Un vescovo l'altra sera parlava a un gruppetto di giovani. Un Vescovo dall'aspetto molto dimesso, quasi trascurato. L'unico segno visibile della sua dignità era un grosso anello di metallo bianco con una pietra rettangolare viola: anelli del genere li ho visti soltanto portare da qualche operaio o contadino. Parlava con una certa difficoltà la nostra lingua e ogni tanto si faceva aiutare dall'uditorio, molto impegnato a suggerire le parole adatte. Una immensa diocesi la sua, grande come tutto il Belgio e appena una trentina di sacerdoti. Eppure era sereno, quasi ottimista, anche se, evidentemente, questo ottimismo voleva dire e era soltanto una Fede immensa e un Amore senza limiti.
Gli traspariva la ricerca appassionata del Regno di Dio nel mondo e l'impegno totale di servire alla Gloria di Dio e al Mistero della salvezza di tutti gli uomini.
E quindi, allora, il desiderio struggente di rendere la Chiesa pronta e aperta a tutta la sua missione di presenza viva ed efficace del Mistero di Gesù Cristo dentro l'umanità specialmente del nostro tempo. Ne risultava, coraggiosa e scoperta, una visione di tutta la realtà umana nella difficoltà dei suoi rapporti con Dio, una oggettiva constatazione della disunione del mondo cristiano e del bisogno, così tanto sentito e scoperto di obbedienza al precetto del Signore di essere, fra fratelli, una cosa sola: e le possibilità, le complicazioni storiche, geografiche, i punti positivi raggiunti e le difficoltà, in questo momento, apparentemente insormontabili...
D'altra parte questo Vescovo dalla croce pettorale fatta col legno di un albero che un tempo copriva di foreste la sua terra e dall'anello pastorale come quello di un contadino, parlava con tanta schietta semplicità e onesta immediatezza, delle tremende responsabilità che pesano sulla Chiesa di Dio del nostro tempo.
Il Concilio, diceva, è una immensa fatica per una ricerca veramente appassionata, che la Chiesa fa per rinnovarsi e, per quanto l'assoluta e perfetta fedeltà alla Verità, di cui essa è custode e maestra infallibile, le consente, di adeguarsi al momento storico in cui vive l'umanità del nostro tempo in modo da essere, come misteriosamente, ma concretamente cioè storicamente deve essere, presenza continua del Mistero d'Incarnazione del Figlio di Dio fra gli uomini, Gesù Cristo.
Perchè tutto questo Mistero possa essere vivo nel mondo ciò che il Concilio sta facendo (e è ciò che del Concilio più appare e viene seguito) non può essere determinante e tanto meno decisivo anche se, ovviamente, ha una immensa importanza. Perchè non saranno le nuove leggi, le innovazione, le riforme strutturali e disciplinari a rendere più accettata la Chiesa nel mondo né più efficace la sua opera di evangelizzazione.
Nemmeno possono bastare i grandi esempi che il Concilio sta offrendo per significare lo Spirito nuovo, più aperto e sensibile, pronto e coraggioso, che deve animare tutta la Chiesa e tutta la Cristianità in modo da essere sempre più vivente testimonianza di un dovere di Verità e d'Amore a misura universale.
Ciò che occorre in modo assolutamente condizionante è che il Concilio arrivi dentro la Cristianità, è necessario che sia accolto dai cattolici, non tanto con ossequiente ma distaccato rispetto e nemmeno come una nuova sistemazione di consuetudini, usanze e anche tradizioni d'importanza sempre molto marginale e insignificante, alla quale si cercherà, per quanto è possibile, col tempo di adattarci.
Il Concilio, diceva il Vescovo con una sorta di angoscia e profonda preoccupazione, ha bisogno assoluto per raggiungere i suoi scopi e realizzare i suoi motivi, ha bisogno di ottenere una vera e propria conversione del popolo cristiano cioè di tutta la Chiesa, una trasformazione di vita e d'esistenza.
E' difficile dire e spiegare in cosa deve consistere questa conversione, ma è certo che ognuno di noi, diceva il Vescovo - e gli si poteva misurare nell'anima l'intensità e la forza della sua convinzione - è necessario che sia diverso da quello che è stato fin qui, perchè la Chiesa possa apparire nuova, perchè i cristiani possano riuscire a far accettare la loro Fede e ottenere Amore alla Chiesa viva «dentro» l'esistenza umana, realmente incarnata fra gli uomini a compiere il suo Mistero di salvezza.
