Se fosse possibile scrivere una lettera come fanno i bambini a Natale quando scrivono letterine a Gesù Bambino, vorrei scrivere una lettera a Papa Giovanni, ora che è in Paradiso. E non sarebbe per dirGli molte cose, chiederGli qualcosa di particolare, implorare la Sua protezione ecc., no, no, forse sarebbe soltanto per manifestarGli una immensa gratitudine.
RingraziarLo di che cosa? Di essere stato un Papa buono? Non credo, perchè è logico che un papa debba essere buono e lo sono stati sicuramente tutti, anche se un po' più o un po' meno e in modi diversi.
RingraziarLo perchè aveva una faccia simpatica, un modo di fare alla buona, un comportamento semplice e aperto? Non credo che sia merito Suo essere nato a Sotto il Monte da una buona e patriarcale famiglia di contadini, semplici e schietti come la terra vangata, naturali come la pioggia e il sole. E nemmeno perchè ha avuto un cuore grande da poter accogliere tutti gli uomini fino a non lasciarne fuori nemmeno uno: avere «un cuore fatto sulla misura del Cuore di Cristo», come ha scritto «El Mundo», un giornale di Cuba, è troppo unicamente dono di Dio.
E nonostante tutta la gioia e la chiarezza e il coraggio per poter tirare avanti la dura battaglia in mezzo al mondo operaio per realizzarvi i principi cristiani di rispetto della persona, della carità nei rapporti e della giustizia, che me ne sono venuti dalla Sua Enciclica "Mater et Magistra", non mi pare di avere sentito per Papa Giovanni della particolare riconoscenza e forse perchè ancora di più vorrei la Chiesa viva e vivente, nel mondo operaio, per una presenza di totale partecipazione non solo d'insegnamento e di magistero, ma anche concreto ed effettivo, come tanto ho sognato ai tempi quando ero prete operaio.
E' certo che il Concilio Ecumenico è qualcosa di cui sento tanta gratitudine verso Papa Giovanni.
Questo Suo chiamare la Chiesa universale allo scoperto e affrontare coraggiosamente i vuoti, le carenze, le mediocrità e cercare di rinnovare, colmare, rivedere e portare avanti, questo aprire le porte a tutti, chiamare, invitare, scongiurare all'unione, all'Amore, alla pace... povero vecchio, già malato e forse tanto stanco: sì, sì, tanta riconoscenza per questo Suo coraggio, per questa Sua meravigliosa forza di Fede in Dio, nella Chiesa, nell'umanità, per questo Suo credere nella onnipotenza della Verità e della Bontà.
E tutta la gratitudine è andata crescendo per l'enciclica «Pacem in terris», questa improvvisa e appassionata riconsacrazione della Chiesa in ordine alle sue finalità temporali e terrene, ma soltanto per essere incarnazione fra tutte le genti della «pace fondata sulla Verità, sulla Giustizia, sull'Amore, sulla libertà».
Ad ogni giorno e sempre più, con crescendo meraviglioso e miracoloso, per opera Sua la Chiesa è come uscita dal chiuso, da limiti e confini e si è andata allargando, espandendo nella considerazione degli uomini, in una stima nuova, in una simpatia insospettata. E sempre più l'umanità dispersa sulla terra e tutta impegnata nei suoi problemi, si è alzata a guardare, voltandosi verso il papa, raccogliendosi ad ascoltare la Sua Parola, serenamente aprendosi ad accogliere la dolcezza della Sua Bontà,
Quell'agonia di quattro giorni di papa Giovanni e il Suo sereno morire ha fatto conoscere il Cristianesimo e ha parlato del Mistero di Cristo, fino al punto che l'umanità intera e con immensa trepidazione e con partecipazione incredibile, è stata intorno al letto di un uomo che muore cristianamente.
Per la prima volta nella storia dell'umanità, per il Papa Giovanni, per il Suo pontificato e per la Sua agonia e morte, la Chiesa, Gesù Cristo, Dio, il mistero dell'esistenza terrena e eterna, sono stati al centro dell'umanità, il cuore dell'umanità, l'Amore dell'umanità, vincolo di unione, punto d'incontro di tutta l'umanità.
E tutto questo non per virtù e mezzi umani: non per intelligenza, cultura, ricchezza, potenza, e grandezza, ma per l'umile dolcezza, per il cuore interamente aperto, per l'Amore senza limiti e stanchezze, per la Bontà inesauribile, per una Fede incrollabile in Dio, in Gesù Cristo, negli uomini tutti.
Esaltazione di Lui, di Papa Giovanni, ma in modo chiaro e scoperto, anche se per molti indiretto, esaltazione del Cristianesimo, della Parola e dell'esempio di Cristo.
Papa Giovanni ha testimoniato cosa può il vero Cristianesimo di Gesù Cristo sul cuore dell'umanità. E ha testimoniato come e quanto la Chiesa di Gesù Cristo possa essere viva e operante il Mistero Cristiano nella storia dell'umanità.
