La seconda Messa novella

Voglio scriverne perchè la Verità che diventa Amore attraverso la sofferenza non può che essere raccolta e comunicata, così, con semplicità e spontaneità. E' così difficile che capitino momenti in cui ci si scopre veri, in piena chiarezza, fino al punto che tutto è veramente nella luce, che quasi sembra che non si debba più vivere ancora, perchè vi è stata come una conclusione, un essere arrivati. Sono i momenti in cui si capisce con estrema serenità che sarebbe giusto e bello morire, quasi per l'impressione che niente ancora si possa aggiungere.
Ma sono pochi istanti, è per un tempo brevissimo e poi si ricomincia con fatica a cercare di nuovo. La luce è stata così violenta, che poi gli occhi rimangono abbacinati, ed eccoci di nuovo a cercare di vedere qualcosa nel buio. Il cuore ha capito con intelligenza aperta e profondissima, ma è stato per intuizione, al di là di ogni razionalità, e quindi rimane sopraffatto e dopo logicamente la fatica è più gravosa e pesante.
Rimane però assai più del ricordo e anche assai più di una esperienza vissuta: ci si trova come in un paese nuovo, a una diversa altitudine, in posizione avanzata, più scoperta, come assai più compromessi, ormai presi e portati via. Cominciano nuovi rapporti e hanno inizio nuovi doveri perchè l'Amore è di più, Dio è più Dio e il Suo Essere assoluto più liberamente assoluto.
Ho cercato di non drammatizzare quando è morta mia madre. Ma ho tanto desiderato di vedere tutto con serena semplicità, perchè la morte va vista con dolcezza, non come una nemica, qualcosa soltanto contro di noi.
D'altra parte ad aiutare a questa visione serena vi erano anche innumerevoli motivi umani che, considerati nel loro giusto valore, comportavano un dolce ringraziare Dio di tutto, perchè troppa è stata la Sua Bontà e generosa la Sua Misericordia.
A me ha chiesto sempre poca sofferenza e quella poca sofferenza sempre l'ha chiesta quasi con riguardo, con premurosa attenzione: forse ha visto che io non avrei saputo o potuto soffrire troppo e, allora, in quelle poche volte ha sovrabbondato, sopraffatto tutto di Amore.
Avevo deciso, forse senza riflettere troppo, obbedendo a un dovere di Amore filiale: mi era sembrato che celebrare la S. Messa, in Chiesa, durante il funerale, era ciò che più sarebbe piaciuto a mia madre. Era dirle tutto, donarle tutto di me stesso. Era l'essere insieme ancora una volta. Mi sembrava che ancora una volta lei poteva essere presente e ancora consentire al mio essere di Dio al quale mi aveva dato con profonda Fede.
Ma poi le forze quasi mi sono venute a mancare e recitavo le parole a fatica, quasi con respirazione affannosa e quando mi sono voltato e le ho detto «Dominus vobiscum», ho intravisto appena, laggiù in mezzo alla chiesa, la bara fra i quattro ceri accesi, ed era già penombra, di questi primi giorni di novembre, pesante di nuvole e di pioggia, nel pomeriggio appena inoltrato.
Ma poi a poco a poco tutto si è allargato e disteso, come aperto in orizzonti vastissimi. All'offertorio, quel pezzetto di pane e quelle due dita di vino erano tutta la vita di mia madre, povera donna, e la sua storia di fatica la sentivo tutta presente come se la vedessi con un colpo d'occhio. Erano la mia povera sofferenza così pesante eppure serena, mi sembrava tanto grave e terribile, quasi da non poterla portare, ma poi mi è venuto con chiarezza e come per uno strano senso di giustizia e d'Amore, di allargarla, si è andata distendendo, come perdendosi nella sofferenza umana, nella sofferenza della condizione umana.
E la mia sofferenza è rimasta soltanto come motivo di sincerità per questo aprirmi a tutta la sofferenza dell'esistere umano nei problemi della vita e della morte.
Avevo il diritto (forse per la prima volta nella mia vita) di conoscere e di vivere tutto il Mistero umano, di raccoglier nelle mie mani, nel mio cuore, nella mia anima, fino a essere tutta la realtà umana, in tutta la sua misteriosità di povertà e di sofferenza.
Mi sono sentito sincero ad essere prete, in diritto, pienamente giustificato ad entrare e a essere nel vivo problema umano, là dove veramente vi sono soltanto lacrime e sangue.
La morte di mia madre che aveva scavato in me quella sofferenza aperta a tutta la sofferenza dell'umanità, mi dava sincerità, verità di sacerdozio.
E' proprio vero che soltanto la sofferenza ci rende veri, in diritto a entrare nel Mistero di Dio e del mondo.
Allora, forse per la prima volta, mi sono sentito in diritto, consapevolmente autorizzato e giustificato a chiamare Dio a entrare nell'umanità. A chiamarLo dal più profondo dell'esistenza. A chiamarLo con una invocazione fatta d'infinito bisogno, di necessità assoluta.
A chiamarLo perchè venga subito e intero e totale in una realtà presente, attuale, tutta raccolta in quel momento, perchè quel momento era tutto il tempo, mia madre morta in mezzo alla chiesa e io, a celebrare con lei la Messa, eravamo la sofferenza di tutto il mondo, di tutti gli uomini tragedia incessante della morte che rapisce, stronca, porta via, separa e distrugge spietatamente ad ogni istante e nei modi più disperati e drammatici.
Non credo che le sia dispiaciuto - la morte sicuramente supera e vince ogni limite individualistico per aprirci e consegnarci alla Verità essenziale e all'Amore universale, per un entrare apertamente nel Mistero di Dio in partecipazione totale - non credo che le sia dispiaciuto, alla mia cara e piccola vecchietta, di avermi dato di celebrare, dopo vent'anni dalla Messa novella, un'altra Messa novella, e questa volta celebrando la Messa con me, chiusa dentro una bara in mezzo alla nostra chiesa, tra quattro candele accese. E allora, vent'anni fa, mi offrì a Dio sicuramente consegnandomi al Mistero di Cristo che celebravo, per la prima volta, sull'altare: ora, l'ho capito bene, con la sua morte, mi offriva a Dio lasciandomi tutto a Lui, anche quella parte, sia pure tanto piccola, di me, che si era tenacemente conservata per sé, quasi con gelosia e consegnandomi a tutto il Mistero di Cristo che tutto allarga a misure universali, capaci di arrivare ad ogni uomo e a tutta la realtà umana.
E non le sarà dispiaciuto di quasi sparire dentro l'immensità di questo Mistero di Cristo, piccola cosa, nascosta e unita a tutta l'umanità dentro la quale il Figlio di Dio compie incessantemente redenzione e salvezza.
Alla Messa novella di vent'anni fa venne all'altare sull'ultimo gradino, io le detti la Comunione, quasi a ricompensarla di avermi dato a Dio: in questa seconda Messa novella non è venuta, è rimasta laggiù, chiusa nella bara, fra i quattro ceri accesi, è venuta però sull'altare la sua morte, per essere l'unica morte con quella di Dio e con quella dell'umanità intera.
Per la Comunione non ve n'era bisogno che venisse, perchè il giorno prima di morire mi aveva già detto, quando le chiedevo se voleva fare la Comunione: no, non importa, non l'hai fatta tu, stamani?


don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1963, Novembre 1963

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