Arrivato a questo punto, per chiarire l'importanza della necessità di essere «nuovi» per essere secondo le nuove esigenze che la storia ha stabilito nell'esistenza umana nei confronti della Chiesa e, in genere, di tutto il problema religioso, il Vescovo si è messo, a mo' d'esempio, a fare un racconto e usava molta mimica efficacissima e una descrizione molto spiritosa e fantasiosa, ricchissima di immagini molto significative.
Immaginiamo, raccontava il Vescovo, che una famiglia, chiamiamola così Gentilini, marito, moglie e figli, riceva in eredità un castello, uno di quegli antichi splendidi castelli medioevali, perfettamente conservato.
La famiglia Gentilini va a vedere il castello per prenderne possesso è quindi abitarvi. E il Vescovo descrive la scena rendendola molto viva. Il ponte levatoio. Muraglie di fortezza. Finestrucole inferriate. Strade d'acciottolato per cavalli. Porte segrete. Cunicoli bui... E niente luce, niente bagni, niente televisione, niente radio ecc. E neanche l'ombra di mentalità moderna. Passati i primi momenti di stupore e sorpresa la famiglia Gentilini si mette al lavoro e risistema il vecchio castello in modo da renderlo abitabile e confortevole.
Ma ultimati i lavori si presenta un altro grosso problema.
Se i Gentilini sono una famiglia poco simpatica, con il padre ubriacone, la madre irritabile e suscettibile che scatta ad ogni momento da sembrare un basilisco, i figli sciocchi, pigri, inebetiti ecc.. non possono avere molti amici che vadano ad abitare nel castello rimodernato. Gli inviti cadranno nel vuoto e nessuno vorrà avere rapporti con la famiglia Gentilini. Il castello è bello, ma I suoi abitanti sono assurdi, impossibili, scostanti...
Il racconto è troppo scoperto perchè ci sia bisogno di fare le giuste applicazioni: sono chiarissime. E il Vescovo conclude dicendo che la Chiesa sta facendo un lavoro immenso per ammodernare le sue istituzioni, rendere viva la sua pastorale, accogliente e soddisfacente ai bisogni del nostro tempo la sua struttura. Ma in modo particolare sono gli abitanti del castello che devono operare una profonda conversione. Devono rendersi testimonianza viva, intelligente, serena, aperta, autentica, di una Verità che rivelata da Dio e incarnata da Lui nel mondo, pur rimanendo interamente se stessa, può e deve incarnarsi in ogni tempo, in modo da non essere soltanto un ricordo di altri tempi, una cultura passata, un pezzo da museo, da conservarsi gelosamente come un glorioso patrimonio indice di grandezze e glorie tramontate. Bisogna che la Chiesa ritrovi la sua forza di presenza, il suo Mistero di vita vissuta dentro l'umanità intera e in ogni tempo. Perchè il Suo Mistero è essenzialmente Mistero d'Incarnazione per poter essere Mistero di Redenzione nel mondo.
Ogni cristiano porta in sé questa tremenda responsabilità di rendere vivente nel suo tempo la Chiesa e il Concilio vuole essere invito solenne e appassionato e nel frattempo aiuto concreto e generoso, per l'assolvimento di questa responsabilità.
Naturalmente il parlare del Vescovo è stato molto più vivo e colorito di questo povero articolo. Ci siamo permessi però di riferirne le idee più importanti: oltre a tutto hanno anche la preziosità di una sincerità sofferta e pagata, pensiamo, molto duramente, dal momento che non finiva di ringraziare perchè una famiglia che nemmeno lo conosceva gli ha dato un letto per quella notte. E al mattino quando l'abbiamo accompagnato alla stazione, voleva portare da sé, a tutti i costi, un grosso sacco a tracolla dove aveva le sue cose personali e una pesante valigia piena di libri e fogli e fotografie da distribuire in qualche seminario nella speranza di una vocazione che andasse a fare qualche prete in più di trenta che sono nella sua diocesi. Una diocesi grande come il Belgio e parrocchie con villaggi lontani anche 150 kilometri: povero Vescovo dalla croce pettorale fatta con un pezzo di legno di un albero che cresce nella sua terra.
La Redazione
in La Voce dei Poveri: La VdP dicembre 1963, Dicembre 1963
Luigi Sonnenfeld
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