1 - Non sono povero

Non è certamente per fare dell'autobiografia e nemmeno delle confessioni pubbliche, ma è perchè penso che sia bene affrontare il problema della povertà rifacendosi a esperienze personali, descrivendo punti di vista, esponendo mentalità, che possono anche essere errate o eccessive, ma che però sono duramente pagate di persona e quindi meritevoli di essere considerate.
E' difficile dire se si è poveri cristianamente. Tant'è vero che non sono pochi a credere d'esserlo e fino al punto di potersene stare tranquilli e in pace e così tanto che poi su questa povertà ci costruiscono castelli non solo di carta, ci vivono comodamente dentro e arrivano a tirare fuori dalla povertà un mucchio di diritti e pretensioni. E qualche volta viene da pensare che la povertà sia una specie di miniera d'oro, di sistemazione al calduccio di una serena tranquillità, di pace per lo stomaco e per l'anima, in questo mondo tanto tormentato dal problema dell'esistenza.
Spesso ho rischiato di pensare di essere povero. Perchè non ho quattrini e non me ne importa. Perchè vivo così, alla buona, senza preoccuparmi per niente di tutto ciò che mi può riguardare. Perchè non conto nulla in questo mondo e non ho appoggi e tanto meno li cerco. E così via convinto che questi motivi facciano povertà cristiana.
Ma poi, a parte che spesso questi motivi sono orgoglio, vanità, gusti personali, reazione a mentalità correnti ecc., ho scoperto che forse mi mancavano i, motivi veri per potermi considerare povero e, quello che è peggio, ho anche concluso - accidenti, che tristezza! - che forse non mi sarà mai possibile una vera e chiara povertà secondo il Vangelo.
Allora ho pensato che su questi motivi era bene riflettervi sopra se non altro per non continuare a commettere il sacrilegio di giudicare santa povertà ciò che invece è approfitto di cose, sistemazione sicura, un darlo ad intendere...
E poi è anche giusto cercare di farci idee chiare circa la povertà, perchè è doveroso riconoscerla dov'è, raccoglierla con vivo rispetto, apprezzarla con infinito Amore: dov'è la povertà lì e il Cristianesimo, lì è Gesù in persona, anche se chi è povero di vera povertà non fa la Comunione tutte le mattine, né forse va nemmeno alla Messa la domenica.
Perchè la povertà non è detto che sia cristiana per via di un voto, di una promessa, di una vita religiosa, sacerdotale, ecc.
Ho pensato che per essere poveri sia necessario guadagnarsi da vivere col proprio lavoro. No, no, non sono comunista e tanto meno della prima ora, dei tempi duri, quando il lavoro era soltanto falce e martello. Qualsiasi attività del braccio e della mente che comporti un guadagno indispensabile per mangiare e per vestire, le due necessità primordiali, di valore assoluto per vivere, è lavoro.
Questo lavoro rende poveri. Riduce su un piano di umiltà ogni artificiosa gonfiatura di se stessi. E dà di essere veri, quello che veramente siamo, al nostro posto in questo ingranaggio misterioso della Creazione.
Se non lavoro non avrò da mangiare. Questo pezzo di pane me lo sono guadagnato. Queste mille lire sono frutto della mia fatica. Fatica, lavoro, guadagno diretto, personale, offerta di me stesso, spesa di energie mie, pagamento fatto di carne e sangue.
E lavoro unicamente per mangiare. Senza ideali, senza prospettive e miraggi. Non è per arrivare là, non è per realizzare qualcosa: è soltanto per mangiare. Questo mangiare divora tutto il lavoro, logora le energie., consuma tutto il tempo, inghiotte la vita. Una esistenza spesa per guadagnare da mangiare. Mangiare per lavorare, lavorare per mangiare. A tavola sparisce tutta la giornata di lavoro, tutta la fatica è pane, companatico, un quartino di vino. La vita soltanto lavoro, imprigionata in quella attività, soffocata da quel dovere. Ogni giorno perchè ogni giorno si mangia. E si mangia per tornare ogni mattina al lavoro.
Chi è in questa condizione è povero. E è perchè questo è vero che io non sono mai stato povero e non lo sono in questo momento.
Non ho mai lavorato per mangiare e tanto meno ho lavorato soltanto per mangiare.
Anche quando ho fatto il prete operaio e sono stato totalmente nella condizione operaia, ho lavorato e faticato e sudato in cantiere e andavo a prendere con mano dura e sicura la busta della quindicina, però non era soltanto per mangiare.
Quel lavoro in fondo non era povero perchè non era soltanto per mangiare: necessità materiale che consuma vita umana in altro dovere materiale, era lavoro ricco d'ideali, lo sentivo come Grazia santificante la mia vita e quella di tutti i lavoratori, era ricerca di Redenzione per me e per tutti, era Amore per solidarietà fino all'estremo con tutti, era Adorazione e Contemplazione di Dio...
Non era lavoro per comprarmi da mangiare, per sedermi a una tavola, saziarmi i vuoti spaventosi dello stomaco dopo ore e ore di fatica.
Non era per dare da mangiare ad una donna perchè potesse continuare a vivere, a respirare, a riempire una casa, non era perchè una nidiata a bocca spalancata avesse cibo a sazietà. Perchè è povertà vedersi mangiato il proprio lavoro, un boccone dopo l'altro, bevono sangue, mangiano carne viva del proprio essere che si fa a pezzi per guadagnare, a forza di lavoro, quello che poi loro interamente si mangeranno.
E' povertà anche se chi mangia tutta la propria fatica sono bocche immensamente amate.
E' povertà anche se dev'essere gioia indicibile vederli crescere su, sani e forti, è povertà perchè il loro crescere costa il proprio logorarsi, sul lavoro, ogni giorno.

