Quanc Duc, Bonzo, nostro fratello

«Saigon, 12 Giugno 1963: un monaco buddista si è fatto cospargere di benzina e poi ha acceso un fiammifero, dandosi fuoco in pubblica strada. E' morto dopo una diecina di minuti, fra orribili tormenti, ma senza levare una voce di lamento. Lo ha fatto per protestare contro la persecuzione nei confronti dei buddisti da parte del governo» (dal «Giorno»).
Silenzio assoluto fra la folla: monaci, popolo, poliziotti, pompieri udivano soltanto il tuo lento salmodiare e lo sfrigolare delle fiamme addosso alla tua veste gialla che ricopriva il tuo corpo settantenne.
Non l'ucciderti ma la libertà della tua fede, era diritto. Sarà facile, per molti, parlare di fanatismo; tu, fratello mio, avresti dovuto cospargere d'Amore, di pazzo impossibile Amore la tua vita, solo di questo fuoco era degno il tuo vecchio cuore stanco!
Ti sei imposta una morte sì orrenda perchè altri opprimevano forse il diritto del tuo salmodiare, i canti della tua pagoda, i riti e l'insegnamento della tua religione. Io commosso ed impotente non ti condanno, ammiro il tuo coraggio e ti comprendo.
Di fronte a quegli uomini inorriditi e commossi hai reso evidente, terribilmente morendo il perchè del tuo vivere. Eri certo che Dio è Libertà: forse non conoscevi il modo giusto di amarLo.
Fa tanta tristezza, fratello mio, vedere la dignità della persona umana, conquistata spesso con lacrime e sangue, conculcata e distrutta da eredi di Martiri.
Ignoro i motivi «precisi» del rogo suicida, so che in nome di Dio altri roghi omicidi furono e possono essere accesi.
Anch'io, fratello mio Bonzo, sono responsabile della tua morte: i facili pregiudizi, il servirmi degli altri, la difficoltà del perdono, arido e indifferente alla pena e alle lacrime, la «gioia» per l'insuccesso del «mio nemico», la pagliuzza nell'occhio fraterno, chiudono giorno per giorno il mio cuore all'Amore.
Spesso m'illudo in lacrimosi sentimentalismi: anche gli aguzzini coprivano con le sinfonie eroiche o pastorali le grida disumane dei torturati!
Su quell'incrocio di strade di Saigon, in quelle fiamme di giugno si raccolgono le sofferenze e i lamenti di tutte le vittime delle dittature, dei soprusi, de razzismi, nel tuo cuore stanco, o vecchio bonzo fratello nostro, brucia la speranza dei pellegrini dell'Assoluto, dei mendicanti del Regno di Dio, poveri illusi d'Amore che ancora, malgrado tutto, ostinati credono pregando «E' nella debolezza che sono forte».


R. M.


in La Voce dei Poveri: La VdP luglio 1963, Luglio 1963

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