Matrimoni di ricchi e di poveri
Passavo da quelle parti, ho visto tante automobili di lusso sulla piazza e non ho resistito alla tentazione di curiosità e sono entrato in chiesa. La Porta centrale aveva appena i battenti socchiusi perchè la grande guida cominciava fin dal di fuori ad accompagnare gli sposi all'altare: nei matrimoni di prima classe la sposa è sempre vestita di abito bianco e spesso è lungo fino a terra e qualche volta vi è lo strascico e allora la guida è indispensabile oltre che a fare solennità e grandezza. Ho appena scostato un battente della porta centrale e sono entrato fermandomi appoggiato al muro di fondo dell'interno della Chiesa.
Di qua e di là della guida, vasi di sempre verdi davano l'aria di vialetto di giardino, su su, fino alle balaustre. Luci accese dovunque, comprese le file di piccole lampade intorno al gran quadro del Santo Patrono e fiori bianchi a grappoli e a cesti e a ciuffi sull'altare e in tutto il presbiterio.
La Messa era già avanti e di fondo alla Chiesa sentivo la forte e sicura voce del Sacerdote che leggeva il prefazio. Gli sposi, inginocchiati lassù davanti all'altare, li vedevo di spalle e due di qui e due di là i testimoni : quando sono quattro il matrimonio è sicuramente di gente importante. Non mi ero sbagliato, la sposa era vestita di bianco, ma non vedevo se aveva lo strascico. Al di qua delle balaustre, fra le panche, i parenti e gli amici, chi in piedi e chi seduto. Un paio gironzolavano qua e là per la Chiesa a guardare le immagini. E alcuni gruppetti parlavano insieme, fitti fitti, con vivo interesse.
Dopo il sanctus un violino accompagnato dall'harmonium ha cominciato a suonare, non so di che, ma qualcosa per toccare il cuore e sollevare l'emozione. All'elevazione grande ondeggiare del cappelli delle signore (chissà perchè i cappelli delle signore ai matrimoni mi sembrano sempre così strani e buffi) e gli uomini si sono induriti in piedi, ostentando grande considerazione per il momento solenne. Scampanellate allegre dei chierichetti (quand'ero ragazzo si faceva normalmente a pugni per servire la Messa degli sposi).
E dopo quella fatica di pochi secondi d'attenzione e di silenzio, grande rilassamento generale. Il violino adesso, con sicurezza di successo, tenta il pezzo forte per strappare la commozione e forse lacrime ardenti e appassionatamente attacca l'Ave Maria di Shubert. Ma è questione di pochi momenti e poi vedo che la folla lassù si sta sbandando. Quasi tutte le donne e le ragazzine e anche qualche signora col cappello, lasciano le panche e vengono giù, lungo la guida, disponendosi fra i vasi di sempreverde. C'è ancora tempo assai, prima che la Messa sia finita e gli sposi, fra i lampi di flaschs. scendano lungo la chiesa, camminando sulla guida e sorridendo a tutti voltandosi a destra e a sinistra.
Ma l'attesa è veramente intensa: tutto considerato penso che la sposa debba avere un abito splendido e forse anche lo strascico lungo qualche metro.
Lassù intorno all'altare sono ormai in pochi: gli sposi, i testimoni, i parenti. Il Sacerdote declama a braccia aperte il Pater noster. Ma pochi gli badano ora che è già cominciata l'attesa della sfilata finale lungo la guida con i vasi di sempreverde come il vialetto di un giardino.
Noto che gruppetti di giovani - saranno gli amici dello sposo - stanno uscendo di chiesa. Forse sono stanchi di star lassù impalati o non sanno più di cosa chiacchierare. E adesso il violino ha ricominciato a cercare di toccare il cuore e si sforza poveretto di commuovere.
Anch'io esco. Sono stanco di quella vuotaggine lì d'intorno. Vi è un'aria di formalismo che soffoca. Una superficialità che spaventa E' penoso che un Sacramento, la Messa, una cerimonia religiosa, sia ridotta a mediocrità così miserabile e salottiera.