(La gioia incredibile quando un giorno ho dato la busta, ancora chiusa, della quindicina ad un operaio che mi chiedeva un prestito perchè gli nasceva un bambino).
Non sono povero di questa povertà essenziale. Non mi sarà forse dato di vivere in questo povertà. Anche perchè forse per noi è quasi impossibile (a meno che non cambino molte cose) vivere unicamente del frutto del nostro lavoro.
Perchè lavoro non è vivere alle spalle di Dio e di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi. E nemmeno è lavorare l'amministrazione dei Sacramenti e il gridare la Parola di Dio sui pulpiti, sia pure sudando abbondantemente per l'empito dell'oratoria. Portare al cimitero ì morti recitando Rosari sarà opera di misericordia, ma non è un lavoro. Così pure visitare i malati. E nemmeno fare religione nelle scuole e il catechismo ai bambini...
Mi hanno sempre detto che il sacerdozio è una missione, o, per usare una parola orribile, ma d'uso ecclesiasticamente accettato, un ministero, ma è offesa e irriverenza grave - così ho sempre sentito dire - passarlo come una professione e tanto peggio come un lavoro.
Non sarà mai povertà vivere sfruttando una missione, facendo rendere un dare le cose di Dio, l'amministrare le cose sacre.
Che uno abbia il diritto di vivere dell'altare, dato che vive per l'altare, d'accordo, ma che fare così comporti una povertà non mi pare possibile. Se mai comporterà una particolare posizione di privilegio, come del resto è sempre, più o meno, successo.
E' proprio doloroso trovarsi nel dovere di insegnare e quindi logicamente testimoniare (anzi, a regola, si dovrebbe prima testimoniare e poi insegnare, come succedeva a Gesù) che la povertà è valore essenziale nel Cristianesimo e poi scoprirsi nella situazione di non poterla vivere con totale sincerità. Perchè dare dei pacchi, provvedere vestitini, offrire mille lire non è detto che dia di essere poveri della vera, santa povertà cristiana.
Ho paura di non avere nemmeno il coraggio della povertà. Non so pensarvi seriamente e onestamente. E le ragioni capaci di ovattarne il problema sono così tante e vengono su appoggiate a un enorme buon senso, rafforzate da prudenti saggezze, sostenute ormai da consuetudini immemorabili.
E continuo a mangiare il pane che non ho sudato e il companatico che non mi sono guadagnato. Continuo a sopportare (e me ne faccio quasi un diritto) che siano gli altri a lavorare per il mio mangiare e a faticare per il mio vestire. In cambio offro ciò che non è mio, ciò che non è fatica mia, non do del mio sangue e della mia carne. Vivo amministrando le cose di Dio, pagando con ipoteche in Paradiso.
E' un po' terribile per me credente, seguace, testimone "del fabbro di Nazaret" (Mc. 6, 3) Figlio di Dio.


don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP gennaio 1963, Gennaio 1963

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