Vorrei tanto ringraziarLo, Papa Giovanni, di avermi dato, profonda e immensa, quasi esaltante, la gioia di essere come cristiano nel mondo, fra gli uomini.
E' la prima volta che ho sentito sinceramente e profondamente amata la Chiesa. Ho sentito la Chiesa libera e aperta nel cuore di tutti e accolta su tutta la terra. La Chiesa che custodisce la Verità perchè tutti abbiano, come il cielo, sgombrato di nuvole, che offre il sole al mattino per illuminare e riscaldare il mondo.
La gioia di essere prete. Anima e corpo consacrati all'Amore di tutti gli uomini, assolutamente di tutti, costi quel che vuol costare questo terribile Amore universale. Dentro l'umanità a testimoniare che Dio è bontà, che gli uomini sono fratelli. Uomo di pace. In cerca appassionata di giustizia. Capace di tutta l'infinita libertà dei figli di Dio. Con le mani colmate dell'unica ricchezza cristiana. Disarmato e inutile, eppure quasi onnipotente. Solo, eppure con tutto il destino dell'esistere umano e dell'universo nell'anima...
La gioia di vivere soltanto e unicamente per Gesù Cristo, per parlare ancora la Sua Parola e rendere ancora vivente qualcosa del Suo esempio e tutto il Suo Mistero infinito di Gloria a Dio e di salvezza per l'umanità.
Questo destino della mia vita di cristiano e di prete, spesso rimasto nascosto e segreto, qualcosa di vissuto nel profondo dell'anima o scopertamente in qualche momento di particolare chiarezza interiore o d'impegno sacerdotale, ma sempre nel giro di pochi amici aperti, a certa ricerca, questo destino di cristiano e di prete, Papa Giovanni mi ha dato di viverlo, anche esternamente, a respiro universale, proponendo al mondo la Verità e l'Amore di Cristo e conquistandolo a forza di dolcezza e di bontà.
Sono vent'anni che sono prete. Non ho mai pensato che farsi sacerdote voglia poter dire una sistemazione nemmeno su un piano spirituale, religioso, cristiano. Non è assolutamente essere arrivato - ora ci siamo e quindi tutto è a posto, come quando uno lo fanno cavaliere, commendatore o monsignore. No, tutto è cominciato da quel giorno dell'ordinazione sacerdotale perchè quello è un fatto che ha segnato l'entrare nel Regno di Dio in modo veramente qualificato e scoperto e in misure senza dubbio senza misura, ha comportato l'assumere nel proprio destino tutto ciò che è di Dio e tutto ciò che è dell'umanità, dal primo giorno del mondo fino all'ultimo, compreso anche il buio della notte.
E quindi il tormento di una sincerità, l'ansia di una ricerca, il bisogno assoluto di Verità, il dovere tremendo di tutto l'Amore,
Erano tempi caldi quelli del dopoguerra. E giovane sacerdote ho vissuto l'epica di quelle battaglie, a lotta serrata, per la salvezza, della Fede e della libertà, ma anche con animosità accesa, con esaltazioni guerriere che, in fondo, mi avevano insegnato a giudicare come «zelo dimorante per la casa del Signore».
Non rimpiango niente e nemmeno lontanamente penso che è stato tutto sbagliato, ma in quelle fiumane di giovani o di ragazze a cantare inni verso l'Urbe, in quelle adunate oceaniche colmate di entusiasmi e di sublime eroismo a significare la giovinezza esuberante della Chiesa, non sono riuscito a vedere più «la Chiesa istituzione di salvezza», Mistero di Cristo nascosto dentro il cuore dell'umanità.
E non riuscivo ad accettare quel modo di vita sacerdotale, non avevo la gioia di essere prete, non riuscivo a essere convinto che se le cose erano così ne valesse proprio la pena essere consacrato alla Chiesa.
La Chiesa, il papa, il Cristianesimo in tutta la sua grandezza, secondo tutta la sua necessità di realtà centrale ed essenziale in ordine a tutta l'esistenza, ma non poteva essere quella la strada definitiva, il metodo vero.
Il sacerdote a organizzare schiere balde e pronte armandole per guerre sia pure di religione, ringiovanendo anche le vecchiette con animosità battagliere, non mi dava il senso vero, cristiano, del sacerdozio cattolico.
E la Chiesa grandiosa, potente, temuta, ricca di validità umane, affannosamente preminente nelle considerazioni e degli apprezzamenti umani secondo misure e metodi e criteri quasi unicamente temporali, non l'amavo: non mi ero consacrato a questa Chiesa, così chiusa e riservata, sul piedistallo, lontana, dentro le mura di un castello ben difeso e agguerrito, garanzia di particolari civiltà, anche se considerate civiltà cristiane.
Perchè la terra è vasta quanto il mondo e il popolo è l'umanità e i figli di Dio sono tutti gli uomini. Insieme alla legge vi dev'essere l'Amore perché più che la sicurezza delle difese, difende e salva la forza della speranza.
