Domani è un mese che il Concilio ha iniziato i suoi lavori. Di cose importanti concluse niente sappiamo. Conosciamo i temi discussi, le materie trattate; e quindi in qualche modo i diversi problemi - specialmente in campo liturgico fin'ora - e le loro soluzioni prospettate.
Intanto corrono invece, com'era da aspettarsi, le notiziole, le curiosità rispettose o meno secondo il tipo di giornale che ne parla, intorno a Vescovi e Cardinali, ai diversi gruppi e alle diverse correnti,
Continua l'aspettativa di cose nuove, di mutamenti radicali, di svolte decisive, anche se gli avvenimenti politici di queste ultime settimane hanno messo il Concilio un po' in disparte.
Ma spesso questa aspettativa è ancora attendismo passivo. Quasi si ha l'impressione che si stia aspettando come una formula magica, qualcosa che imposti nuovi sistemi, rinnovi le strutture, rianimi il problema religioso e converta il mondo.
Ancora niente di tutto questo e l'interesse intorno al Concilio è diminuito. La solita superficialità ci prende e ci soffoca. Quella mentalità passiva e attendista così curata nei tempi passati che ha servito così bene forme di ricerche di Regno di Dio ormai in disuso, sta portando i suoi frutti.
Siamo come bambini viziati bisognosi sempre di nuovi giocattoli per non sbadigliare dalla noia.
Intanto sta il fatto che quei problema di innovazione liturgica fino a novità di espressione religiosa veramente coraggiose proposte da Vescovi in terra di missione, hanno avuto pochi consensi fra noi e, quel che è di più, poco interesse.
Mi pare che nei confronti di questo Concilio Ecumenico, almeno nella nostra terra, vi sia tanta voglia di novità, di riforme, di rinnovamento, ma non sarebbe senza utilità studiare quanto il nostro cattolicesimo, la nostra mentalità cristiania, il nostro tradizionalismo così incartapecorito e campanilista, sia capace di innovazioni, disposto alle riforme, sensibile a un rinnovamento.
Era lavoro da fare, questo, da un pezzo, prima del Concilio. Mancherà al momento giusto il terreno zappato, liberato dal bosco e sottobosco. La nuova casa sarà difficile costruirla perchè troverà ancora in piedi, sia pure cadente, quella vecchia o almeno le macerie ancora ammonticchiate, livellate dalle ortiche.
Il nostro mondo religioso praticante - il Concilio deve fare i conti in qualche modo con i «buoni», con i «nostri» - in fondo ha voglia di novità assai meno di quello che si pensa. Oltre quella discreta misura di curiosità non vi è profondo bisogno di rinnovamento, perchè non si è stanchi abbastanza (ammesso che un po' di stanchezza vi sia) del formalismo tradizionale, del conformismo facilone capace con assai poco di sistemare ogni problema di coscienza ovattandolo con un devozionalismo da quattro soldi e da cinque minuti di tempo.
E' da secoli che si cerca di sistemare il problema religioso in una pratica, in tre o quattro cose da fare, sempre più ridotte in ordine alla fatica e al tempo richiesto. E' come aver fatto tanto fatica a ridurre, restringendolo sempre di più, l'orizzonte a un cerchietto piccolo piccolo, piccolo come il proprio egoismo fino al punto che il mondo finisce dentro i confini di se stessi e nel breve giro dei propri interessi religiosi e materiali e poi rischiare che questo cerchietto sia rotto e riaperto e riallargato a immensi orizzonti.
Perchè è logico - e se ne annusa assai facilmente il pericolo - che le novità saranno tutte contro sistemazioni egoistiche, urteranno contro mediocrità inveterate, butteranno all'aria mentalità accomodate e aggiustate con ogni cura e premura.
Perchè rinnovare vuol dire, nel fatto religioso cristiano, rifarsi da capo, ritornare per quanto è possibile all'origine, ricominciare. Il che vuol dire rifarsi al Vangelo, guardare a Gesù più da vicino, riprendere la sua strada e rifare il cammino della Croce.
Non siamo pronti alle novità, non siamo capaci di innovazioni. A voler essere sinceri non ne abbiamo nemmeno voglia.
Le novità richiedono coraggio. E coraggio occorre nel riconoscere che tanta mentalità è lisa e rattoppata come un vecchio vestito. Tanta pratica religiosa ormai è vuota, Spremuta come un limone strizzato fino all'ultima stilla. Gran parte di istituzioni religiose fanno acqua come una vecchia barca. E troppi organismi dai quali ricevere energia sono come motori sfasati, ciurlano troppo i pistoni nel cilindro ormai consumato.
La Chiesa nel radunare il Concilio Ecumenico ha avuto questo meraviglioso coraggio: perchè questo Concilio Ecumenico, prima di ogni altra cosa, è riconoscimento, franco e aperto, che molte cose non vanno bene, non tutto funziona a dovere, molto c'è da rivedere e riparare.
Ma dopo, insieme a questo coraggio di visione chiara delle cose, occorre l'altro coraggio, quello di mettere mano con energia a tutto ciò che occorre per un risanamento totale.
Occorre allora diffusa in ogni credente, in tutta la Chiesa, in tutta la Cristianità, l'infinita Grazia dell'Amore della novità, del bisogno di rinnovamento.
E' esame di coscienza da fare circa questo essere capaci delle novità, questo essere pronti alle cose nuove, quelle diverse da come pensiamo e sentiamo, fino a essere totalmente pronti e disposti a lasciare il vecchio per il nuovo.
E' condizione questa essenziale perchè la novità possa esserci data e donata dallo Spirito Santo e dalla Chiesa.
"Nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo romperebbe gli otri e il vino si verserebbe e gli otri andrebbero perduti. Ma bisogna mettere vino nuovo in otri nuovi". (Lc. 5, 37-38).
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in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1962, Novembre 1962
Luigi Sonnenfeld
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