Senza lavoro senza casa senza speranza

Sono andata a trovare a casa sua, dopo qualche tempo che non la vedevo, una donna che da sola, con un mensile di diciottomila lire, mantiene una famiglia di cinque persone : tre bimbi, il marito e se stessa.
L'ultima volta che ero andata a trovarla abitava in una casetta in fondo a un orto nel centro della città. Erano tre stanze non tanto grandi, ma accoglienti e pulite. C'era perfino un salotto. Un divano, qualche quadretto, alcune fotografie dei bimbi palesavano chiaramente un desiderio vivo di calda intimità familiare da parte di chi vi abitava., Ma la donna era triste perché aveva il marito disoccupato.
Ho stentato l'altro giorno a trovare la sua nuova casa al Varignano. C'erano tante piccole abitazioni, l'una accanto all'altra, al massimo di due stanze, e parevano villaggi improvvisati di profughi. Erano tutte di sfrattati. Ho scorto come una casupola bassa e priva di finestre. Ho bussato scostando una specie di tenda che copriva una piccola porta. Non sono potuta entrare subito perché la bimba piccola faceva il bagno. L' ho trovata poi, riparata da un asciugamano, davanti a una catinella d'acqua quasi fredda.
La donna era mortificata di accogliermi in mezzo a tanta miseria ed io, al pensiero di avere una casa normale, lo ero più di lei. L'amicizia ci ha aiutate a superare l'imbarazzo. Mi ha mostrato allora quella sua unica stanza senza finestre, il suo letto matrimoniale, un armadio, un tavolino e due sedie, che si contendevano i pochi centimetri di spazio rimasti liberi. Appesi alle pareti, tanti oggetti che non avrebbero potuto trovare posto altrove. E diffuso un umido odore di muffa.
Mi sono domandata sgomenta come potessero vivere in quell'ambiente marito e moglie e quei tre bimbetti: li ricordavo quando venivano a trovarmi a casa mia e mi facevano scoppiare i fulminanti in salotto o portavano via i fiammiferi colorati perché dicevano che erano belli. Non riuscivo davvero a immaginarli in quella stanza soffocante, illuminata perennemente da un po' di luce elettrica appesa al soffitto, arcata da un pertugio sopra la porta, e con pochi centimetri quadrati dove mettere i piedi.
E non potevo pensarli tutti e tre in quell'unico letto che dividevano con la mamma,,, mentre il babbo doveva adattarsi alla meglio su un saccone, che di notte occupava la parte più umida della stanza poiché quando pioveva ci gocciolava l'acqua dal tetto. Ho capito allora come in mezzo a tanta miseria materiale quel pover'uomo poteva essere perso; lui che non era mai stato educato al lavoro e che forse non capiva neppure la moglie in quella sua quotidiana, disperata lotta perché i figli non morissero di fame.
Si sente terribilmente sola quella donna, con tutto il peso e la responsabilità della famiglia sulle spalle, dopo aver visto dolorosamente crollare ogni speranza. Quel corpo, dall'apparenza fragile, che porta evidenti i segni della fatica, nasconde un cuore che non cerca solo il pane per i figlioli, ma anche tanta affettuosa comprensione e prove di vera amicizia.
Abbiamo parlato a lungo insieme, mettendo in comune quello che avevamo: lei, le sue pene; io, quanto di amore riuscivo a trovare dentro di me. Ma a volte, anche se è duro e penoso lo scoprirlo, ci si accorge di essere più poveri dei poveri e ci verrebbe da chiedere loro perdono.

s.b.


in La Voce dei Poveri: La VdP gennaio 1960, Gennaio 1960

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