"Beati voi, o poveri, perchè il Regno di Dio è vostro". (Lc. 6,20)
La settimana dal 21 al 28 ottobre scorso è stata sicuramente la settimana in cui la povertà di questo povero mondo è apparsa in tutta la sua tragedia perchè arrivata fino ai limiti estremi forse mai toccati da che mondo è mondo.
Quelle giornate in cui l'esistenza è rimasta sospesa a un filo (il debole e fragile filo di seta della saggezza umana così tanto spesso prossima alla follia - e la storia ce lo insegna), quelle giornate se sono state sentite in tutta la loro pesantezza come l'aria ferma e gravosa quando è lì lì per scoppiare la tempesta, non possono non aver scavato impressioni profonde, suscitato ripensamenti seri e responsabili, ottenuto chiarimenti essenziali.
E' vero che la nostra incoscienza ha risorse inimmaginabili. Il tempo cancella tutto come l'erba nei cimiteri. E già ci stiamo dimenticando - anche su un piano di sensibilità fisica - il significato vero, tragico, crudele della guerra. E il terrore di una guerra nucleare si fa sempre più vago, confuso, nebbioso. Scivoliamo facilmente in una impressione come di impossibile, di assurdo.
E forse in quella settimana siamo stati un po' come il condannato a morte. Ha sentito le parole di condanna. Guardandosi dintorno si ritrova nella cella della morte. Sente i passi del plotone che lo viene a prendere. Ecco, tutto è pronto: il cappio al collo, disteso sotto la mannaia, bendato davanti ai fucili spianati e tutto è ancora come un sogno assurdo. Un gioco strano, di cattivo gusto, certo. Ma non può essere vero. Ecco, fra poco diranno: hai visto era uno scherzo.
Abbiamo pensato - quante volte questa povera umanità avrà pensato come noi, come il condannato a morte perduto in un sogno d'impossibili, che non sarebbe stato vero, che non poteva essere vero e poi invece è stato vero spaventosamente vero - abbiamo pensato che la ragione avrebbe trionfato, che non poteva mancare quel minimo di buon senso, che, diamine, di morire nessuno ne ha voglia ecc. e ci siamo consolati e incoraggiati.
E' proprio terribile pensare - almeno a noi sembra davvero impressionante - che l'umanità sempre più speri e ormai con un ragionamento diventato quasi l'unica speranza (che tristezza e che disperazione che gli uomini non abbiano più che questo motivo per nutrire la loro speranza di non essere spazzati via dalla guerra) che l'umanità sempre più speri che la guerra sia evitata perchè sarebbe guerra atomica, nucleare e quindi distruttiva del mondo.
«Siccome la guerra sarà troppo orrenda, dunque non sarà fatta».
Siamo davvero poveri, ma poveri fino al lastrico, se il motivo di una ricerca di pace (e pace è giustizia, è tranquillità nell'ordine, è rapporto sereno, è Amore vicendevole..) è ormai soltanto l'orrore di una guerra.
La nostra civiltà di sta impoverendo e immiserendo fino al punto che sta costruendo la sua ricerca della pace - frutto unico e supremo della civiltà - per mezzo del terrore spinto fino all'estremo.
In quella settimana l'umanità si è aggrappata a quest'unica speranza. Tutti abbiamo confidato nell'evidenza di questo ragionamento. Una settimana in cui l'umanità ha implorato pietà confidando che la spaventosità di ciò che sarebbe successo muovesse a compassione la sensibilità (ciò che di più volubile e inafferrabile esiste nella creatura umana) di un paio di uomini.
E in quella settimana abbiamo avuto le prove chiare e spaventose che sia l'uno prima e l'altro poi, hanno rischiato fino all'orlo estremo dell'irreparabile.
Evidentemente ancora una volta contare sulla pietà degli uomini è fiducia sciocca, è speranza a vuoto. Come fare affidamento sulla loro saggezza.
Non sono considerazioni per concludere a pessimismi drammatici, ma è perchè è doveroso fare il punto del camminare della nostra civiltà e misurare il rischio che ancora incombe e pesare i motivi che decidono.
La storia dell'umanità è ancora tutta come quando eravamo ragazzi: ci si metteva una paglia su una spalla e si diceva in tono di sfida, con già i pugni stretti e decisi: ora se hai coraggio gettala giù. E l'altro o se la dava a gambe o se si azzardava succedeva il finimondo.
Questa volta ha vinto la paura. Forse è un pezzo che si campa sulla paura. Può venire la tentazione di approfittarne. Può darsi che succeda di dover dimostrare di non averne. Sta il fatto che chi governa il mondo e decide dei suoi destini è la paura.
Il giorno che la paura diminuirà, da una parte e dall'altra, sarà il disastro.
Arrivati a questo punto, se fossimo logici dovremmo accorgerci che in fondo non siamo che dei poveracci. Sballottati di qua e di là dal vento di tramontana o di scirocco, non abbiamo sicurezza di nulla. Mai come adesso, forse, nella storia dell'umanità tutto è scosso fin dai fondamenti. Tutto è veramente in crisi.
Dall'insicurezza dell'esistenza a quella politica ed economica. Dalle incertezze dei principi fondamentali alle dubbiosità dei valori umani e morali, è scaduta e scade sempre più la fiducia in se stessi e nel prossimo, nella società e nell'umanità. E' uno scardinamento generale, un ridursi all'istante presente e chiudere tutto in quello che abbranchiamo con le mani.
Viviamo di accattonaggio. Fino a mendicare il diritto di vivere. Fino a elemosinare, implorandola, un po' di pace.
Siamo sul marciapiede a mostrare i moncherini, nudi e arrossati di freddo, per intenerire chi può darci uno spicciolo di pietà.
Sarebbe utile per tutti da quella settimana di paura universale riconoscere che la povertà è pane quotidiano per tutti, è l'acqua che beviamo e l'aria che respiriamo.
La ricchezza, la potenza si rivelano sempre più realtà provvisoria, valore falso, apparenza vuota. Paludamenti sontuosi sopra manichini in vetrina. Belletti a tingere di vivacità visi smorti.
E' perchè l'umanità non perda ma acquisti i valori essenziali che la storia è spietata e, nonostante tutto, riduce l'umanità all'incapacità di risolvere perfino i problemi dell'esistenza e della sopravvivenza.
Perchè ogni tanto, quasi a scadenze fisse, c'è bisogno della tempesta perchè l'aria torni limpida e trasparente e le cose riabbiano il loro colore e la loro semplice e naturale evidenza?
Forse la storia ci impoverisce spietatamente perché l'Amore fra gli uomini sarà possibile soltanto se valori comuni ci uniranno, e la povertà ai nostri tempi - almeno quella fondamentale che sta alla base dell'esistere umano - è veramente realtà comune. E' da questa povertà che può nascere la semplicità e l'umiltà cioè la gioia di essere fratelli.
Perchè è stato detto e le Parole sono incise a fuoco fino a fare piaga o ferita gloriosa, nel destino di ciascuno e di tutti gli uomini, che il Regno dei Cieli è di coloro che credono nella povertà.
E la pace come tutto il resto, è fiore che sboccia e fruttifica soltanto nel Regno dei Cieli, sulla terra di Dio.
La Redazione
in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1962, Novembre 1962
Luigi Sonnenfeld
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