Carissimo don Sirio,
da quando sono prete ho sempre avuto timore (sarà un complesso personale) nell'incontrarmi con gli operai: sempre devo far forza a me stesso se sulla "mia" strada si profila un cantiere edile. Scantonare o allungare il passo è la regola se m'imbatto, al suono della sirena, all'uscita rumorosa delle maestranze di uno stabilimento: non che tema gli insulti, attualmente rari, le parole grasse, gli scongiuri, no.
Figlio di contadini (mezzadri se t'interessa) cresciuto in rione popolarissimo, prete in Parrocchie "proletarie", ho nel sangue una certa facilità d'abbordaggio, pronto al dialogo, riesco facilmente ad essere amico di tutti. Ma un timore sofferto rimane: con loro mi sento un bleffatore a cui tremano le carte in mano. Pochi mesi or sono è morto, qui, un ancor giovane padre dì famiglia: la mamma, la moglie e tre bimbi. La silicosi, contratta in galleria, era stata la sua commenda mortale. Eravamo amici: l'ho assistito sino in fondo tremando, non solo per le sue sofferenze (lo bastavano... credimi), ma perchè, io, dinnanzi a lui mi sentivo terribilmente piccino, piccino...
In quell'agonia, tra una mamma dalla fede coraggiosa e un bimbo cosciente, ho vissuto, lentamente, ciò che tu hai scritto nel «io non sono povero». E tanti, tanti ancora, di questi nostri fratelli, quando di buon mattino (io saltuariamente, loro tutti i giorni) dividiamo il viaggio in treno, mi salutano e parlano con me rispettosi. Noi, vedi, abbiamo sempre il rispetto, loro forse neppure questo.
Perchè ti ho scritto, don Sirio? Per dirti che non sono mai stato povero in questi, non pochi, anni di sacerdozio. Mai ho sofferto la fame (solo, da seminarista, in tempo di guerra: chi ne fu escluso?!?): che cos'è la fatica, estenuante fatica di un lavoro amaro e senza speranza? Umiliati, aspettare lungamente, per avere un po' di lavoro! Io ho una camera decente, diversi libri, la motoretta. Mai ho chiesto al mio Vescovo la più disagiata delle Parrocchie.
Sì, d'accordo, non ho risparmi in banca, faccio opere buone, non chiedo e non accetto regali e doni per me, onorari non li pretendo, non voglio nulla: ma basta?
Se ho un rimpianto è di non essere più un giovanissimo: diversa, lo spero, sarebbe la mia testimonianza di cristiano e di sacerdote di Gesù. Desiderio.. pio desiderio!?!
Purtroppo... Vangelo vivente, sale della terra, lievito, fuoco!! Se non sono povero, come l'amico Cristo desidererebbe (non lo posso, forse, o non ne ho il coraggio) permetti che rimanga un mendicante: senza onore "perchè non vai a lavorare (...vagabondo)" con dieci, venti lire gettate... denaro che nella mano pesa disprezzo, fallimento di una vita. Spazzatura della terra ci chiamerebbe Paolo Apostolo. Avrà a che fare tutto questo per il Regno di Dio? Non lo sono sicuro, ma di amare il «Fabbro di Nazareth» e tutti gli uomini, sì; non ne ho conosciuto, certamente, il giusto modo.
Solo nella Preghiera si cerca il coraggio di essere uomini senza onore. Sarò perdonato per il fatto che «vivo alle spalle di Dio e di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi?».
Ricordi il buon Ladrone!
Speranza, calda speranza al cuore di uno che pone ipoteche in Paradiso, il sentirsi, da mendicante, un povero Cristo qui sulla terra.
Chiedi anche, don Sirio, a che cosa approderà la « Voce dei Poveri », ma?!... So che non dà «pace» ad un povero prete di campagna che sereno, ringraziandoti, ti abbraccia.
don Rolando
in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1963, Febbraio 1963
Luigi Sonnenfeld
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