Quella sentenza assolutoria del tribunale di Liegi per l'uccisione della piccola e tanto infelice Corinne, è stata una tremenda sofferenza. E non perchè hanno assolto una madre soltanto disgraziata prima, durante e dopo aver dato alla luce una sua creatura - aggiungere una sofferenza a una già sterminata, spaventosa sofferenza non è che sia cosa desiderabile anche se può rimanerne sacrificata la giustizia - ma perché gli uomini si sono assolti - per quanto riguarda quel tribunale - con una superficialità impressionante, dalla responsabilità delle proprie azioni e si sono liberati con le quattro parole del verdetto dal dovere di rispetto della vita e dal considerarla valore assoluto. Quest'esultanza popolare per l'assoluzione vuol dire sicuramente pietà per quella povera madre, ma in qualche modo può anche significare che a un certo punto la sofferenza è lei che diventa valore assoluto, davanti alla quale può essere sacrificato tutto, perfino la vita, il valore esistere.
Se così dev'essere, se così è logico e giusto che sia, allora la sofferenza è soltanto un nemico che per vincere va bene bruciare tutto, gli si può e gli si deve sacrificare tutto pur di debellarlo. E il modo migliore per distruggere la sofferenza è distruggere il sofferente. Una volta si pensava e si credeva che l'Amore bastasse, che la Bontà riuscisse a molto, che la Fede risolvesse questo spaventoso problema del dolore. Ora sembra che le soluzioni radicali vadano meglio, ma non si può non riconoscere e confessare che nel frattempo è l'egoismo che cresce fino a diventare legge suprema.
E l'egoismo non sarà mai una liberazione dalla sofferenza, ma una spinta spaventosa verso qualsiasi tragedia. Questo spietato egoismo individuale, familiare, di classe, nazionale e di popoli e di razze. Ma la storia sembra proprio che non riesca a insegnarci nulla. Quella sentenza di Liegi sarà quello che sarà giuridicamente, non me n'importa niente, sta il fatto che ha impoverito sempre di più l'umanità di Amore, di Bontà, di valore umano, e specialmente cristiano, della sofferenza.
E questa è una vera spaventosa disgrazia di cui il nostro tempo e la nostra civiltà - come di tante altre - è terribilmente responsabile.
Ho pensato questo ed altro ancora, ma specialmente l'ho sentito nel cuore, l'altra sera, quando per caso mi sono trovato a partecipare, a Milano, alla simpatica iniziativa di un gruppo di ragazze telefoniste che lavorano alla Stipel.
Da qualche giorno era a Milano il Circo Darix Togni. Le ragazze telefoniste si sono fatte dare un permesso di un pomeriggio e con un autobus sono andate all'ospedale dei poliomielitici e quaranta, fra bambini e bambine poliomielitiche, sono stati accompagnati allo spettacolo pomeridiano del Circo.
Ero lì, davanti al Circo, quando è arrivato l'autobus. Ho preso in braccio alcuni di quei poveri bambini e alcuni già assai grandicelli e ho aiutato a sistemarli sulle gradinate del Circo. Sentirmi fra le braccia quel peso di infelicità umana è stata un'impressione che non dimenticherò più. Eppure quella infelicità tremava dolcemente di commozione gioiosa, festosa.
Mi sono messo appoggiato a un trave di legno che sostiene l'enorme tendone, quando lo spettacolo è iniziato.
Quei cavalli che volteggiavano e una ragazza vi capriolava sopra pazzamente, il cosacco schioccava la frusta e saltava d un cavallo all'altro... sentivo le piccole grida di gioia dei piccoli poliomielitici, mi voltavo a guardare e vedevo musetti infinitamente felici e chi poteva batteva le mani... piccoli cavalli che obbedivano come bambini docili e buoni... cavalli da corsa frementi e poi i cammelli solenni e filosofi : sono entrati a fare baruffa i pagliacci e i bambini infelici erano indicibilmente felici.
Io avevo le lacrime agli cechi per una tristezza infinita e una commozione strana mi stringeva il cuore e la gola.
Cos'è che gli uomini giudicano felicità, per la quale meriti vivere?
Forse che la felicità di essere onorevole, di correre in fuoriserie, di andare a letto con l'amante, di ubriacarsi di wisky e tutto quello che andiamo mendicando da questa povera vita, è diversa, più nobile e più giustificante a stare a questo mondo di quella felicità dei bambini poliomielitici nel baraccone del Circo?
Anche se non vi fossero altri motivi (ma ve ne sono e d'infinito valore, grazie a Dio), anche se non vi fosse altra felicità (ma ve n'è e infinita, grazie a Dio), questa felicità del baraccone del Circo dava a quei poveri bambini il diritto a stare a questo mondo, in questo immenso baraccone da fiera a cui sempre più lo stanno riducendo gli uomini con la loro civiltà.
Sono uscito. Non avevo tempo per aspettare il numero degli acrobati, dei saltimbanchi, dei leoni e delle tigri... e mi pareva che ve ne fossero anche troppi per le strade e per le case, perché non riuscivo a non pensare alla piccola Corinna alla quale sua madre non ha concesso che avesse almeno la felicità di uno spettacolo al Circo, anche se sarebbe stata senza braccia e senza gambe, povera bimba.
in La Voce dei Poveri: La VdP dicembre 1962, Dicembre 1962
Luigi Sonnenfeld
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