Esco, riaprendo un po' il battente della porta centrale, socchiusa stringendo nel mezzo la guida.
Lì fuori già preparati quei gruppetti di giovani amici dello sposo che avevo visto uscire. Hanno in mano pacchetti di riso. Gli ultimi li vedo uscire dal negozio alimentari in fondo alla piazza, dove hanno comprato pacchetti di riso. Ridacchiano allegri aprendo quei pacchetti di riso: lo getteranno in faccia agli sposi quel riso impacchettato acquistato al negozio alimentari e vorrà dire felicità agli sposi.
Quand'ero in parrocchia, alla lontana, i polli e le galline del vicinato stavano ad aspettare che tutti se ne andassero per precipitarsi a beccare furiosamente il riso della felicità e qualche volta qualche vicina veniva con la scopa a raccattare il riso degli sposi.
Mi hanno pregato di andare a celebrare il loro matrimonio due poveri ragazzi. Poveri di tutto e forse, Dio non voglia, poveri perfino di Amore.
Sono venuti in circolare alla Chiesa e i testimoni con un furgoncino a tre ruote. Li ho trovati sulla porta di chiesa e mancava ancora mezz'ora alle sette, l'ora fissata. Una di quelle mattinate diacce da morire del mese scorso. La sposa tremava dal freddo in quel vestitetto rimediato e lo sposo mi ha detto che aveva soltanto la canottiera sotto la camicia celestina ben stirata, sul vestito nuovo, nuovo, acquistato la sera avanti già confezionato. La Chiesa era quasi deserta, fredda e ancora in penombra. Quelle quattro o cinque vecchiette non si sono nemmeno voltate quando gli sposi sono andati all'altare con i due testimoni venuti col furgoncino. Un matrimonio celebrato alle sette del mattino non può che essere un matrimonio di povera gente e la povera gente non fa nemmeno curiosità.
Mentre che domandavo e la parola mi suonava poco rispettosa: lei Signor... lei Signorina... ecc. e mi rispondevano con un «sì» debole e fragile, quasi spaurito, un Sacerdote cominciava, ad un altare laterale, a celebrare la sua Messa e recitava tutto a gran voce e il gruppetto di donne, riunitosi là intorno, gracchiava le risposte. Noi del matrimonio siamo come spariti. Non si contava più nulla sopraffatti da quella Messa all'altare di una Santa o della Madonna che fosse. E c'è voluta tutta a farmi intendere quando leggevo a quei due poveri ragazzi gli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi.
E' cominciata la nostra Messa, ma è andata avanti sopraffatta com'era da quella dell'altare laterale, così povera, povera che mi pareva che fossimo in un angolo, oscuro e polveroso, sopportati appena, dimenticati da tutti.
A un certo punto ho sentito che quella Messa era quasi finita e speravo che gli ultimi minuti sarebbero stati tranquilli. Invece all'improvviso si è levato un coro di vociacce di vecchie più quella del sacrestano che ormai anche lui ci aveva abbandonato per accendere le candele della Benedizione e dare man forte a cantare il Salutaris Hostia.
Mi sono voltato a leggere la Benedizione della sposa, povera ragazza mezza morta dal freddo, ma non sono riuscito, nonostante la leggessi in italiano, a far udire nemmeno una parola. Eravamo alla Comunione, ma ormai il nostro matrimonio era sparito dentro la cantilena delle litanie, strascicate e lamentose.
Ho finito la Messa, mi sono inginocchiato all'altare e mi sono voltato a fare un inchino agli sposi e a stringere loro la mano: avevo un gruppo di pianto in gola.
E quei poveri ragazzi ormai sposi - poveri anche di un po' di silenzio affettuoso e di un po' di pace cordiale durante la celebrazione del loro matrimonio -se ne sono andati con i due testimoni venuti col furgoncino e là all'altare stavano cantando, con quelle vociacce di vecchie e di sacrestano, il Tantum ergo.
un prete
in La Voce dei Poveri: La VdP marzo 1963, Marzo 1963
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455