La prima beatitudine

Spesso si sente dire, rifacendosi ad una interpretazione assai superficiale e facilona della prima Beatitudine, che per essere poveri basta essere distaccati dalle cose terrene, dalle ricchezze, dai beni di questo mondo.
E' un modo come un'altro per aggiustare una tremenda e bruciante Verità alle proprie misure, sistemandola in pieno accordo con le nostre esigenze di comodità, godute in pace con Dio e con gli uomini e specialmente con la propria coscienza. Si può anche concedere che la povertà possa essere, in fondo, questione di capacità di libertà di spirito: e come è vero che lo spirito rimane libero anche quando il corpo è avvinto dalle catene e seppellito in un fondo di galera, così può rimanere libero della dolce libertà della povertà anche quando è carico di ricchezze, oppresso dalle importanze, schiacciato dagli onori. Se il Cristianesimo, e quindi il mistero della povertà secondo Gesù Cristo, fosse un problema di psicologia da risolversi con impressioni, modi personali di pensare e di sentire, mentalità individuali ecc., potrebbe anche andare questa povertà di spirito, intesa come distacco semplicemente interiore dalle ricchezze.
Il guaio è che il Cristianesimo, della povertà, ne fa un problema di Fede. E fino al punto che la giudica una realtà interiore ed esteriore capace di essere vivente e vissuto atto di Fede in Dio, affermato come unico Valore, unico motivo d'esistenza. Bontà infinita, Provvidenza paterna.
E la Fede è sincerità interiore fino al punto da esprimersi anche esteriormente in opere rispondenti in coerenza perfetta. Così la Carità. La Verginità. L'obbedienza. Così tutto il Cristianesimo e in modo veramente particolare la povertà che può essere considerata non tanto fruttificazione, risultato di virtù, quanto invece punto di partenza e motivo determinante e decisivo di ogni virtù.
La povertà cristiana ha valore unicamente religioso e vuole ottenere soltanto sincerità religiosa. Mi vuole rapportare direttamente e immediatamente a Dio, realizzando appartenenze a Lui fino ad essere ottenute anche sul piano materiale. E' attraverso la povertà che il mondo, le cose, la carne e il sangue, i valori umani ecc. non sono più nemici di Dio e negazione e impossibilità di Amore verso dì Lui, ma invece diventano chiara e sicura occasione di affermazione di Lui come valore supremo, come principio e fine di tutto l'esistere.
Questa Fede fondamentale ed essenziale nei confronti dell'Essere di Dio, nel suo valore unico ed assoluto, trova la possibilità di una concretizzazione precisa nella povertà fino al punto che la povertà ne è la testimonianza e la garanzia. Le opere di questa Fede di fondo (così decisiva per tutta una impostazione d'esistenza secondo il Cristianesimo) sono tutte nella povertà perchè è la povertà che materialmente, in modo concreto e misura perfetta, riporta i valori, le cose, le ricchezze alla loro contingenza, alla loro limitatezza e relatività, cioè dire alla loro verità.
E tutto questo perchè la povertà cristiana rende logico il non avere, dà un senso preciso al non possedere, crea la mentalità del non avere e la perfetta convinzione che non si deve possedere: è allora che anche lo spirito è povero. La povertà è diventata pensiero, idea, razionalità, logica, convinzione, mentalità. La povertà è anima, è spirito. Quindi ideale, motivo unicamente umano. Allora, attraverso la Grazia, la povertà diventa Fede. E' Amore. E' entrata nel Mistero di Dio. Partecipazione della Natura stessa di Dio. Visione e possesso di Lui. Quindi beatitudine.
«Beati i poveri di spirito perchè di loro è il Regno dei Cieli» (Mt. 5, 3). Perchè ciò che è riservato alla Gloria del Paradiso possa iniziarsi sia pure «come in uno specchio e nel mistero», qui sulla terra, è necessario che qualcosa dì totale e di assolutamente vero si compia. E in questo compiersi sulla terra di qualcosa che è unicamente del Cielo, ogni valore entra in gioco e deve dare se stesso. Forse i beni di questo mondo, le ricchezze, entrano nel gioco e hanno importanza perchè possono essere messe alla pari di Dio, ma poi perchè attraverso la povertà restano scartate per preferenza e scelta unica e assoluta di Dio.
Perchè la povertà soltanto dà sicuro criterio di giudizio e forza violenta di scelta. Fino al punto che ciò che è falsità viene scoperto e respinto e ciò che invece è valore, vero e assoluto, è scelto e preferito.
La povertà, secondo Gesù, deve aiutare l'intelligenza alla Verità, deve essere forza alla volontà, vuole allargare l'anima a misure infinite di libertà e cerca di potenziare l'uomo in tutti i valori dello spirito nel superamento di ogni condizionamento materiale, contingente, finito.
Non può trattarsi di essere distaccati dalla terra e nel frattempo soffocati o schiacciati dalla sua materialità. Se lo spirito è libero, questa sua libertà non può non operare (o almeno cercare di operare) una vera liberazione. Almeno il conflitto e l'angoscia non potrà essere evitata. Lo sforzo violento (e questa sofferenza è magnifica povertà) di liberarsi non potrà che essere terribilmente incessante e sempre più urgente.
Perchè lo spirito diventato povero, perchè vinto e sopraffatto dalla Verità e libertà di Dio, è forte e non si arrende, ma lotta e si dibatte senza stanchezze fino all'ultima liberazione dell'ultimo peso fatto di terra.
Ma non siamo poveri di spirito: è per questo che viviamo in pace, tranquilli in un Cristianesimo fatto di penose approssimazioni, più o meno inconsapevoli.


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in La Voce dei Poveri: La VdP marzo 1963, Marzo 1963

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