Non siamo noi tre, ma siamo voi, siamo tutti

Pubblichiamo molto volentieri, togliendolo da un bollettino ciclostilato «Informazioni d'Agape» - organo dell'attività della Comunità Evangelica Valdese di Proli (Torino) - questa lettera bellissima che tre ragazze hanno scritto da Pachino, un paese estremamente povero della Sicilia, per raccontare la loro vita fatta di Fede e di Amore, in un dono totale di se stesse nella umiltà e semplicità più generosa.
Da queste nostre pagine e più ancora dal nostro cuore, giunga a queste tre nostre sorelle tutto il nostro affetto e la più profonda simpatia, la nostra unione nella preghiera e la partecipazione fraterna alla loro giornata fatta di tanta fatica, eppure di tanto Amore.

Il nostro lavoro è talmente «normale» che tutte le volte che ci accingiamo a darvi nostre notizie ci chiediamo se può interessarvi, o meno, la nostra vita «normale», la nostra vita di maestre o la nostra vita di Gruppo che cerca, in tutti i momenti della sua giornata, anche nelle cose minime di fare la volontà del Signore.
Spesso ci scrivete di parlarvi di noi, o andando in giro a fare visite o durante una discussione fortuita dal giornalaio con una collega appena conosciuta, ci viene chiesto «perchè siamo a Pachino». «Chi ve lo fa fare a stare in un posto come questo, con una specializzazione in lingue, ridursi a fare la maestra d'Asilo. Come si può, quando i giovani del posto appena ottenuta una laurea, un diploma o una specializzazione evadono, dirigendosi verso il Nord, dove si ha la possibilità di impiegarsi e di non sottostare a noiose trafile burocratiche o servili inchini al parroco del paese per ottenere un impiego».
Cerchiamo allora di spiegare il motivo della nostra presenza a Pachino. E' difficile dire, in due parole, il perchè della nostra presenza. Spesso ci accorgiamo, parlando con questi estranei, o anche con i giovani della Chiesa, che la risposta che diamo è una chiarificazione a una domanda che noi stesse ci siamo rivolta e che ci rivolgiamo ripetutamente. Soprattutto nei momenti di stanchezza o di incomprensione, nei cosiddetti «momenti neri», o quando torniamo dall'aver visitato le famiglie dei nostri bambini.
Capita che siamo colpite dallo sconforto qualche volta. La nostra presenza qui vuole testimoniare il nostro amore per il prossimo, vuole essere un segno, chiaro, della presenza dell'Evangelo in questa città e vuole essere soprattutto un motivo di lode al Signore che ci ama. Lo ripetiamo tutti i giorni durante i nostri culti, durante i nostri momenti di adorazione e di lode, oppure durante i momenti di intercessione in cui, in modo pieno e concreto, ci uniamo alla miseria della gente che ci circonda, ci uniamo alla loro fame, alla loro disperazione, alla loro rassegnazione impossibile, certe volte, per chiedere a Dio che sia presente fra questa gente che Egli ci ha dato per amarla.
Noi siamo solo tre ragazze semplici, senza alcuna preparazione specifica, senza alcuna presunzione proselitistica. Vorremmo che tutti Voi ci vedeste come tali. Ma siamo anche un segno della presenza della Chiesa che ci ha mandato, anche se non abbiamo avuto investiture speciali, imposizioni di mani, ecc. Noi sappiamo che alcuni di voi intercedono per noi. Abbiamo saputo che ciò viene fatto da alcuni gruppi di giovani, i quali oltre alla loro preghiera uniscono un aiuto materiale che ci permette di vivere a Pachino non pesando sulla Cassa dell'Asilo. E questo è per noi motivo di profonda allegrezza. Sostegno fraterno, spirituale e morale. Noi sappiamo così di non essere sole. E anche il nostro lavoro trova nel vostro aiuto una chiarificazione.
Noi qui, anche se per la gente del posto possiamo passare per strane, non siamo noi tre, ma siamo Voi, siamo tutti. E allora tutte le volte che torniamo da una visita terribilmente tormentate da quel poco che abbiamo dato o meno, sappiamo che proprio qui sta la nostra funzione, nello ascoltare i dolori altrui, nel donare tutto quello che abbiamo, tutto quello che abbiamo materialmente e spiritualmente; nel sentirci a volte «svuotate» perchè abbiamo dato tutto quello che possediamo, ma nel sapere che Voi «Chiesa» siete con noi nella manifestazione concreta e tangibile dell'amore del prossimo. Per ricaricarci ci capita di sospendere allora le nostre attività per soffermarci intorno a qualche passo dell'Evangelo, cercando di sentire il messaggio che esso può darci. Questi momenti, forse rari, sono preziosi per noi. Salta sempre fuori tutta la nostra incapacità di fronte alla maestà di Dio. Ma ultimamente meditando sulle Beatitudini o sulla Libertà del Cristiano di Lutero (letture che spesso facciamo procurandoci materiale qua e là, per dare una risposta a qualche nostra considerazione o problema che sorge parlando con gli altri) ci accorgiamo anche quanto possa essere positivo il nostro lavoro se fatto con semplicità, con gioia e soprattutto con amore, umile e silenzioso, come dice l'Evangelo.
Qualcuno ci diceva che il nostro lavoro è soltanto una goccia che si perde nel mare della miseria che dilaga. Sappiamo che molti penseranno che noi pecchiamo di presunzione. A volte, dopo una settimana di fatiche, quando siamo stanche, pensiamo anche noi a quello che è il nostro lavoro qui, al perchè siamo venute a finire qui. E la risposta è proprio lì, chiara, davanti a noi, semplice. Ci rendiamo conto che la nostra vita ha un significato e uno scopo, perchè nella nostra pochezza e consapevoli delle nostre incapacità, a noi, per prime, questo lavoro è fonte di benedizione. Anche se poco ci accorgiamo che è bello dare tutto quello che possediamo, anche se qualche volta ci accorgiamo che dare significa soltanto ascoltare le pene di una mamma ammalata, guardare la sofferenza di un bimbo denutrito, restare impotenti a volte di fronte alla sofferenza acuta di una madre che sta toccando tutto il fondo dell'amarezza perchè il marito l'ha tradita e le ha lasciato per eredità una terribile malattia e tre bambini da allevare.
Dare spesso per noi tre significa soltanto piangere per le miserie altrui, assistere a tutta la disperazione della gente che abbiamo intorno, partecipare al dolore acuto di queste persone e ricordarci di loro nella preghiera. E' ben poco. Ma forse è tanto quando ci accorgiamo che parecchi adesso vengono a cercarci e non soltanto per una scatola di latte o un pacco di vestiario, ma semplicemente per essere ascoltati. Il sorriso poi dei nostri tanti bambini ci ripaga della amarezza che spesso ci rimane dopo questi incontri. E speriamo che per loro il domani sia migliore sopratutto se riusciamo a dar loro una infanzia felice, vissuta in un ambiente sereno dove c'è, oltre al piatto di minestra, anche una carezza e un sorriso dati con tutto il nostro cuore.


L. B.


in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1964, Maggio 1964

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