Confidenze fraterne

Il numero di gennaio è stato per noi motivo di gran gioia, perchè è stato occasione di scoprire simpatie (e anche insopportazioni) verso questo nostro povero foglio mensile, veramente inaspettate. E logicamente non è che ci abbiano fatto gran gioia gli attestati di solidarietà e di amicizia verso di noi e la nostra fatica mensile, quanto lo scoprire vaste sensibilità in ordine a problemi di ricerca di verità e di sincerità cristiana, stanchezze ormai impossibili a sostenersi per tante mentalità e formalismi ormai rivelatisi vuoti e inutili e spesso pesanti e soffocanti e, cosa ancor più motivo di gioia, è stato lo scoprire quanto sia profondo il bisogno di un Cristianesimo aperto, sereno, autentico, libero, e quanto sia appassionato l'amore per il Cristianesimo del Vangelo, dei primi secoli della Chiesa, della più pura tradizione religiosa, dei Santi.
Con questo non è davvero che ci giudichiamo e ci sentiamo banditori e propugnatori di questo autentico Cristianesimo e tanto meno apostoli di rinnovamento ecc., non siamo cretini fino a questo punto, grazie a Dio. Non ci sentiamo proprio nulla di speciale, né ci assumiamo missioni di alcun genere. Siamo dei poveracci e così pochi per di più e di così nessuna capacità, che ogni volta che ci sentiamo presi in considerazione, sia per simpatia come per antipatia, dobbiamo farci una forza particolare per rendercene conto seriamente e quindi cercare di poterci sentire un po' importanti, se non altro per raccogliere le dovute responsabilità.
Ma il bello sta proprio qui e è questo il gran motivo di gioia. Così nulla, così zero, eppure dobbiamo constatare tanto interesse, raccogliere tanti consensi e anche essere oggetto di tante preoccupazioni e discussioni. Sei paginette messe insieme con tanta improntitudine e con così fanciullesca semplicità, articoli improvvisati, senza ricercatezze e senza letteratura (almeno senza nemmeno l'ombra di voler fare letteratura, te lo possiamo assicurare e tu ci conosci, fratello) anche se tirati su dall'anima come i frutti dalla terra - e sempre problemi di povertà: questo strano e noioso problema della povertà visto come qualcosa di essenziale, di decisivo, di determinante. E' come una fissazione ormai e chissà perchè. No, non possiamo fare diversamente: il resto non ci interessa, perchè ormai e chissà perchè, crediamo che per un Cristianesimo vivo e incidente nel mondo del nostro tempo nella carne viva e nell'anima angosciata degli uomini fra i quali stiamo vivendo, la povertà sia come zappare la terra e prepararla, come aprire il cuore all'Amore, come spalancare la prigione per tutta la libertà.
E' un clima dì accoglienza indispensabile. E' una condizione di verità insostituibile. E' una disponibilità all'Amore di cui nessuno può fare a meno, da dopo l'Incarnazione, né Dio (perchè così lui ha scelto) e tanto meno gli uomini, e quindi in maniera assoluta la Chiesa, questa Chiesa che è perchè il Regno dei Cieli si faccia e si compia per ogni sorgere e tramontare di sole, all'orizzonte.
D'altra parte ognuno deve battere il suo ferro, seguire la sua strada, dar seguito alle sue «fissazioni», specialmente poi quando gli pare di essere sicuro che prima di lui sono state e sono «fissazioni» di un Altro al quale è stata consegnata la propria esistenza e specialmente il proprio destino, che è qualcosa di molto di più.
E, cari confratelli, la Fede che abbiamo non può bastare che sia quella che ci è stata data ai tempi del catechismo dei pantaloni corti e delle Messe servite da Chierichetti e nemmeno può essere sufficiente quella della formazione del seminario, ottenuta dalle meditazioni nella penombra diaccia della Cappella alle cinque e mezza del mattino o dei discorsini più o meno pietistici settimanali. Non è nemmeno quella del giovane sacerdozio, della Messa novella, delle accensioni apostoliche e dei Vangeli domenicali preparati e scritti con cura, cercando gli esempiucci convincenti e chiarificanti dagli schermi stampati per tutte le domeniche e feste dell'anno.
Sì, è quella Fede, fondamentalmente. Ma quella Fede ricevuta, più o meno passivamente, e accettata e vissuta con serena ma spesso superficiale obbedienza anche in ordine alla Grazia stessa, non può non aver determinato altro (e non è poco) che una conoscenza di Dio e una esperienza diventata dura convinzione che Dio va cercato. Che bisogna pagare di persona. Che il rischio è inevitabile. Che la sofferenza della nostra esistenza - la nostra fondamentale povertà - è ricominciare questa ricerca di Dio ogni giorno, ad ogni Messa, ad ogni stretta di mano, ad ogni parola scambiata, ad ogni anima e ad ogni valore o miseria scoperta e avvicinata. Ricerca di Dio fatta per noi, per salvare e affermare la nostra Fede - la Fede per la quale crediamo in Dio e in Gesù Cristo e nella Chiesa e negli uomini - e ricerca di Dio fatta a nome di tutti, di tutta l'umanità, di ogni uomo sperduto sulla terra e nell'angoscia dell'esistenza.
