Ci sembra doveroso seguire il Concilio Ecumenico nel suo svolgersi graduale di sessione in sessione, leggendo sui giornali i resoconti dei lavori, ma specialmente ci sembra doveroso raccogliere lo spirito di ricerca, di rinnovamento e quindi di fervore che si manifesta tanto apertamente fin quasi a invogliare alla discussione, al dibattito, sicuramente all'ansia di un impegno a misure d'intensità formidabili.
Pensiamo che sia giusto quindi raccogliere i problemi che il Concilio va suscitando nel nostro cuore, impostati da un vivo e struggente bisogno di rapporto fra quella Verità a poco a poco enunciata dal Concilio nelle sue sessioni, ma specialmente a volume veramente immenso, dall'insieme delle circostanze e avvenimenti e della condotta del Concilio stesso e la realtà pratica, concreta di questo nostro tempo e dell'umanità per la quale il Concilio vuole essere.
Perchè a nostro parere il problema più grave che dev'essere affrontato e, in qualche modo risolto, è il far calare la dottrina nella realtà concreta, il tradurre un insegnamento in vita vissuta, l'operare una vera e propria «incarnazione» di tutto il Mistero religioso e cristiano, rendere, in una parola, la Verità Amore.
E qui è il punto. E non per nulla questo Concilio viene definito «pastorale» proprio a indicare questo problema di costruzione della vita e di esistenza secondo la Verità rivelata.
Questa azione pastorale può rischiare però di essere intesa (come spesso succede forse perchè rimane sempre azione più consona e più facile, se non altro più tradizionale) come intensificazione di attività di insegnamento, di predicazione a forza di discorsi ricorrendo a tutte le tecniche più moderne e a tutte le risorse propagandistiche che la impressionante attrezzatura del nostro tempo fornisce.
Può anche essere intesa come un moltiplicarsi di attività organizzate, un riaccendere devozioni o raffinare quelle tradizionali, un ricorrere a celebrazioni e feste religiose, congressi ecc.
Non diciamo queste cose per poca considerazione o apprezzamento di queste attività pastorali e tanto meno per disprezzo di tutta una pastorale tradizionale certamente ricca di meriti e benemerita di gran parte della religiosità dei nostri tempi, ma è per porre in evidenza, con visione scoperta e coraggiosa, che questa pastorale potrebbe anche aver fatto il suo tempo o se non altro non essere tutta pastorale necessaria al nostro tempo e ormai indispensabile alla sensibilizzazione religiosa della nostra gente, e tanto più per renderla concretamente cristiana.
La pastorale ci sembra che attualmente debba impegnarsi nella ricerca di questa traduzione pratica, concreta della Verità rivelata. E' necessario che stabilisca contatti fra la Dottrina e la vita reale, attuale. Bisogna calare l'insegnamento teologico nei problemi d'esistenza. Ottenere una incidenza viva e costante in ogni fatto e avvenimento in modo che risulti l'insegnamento religioso come normativo di tutta l'esistenza del nostro tempo. E' indispensabile e urgente che il Cristianesimo sia presentato come «sistema» di vita capace di guidare e reggere e risolvere tutto l'esistere individuale, familiare, sociale, internazionale, di questa vita terrena e quindi, come logica conseguenza, dell'altra.
Si, d'accordo, tutto questo è sempre stato insegnato e abbondantemente fino alla casistica più spicciola e più banale. Ma nel nostro tempo - e è questo il nocciolo del problema - non basta più che sia insegnamento, parola predicata, sul pulpito, alla radio o sul giornale che sia e nemmeno nelle adunanze o ne! confessionale ecc. bisogna che sia parola «spirito e vita», parola fatta carne, che abita fra gli uomini, testimonianza vivente e quindi vita vissuta con delle scelte chiare e precise, assolutamente inequivocabili che rendano quella parola «est est, non non» cioè Vangelo vivo e vivente, Vangelo gridato con la vita, come diceva P. De Foucauld. E, si noti bene, tutto questo non vuol dire che ciò che bisogna fare sono delle buone azioni, dare dei buoni esempi, compiere opere buone da parte dei preti, dei frati, delle pie persone. Non basta più nemmeno questo ai nostri tempi. Perchè occorre molto di più. Occorre perfino molto di più che l'avere dei santi, come succedeva una volta, per cristianizzare il nostro tempo.
Perchè per riconquistare la fiducia nella Verità e farla accettare come Amore non possono più bastare le parole o le cose eccezionali, ma è necessario che tutto «il sistema» sia quella Parola, e tutto «l'insieme» la renda Amore, in modo che sia vista come vita vissuta, come modo d'esistenza e non soltanto come un insegnamento, una dottrina che poi ognuno traduce in pratica come meglio crede o come meglio gli torna, perchè in fondo manca, non è visibile, il modo, il tipo di vita sul quale paragonare la propria.
Al Comunismo, che è marxismo filosofico e chiare scelte sociali e preciso e ferreo modo d'esistenza, bisogna contrapporre il Cristianesimo col suo insegnamento teologico e filosofico, ma anche con chiare scelte sociali e concreta e precisa realtà d'esistenza, incarnazione scopertamente vissuta di quella dottrina teologica.
Finché continuiamo a insegnare la Dottrina Cristiana, e la vita vissuta è poi la civiltà occidentale nelle sue mentalità e modi di esistenza e di convivenza, il problema religioso rimane sempre più su un piano devozionale, pietistico, sentimentale, quindi pressoché inutile in ordine alla cristianizzazione dell'esistenza.
Non è certamente facile e semplice dire cosa si può fare per cercare questa «incarnazione» del Cristianesimo nel nostro tempo.
Noi, al massimo, siamo dei poveracci capaci soltanto di soffrire l'enorme problema e non abbiamo davvero altro titolo a parlare di questi problemi all'infuori di questa sofferenza, eppure pensiamo che delle scelte devono essere operate, posizioni precise devono essere prese in questo nostro mondo e, ripetiamo, non soltanto a parole, con comunicati, con Encicliche, con prediche, con esortazioni più o meno con cuori «pastoralmente» aperti e sensibili ecc., ma con ricerche d'intervento e di presenza in tutta la realtà umana del nostro tempo, coinvolgendoci con coraggio in ogni problema d'esistenza, spinti e guidati e sorretti soltanto dalla fedeltà al Vangelo e dall'obbedienza al Mistero di Cristo, in modo da essere, nel pensiero e nel modo di vita, Cristianesimo.
Non sappiamo dare degli esempi pratici e non abbiamo sistemi pastorali da proporre, seguendo i quali si ottiene l'effetto, ma ci viene in mente il papa Giovanni XXIII e quei vescovi che ogni tanto al Concilio tirano fuori il discorso sulla Chiesa dei poveri e ci si consenta anche il pensiero e il ricordo di quei poveracci che sono stati i preti operai.
La Redazione
in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1963, Novembre 1963
Luigi Sonnenfeld
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