Non so quante volte ho letto il discorso di Paolo VI all'aristocrazia romana. Non è per la gioia di sentire dire dal Papa, finalmente, ciò che la voce del popolo diceva da tanto tempo, con sofferenza segreta e paziente, e ciò che la storia andava insegnando col suo magistero, così sovrano e inesorabile, anche per chi ha occhi, ma non vuol vedere, e orecchi, ma non vuole ascoltare.
Nemmeno è stata una gioia, perchè sarebbe autentica stupidità, che il Papa abbia finalmente dato ragione a chi questo lavoro di rottura e di liberazione sentiva e cercava, liberazione da mentalità e tradizioni ormai superate e rimaste soltanto come soffocamento di tempi nuovi e di nuovo respiro nel popolo cristiano, non più disposto a fare da platea, da spettatore pagante e che batte le mani, alle recitazioni, più o meno sincere, dei blasonati, sul palcoscenico delle cerimonie religiose papali e non papali.
Però è stata una gran gioia e lo è in misura crescente, vedere il progredire di una libertà da ogni forma e apparenza (e anche illusione) di temporalismo, questa S. Madre Chiesa che anche nella sua realtà storica, umana, terrena, si purifica sempre più per essere testimone autentica del Vangelo e di tutto il Mistero cristiano.
E' motivo di gran felicità ascoltare il Papa dichiarare la fine di ogni potenza terrena per sé e per chi sta intorno, fino a toglierne ogni speranza, perchè viene respinta ormai anche una realtà di creduto diritto alla potenza temporale, diritto che si è trascinato per 60 anni, «durante quel torbido e paradossale periodo», ma ormai spento «per la decadenza del potere temporale del Papa avvenuta nel modo che ben si conosce...».
E che la Chiesa si sia liberata non solo del fatto, ma anche del diritto ad una potenza temporale, è miracolo stupendo di liberazione.
E' da questo miracolo di liberazione che la Chiesa acquista la possibilità di quella povertà che la mette davanti al mondo «... ormai a mani vuote., e umanamente povera...» perchè ormai «tutta assorbita nelle sue funzioni spirituali... la sua missione religiosa prende forme e proporzioni che non possono non modificare quelle sue strutture pratiche che i bisogni di altri tempi avevano suggerito essere opportune e necessarie».
Non so, ma soltanto di certi discorsi o indicazioni fatte a religiosi, o sacerdoti, ecc. dal Papa, si dà importanza pastorale valevole per tutta la Chiesa.
A me sembra che questo discorso all'aristocrazia romana sia uno degli interventi pastorali più decisivi e determinanti, che insieme al discorso di Betlem, segnano rovesciamenti radicali di mentalità e di costume pastorale e impostazioni di metodi così meravigliosamente nuovi, da segnare per la Chiesa inizio stupendo di nuovo cammino e di nuova storia.
Basterebbe che il discorso del Papa all'aristocrazia romana lo raccogliessero i Vescovi e i Parroci (e ci sia perdonato l'ardire di tanto consiglio da parte di chi è soltanto «voce dei poveri»). Perchè ogni diocesi e ogni parrocchia ha la sua aristocrazia, che anche se non è fatta di conti e marchesi, sarà di cavalieri e grandi ufficiali e commendatori, ma è sempre aristocrazia, cioè l'elite, che contorna di alone di nobiltà o d'importanza umana la cattedrale o la chiesa parrocchiale.
All'ultim'ora saranno professionisti o laureati, qualche notabile, magari in pensione, ma la cerchia di personaggi intorno all'altare bisogna che ci sia, chissà per quale necessità di onore e di gloria al Re dei re.
Può darsi che tutta questa accolta di persone ragguardevoli sia antico retaggio di consuetudini: e il Papa lo ha riconosciuto, ha cortesemente ringraziato e ha detto, non ve n'è più bisogno ormai, fratelli.
Può darsi che si pensi che se si allontanano d'intorno all'altare queste persone ragguardevoli, vi rimanga del vuoto vicino al Vescovo o al sacerdote, e manchi quel lustro d'importanza umana alle cerimonie religiose.
Può darsi che questo succeda, ma può anche darsi che molta povera gente non venga intorno all'altare e non si stringa intorno al sacerdote e al Vescovo, proprio perchè quell'alone di nobiltà o di persone di riguardo abbia tenuto a discreta distanza, e spesso assai disgustato, il buon popolo, sempre condannato a far folla che ammira e applaude i privilegiati dei posti e degli incarichi d'onore.
Insomma, ci avviamo verso la fine «del privilegio» intorno al Papa, al Vescovo, al parroco, ecc.
Sarà bello vedere che tutto sarà fra fratelli e la povertà sarà in onore, l'umiltà sarà esaltata, i piccoli saranno i più importanti, gli ultimi saranno i primi...
«La storia cammina», ha detto Paolo VI, e se la Chiesa ne accoglie il cammino e ne segue il passo con tutta la meravigliosa immutabilità della Rivelazione e con la ricchezza inesauribile della Redenzione, la storia segnerà anche il venire del Regno dei Cieli nel mondo, lungo le strade che gli uomini vanno tracciando, con tanto travaglio, nel tempo.
un prete
in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1964, Febbraio 1964
Luigi Sonnenfeld
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