Questa ricerca e questa conquista della Fede, e quindi di Dio, ha bisogno di motivi, di ragioni vitali, di testimonianze essenziali, di evidenze misteriose, ha bisogno di tutta la carne e di tutto il sangue, di tutta la Rivelazione e specialmente di tutto il Cristianesimo in tutta la sua meravigliosa e decisiva essenzialità.
Le tradizioni di sentimentalismo religioso popolare non bastano più né a noi né agli altri, né sono sufficienti i formalismi ormai vuoti, i pietismi delle funzioni, le carità a fuochi artificiali, gli omaggi reverenziali, le cerimonie barocche, le candele votive e nemmeno i deputati cattolici, le grandi opere, le celebrazioni solenni, ecc. ecc.
Da dopo la prima parte del Concilio Ecumenico il mondo cattolico sta prendendo coscienza di ciò che ormai è soltanto pesantezza e ostacolo e difficoltà alla Fede: ma si sta anche scoprendo che è duro mollare privilegi, posizioni di comodo, superficialità di apostolati...
E' difficile riconoscere e accettare che il castello feudale è l'ora di raderlo al suolo. E scendere dal piedistallo può sbalordire e sgomentare il monumento, specialmente per il fatto che non è abituato a muovere i piedi, fermo e fisso com'era sul piedistallo di marmo con l'iscrizione. Mettere i santi nell'urna era facile e ancora più facile mettere candele davanti da accendersi per 50 o 100 lire, ma ormai i santi devono essere vivi e camminare per le strade, la gente li vuole in carne e ossa, a faticare e lottare la vita - e tanto più la Vita eterna - mescolati e sperduti tra la folla, dentro tutta la realtà terribile e sgomentante dell'esistenza umana.
E allora noi parliamo di povertà perchè la povertà è l'esistenza concreta, reale, vissuta del Cristianesimo, insieme all'Amore, al dolore, alla morte, valori scelti da Gesù per una perfetta e concreta e reale e vissuta Gloria a Dio e per una universale Redenzione di tutto il destino dell'umanità.
Cerchiamo nella povertà la via diritta per arrivare al Vangelo e quindi a tutto il Mistero di Gesù e scoprire in Lui le profonde logiche dell'Amore, violenza unicamente capace di portarci a Dio stringendoci agli uomini in un tutt'uno di misterioso, infinito bisogno di Lui.
Il mondo moderno ha demolito o sta demolendo, pezzo a pezzo, tante vie tradizionali sulle quali, più o meno speditamente, è rotolato avanti il problema religioso. Non siamo disposti a vivere di abitudini, di convenzionalismi, di artificiosità più o meno umane, più o meno fruttificate in questa o quest'altra epoca, in questo o quest'altro costume proprio d'altri tempi.
Non per disprezzare nulla: Dio ce ne guardi. I musei - anche quelli conservati meticolosamente come se fossero cose vive - meritano tutto il rispetto. Attesteranno glorie passate, ma non sono più argomenti e testimonianze viventi, seriamente capaci di aiutare alla Fede noi e gli altri.
Quindi cerchiamo qualcos'altro. Con pazienza, con serenità, con disinvoltura. Forse anche con un tantino d'incoscienza che poi in fondo vuole essere fiducia.
Questa ricerca, questo guadagnarci il pane quotidiano della Fede, chiedendolo a Dio e logorandoci di fatica, questo cercare di accorgerci sempre di più della sofferenza e dell'angoscia degli altri per poter credere seriamente in Dio e cercare di amarLo insieme al prossimo, partecipandola interamente e facendone tutt'uno con la nostra ricerca, è forse ciò che interessa di questo nostro povero foglio, sempre più realmente voce di poveri.
Voce di chi non ha sicurezze granitiche, di chi non si sente cattedra della Verità, di chi è convinto di non aver forse nessuna ragione, di chi spesso cammina a tentoni sulla propria strada, di chi rischia tutto ad ogni passo, di chi apre il cuore senza paura, di chi si fida di tutto e di tutti senza difese... voce veramente di poveri. Ce ne sono tanti di questi poveri come noi: ci dispiacerebbe se non fossimo, in qualche modo, la loro voce.
Sembra che, sia pure molto miseramente e indegnamente, lo siamo. Ci basta.
Chi non è povero nemmeno di questa povertà, beato lui. Noi non gli vogliamo male, non gli portiamo invidia, lo rispettiamo con serenità, anche se spesso succede che non possiamo condividere le sue mentalità e sopportare che siano scambiate e credute Verità e Vangelo.
Gli chiediamo soltanto, se gli è possibile, di non tagliarci le gambe, perchè anche noi abbiamo il diritto e il dovere di camminare per la nostra strada.
E ormai sappiamo che certo cammino o non si fa o va fatto con le proprie gambe.


La Redazione


in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1963, Febbraio 1963

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