Ti ringraziamo ancora, Signore, per aver scelto la nostra capanna per la Tua nascita. Appena un riparo addossato alle rocce della montagna, ma hai pensato che per Te, Figlio di Dio, era anche troppo.
Così è successo che hai invitato noi a vederti per primi, piccolo Bambino, appena nato, deposto nella mangiatoia che la sera avevamo riempito di paglia nuova per il bue e l'asino. Il Tuo voler essere povero è stato una fortuna per noi poveri pastori.
Perchè siamo stati noi, la nostra povertà, ad accoglierti. Forse in nessun altro angolo della terra hai trovato una povertà come la nostra: è per questo, lo sappiamo bene e ne siamo felici, che sei venuto a nascere fra noi, in una nostra capanna, vicino ai nostri greggi all'addiaccio sui fianchi della montagna.
Una notte splendida. Le stelle erano tanto chiare e vicine quella notte d'aria trasparente, quasi in un buio azzurro profondo. I nostri fuochi accesi pareva che dicessero qualcosa alle stelle lassù. E allungavano ombre nere nel buio azzurro pieno di silenzio solenne, tranquillo.
Ogni tanto i campanacci al collo delle pecore, ma erano senza eco, vinti subito dall'immenso silenzio, il tempo era immobile e fermo, pareva eternità. E il parlare era morto a poco a poco come i fuochi di cui erano rimasti accesi e vivi ardenti bracieri.
Ci andavamo preparando a dormire ravvolti dentro coperte, perchè da mezzanotte in poi le ore sono troppe lunghe, svegli, nel freddo arrivato fino alle ossa. Anche le pecore dormivano già e anche i lupi a quella ora stanno nelle tane ad aspettare lo schiarire della alba.
Sono venuti i Tuoi Angeli. Ombre bianche a scia luminosa dal cielo. Come se i bracieri all'improvviso facessero fiamma. Si vedeva qualcosa, ma non sapevamo che cosa. Sognare o vedere, è difficile distinguere quando si dorme sotto il brillare delle stelle.
Ma la voce era chiara. Parole distinte. Raccontavano cose precise. Di un bambino. Di una capanna. E erano parole ascoltate dentro l'anima e allargavano una gioia indicibile, un convincimento sicuro nel più profondo di noi stessi. Parole che ci hanno alzato dai nostri giacigli, ci hanno avviato lungo il sentiero, ci hanno guidato, come portato per mano, fino a Te.
Piccolo Bambino, nato allora, allora. Non potevi dirci nulla, né darci nemmeno un piccolo segno. Eppure abbiamo capito. Ti abbiamo conosciuto, Signore, abbiamo saputo di Te, Del Tuo Mistero.
Abbiamo detto qualcosa a Tua Madre. Ma che cosa potevamo dire a quella giovane donna che ci guardava come attraverso l'azzurro del cielo?
Siamo tornati indietro e l'orizzonte andava schiarendo il suo buio azzurro e scopriva il crinale dei monti. Ma dalle stelle lassù invece che luce era un cantico che splendeva e si ripeteva vicino e lontano colmando tutta la volta del cielo.
Non l'abbiamo più dimenticato. Gloria a Dio e pace agli uomini. Ci ha segnati come un destino. Perchè chi ha avuto di conoscere Te viene segnato da un destino di Gloria a Dio e di pace per gli uomini.
Queste parole pesano a volte sul cuore come montagne, ma spesso sono come avere tutto il Cielo nell'anima.
Donaci, Signore, il coraggio della fedeltà a un destino di Gloria, ad una missione di Pace. E' la fedeltà al Tuo Mistero di presenza viva e vitale nel mondo da dopo quella notte colmata di stelle a coprire una capanna dove su la paglia giaceva un Bambino.
(dal Vangelo di S. Luca: 2, 8-20)
in La Voce dei Poveri: La VdP dicembre 1962, Dicembre 1962
Luigi Sonnenfeld
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