Non ci si può chiudere nel limite di visioni personali, ma è necessario aprire il cuore alla fiducia. Non io e tu e nemmeno noi contiamo, ma tutti, assolutamente tutti. E l'inflessibilità dura e tenace sarà fermezza, ma è la Bontà che vince. E non è vero che bisogna piegare gli altri a noi ma noi dobbiamo piegarci verso gli altri, perchè tocca a noi andare a salvare ciò che era perduto, se è vero che Dio si è incarnato e è venuto ad abitare fra gli uomini.
E se il mondo non accoglie il nostro Amore, noi accogliamo il mondo in questo nostro infinito Amore cristiano. Gli uomini non credono in noi, nella Chiesa, ma noi invece crediamo negli uomini, nel mondo, nei suoi destini, nella sua storia.
E un nuovo rapporto s'inizia, va avanti, si approfondisce, si allarga a misure sempre più vaste. La Chiesa è più Chiesta storicamente, ha la sua grandiosità di Mistero cristiano nel mondo, di testimonianza viva e vivente della Verità e dell'Amore di Cristo, vincolo di unione, terra comune di tutti gli uomini, speranza di pace, unica bontà nel mondo...
Il Concilio Ecumenico, Pacem in terris, l'agonia e la morte di Giovanni XXIII.
Una gratitudine infinita a Papa Giovanni. Mi ha dato tutta la gioia di essere prete, mi ha indicato con viva testimonianza il senso del sacerdozio anche nel suo impegno e nel suo modo di essere fra gli uomini in questo nostro tempo, facendo che la Chiesa ne sia esempio e guida e indicazione anche storica.
Tanta riconoscenza di aver fatto che la Chiesa sia più facile ad essere conosciuta e amata, più possibile ad essere accettata e capita. Di aver fatto che Gesù, il Gesù del Vangelo, della povertà, dell'Amore fraterno, della misericordia, del Calvario e della Croce sia di più nel cuore di tanti uomini. Di aver fatto sì che l'umanità, almeno in qualche momento, abbia potuto sognare, con desiderio struggente, che la Bontà è cosa meravigliosa, che l'Amore sarebbe tutto, che la Pace è possibile.
Ringrazio con riconoscenza affettuosa e commossa Papa Giovanni di aver liberato la Bontà, l'Amore, la Pace, dalle complicazioni diplomatiche, dalle troppe saggezze secolari, dalle complesse prudenze dei lungimiranti, e in modo particolare dalla paura della Bontà Bontà, dell'Amore Amore, della Pace Pace, ridando alle Parole il valore cristiano dell'Incarnazione fino a misure di concretezza e realtà tali da convincere il mondo a credere in Lui, a sperare in Lui, il Sommo Pontefice, il Vicario di Cristo, il Capo visibile della Chiesa cattolica.
E ancora Lo ringraziamo io e noi che non siamo più riusciti, a un certo punto, a stare in pace. E ci siamo calati giù lungo le lenzuola sdrucite e annodate, dalle mura di cinta e ci siamo trovati all'aperto. Senza borsa, senza soldi, scalzi e smarriti e un po' spaventati. Ci siamo messi a cercare farse senza nemmeno sapere che cosa, ma qualcosa sentito nell'anima come essenziale, decisivo, da non poterne fare a meno.
Tanta paura e solitudine. Le porte chiuse e qualche volta i cani, dietro, ci sguinzagliavano. La stanchezza spesso è stata terribile e il senso del vuoto e dell'inutile, poveri Lazzari a campare di briciole sull'uscio di case d'altri.
E l'incertezza nel fondo dell'anima e il timore e la paura di andare tutto rischiando, perfino la Fede, e di perdere l'Amore della Madre. Mentre tutto si era dato e tutto si andava rischiando unicamente per Amore di Lei...
Sono stati lunghi anni di sofferenza, di angoscia, di attesa trepidante e paziente, di fiducia tenace. Ma poi le parole tanto aspettate sono venute. Gli avvenimenti tanto sognati sono successi. I tempi si sono compiuti. E tutto è stato più del sogno, al di là del desiderio, oltre ogni aspettativa.
La sicurezza di non aver sbagliato strada. La gioia che non era inquietudine di gente irrequieta e stranita. Il dolce, meraviglioso stupore che tutto è stato poco, che poteva e doveva, che dovrà essere molto di più.
Dio lo ricompensi Lui, Papa Giovanni, per la serenità e la dolce gioia della sicurezza diffusa nelle nostre anime di poveri cercatori forse troppo scontenti e inquieti e inquietanti. Ora camminiamo su una strada ben tracciata, abitiamo in una casa sicura: l'unica paura è quella di non essere degni e capaci di fedeltà alle Sue consegne.
Tanta gratitudine verso questo vecchio ottantenne, malato e stanco, che obbedendo all'Amore, ha aperto le braccia ad abbracciare il mondo.
Noi, la Chiesa, siamo quelle braccia. Che Dio ci conceda di continuare senza paure e stanchezze quell'amplesso, fino all'ultimo giorno, quello dell'agonia nostra e del mondo.
don Sirio
in La Voce dei Poveri: La VdP giugno 1963, Giugno 1963
Luigi Sonnenfeld
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