreso il viaggio avventuroso dei cuori regali.
E' iniziato un nuovo anno. Anche in esso tutte le vie vanno dall'oriente all'occidente attraverso i deserti della vita, senza fine, ai margini del passato. Su di esse però si può compiere il beato viaggio pellegrinante verso l'Assoluto, diretto a Dio. Parti, mio cuore, e cammina.
L'oro dell'amore, l'incenso dell'anelito, la mirra della sofferenza, li hai con te.
Egli ci accoglierà e noi Lo troveremo.


Karl Rahner


in La Voce dei Poveri: La VdP gennaio 1965, Gennaio 1965

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