Il mio Concilio Ecumenico

Non sono un Vescovo e tanto meno Giovanni XXIII, eppure mi viene da considerare il prossimo Concilio Ecumenico come il mio Concilio. Come qualcosa che mi appartenga, qualcosa di mio.
Vorrei scriverne un momento per precisare meglio e chiarirmi quest'impressione che sento in modo così profondo. Penso che non ti dispiaccia perchè il Concilio appartiene anche a te come a me e è bene riflettere un po' su queste nostre responsabilità che non sono sicuramente tanto piccole né di poco peso.
Non mi sto per niente ponendo il problema di cosa farà o non farà il Concilio, nemmeno se concluderà grandi riforme, se e quanto inciderà sul rinnovamento della Chiesa nelle sue strutture umane e contingenti ecc. Le previsioni sono sempre inutili, trattandosi poi d'un avvenimento così grandioso e importante nel quale poi la componente decisiva è niente meno che lo Spirito Santo, far previsioni è cosa soltanto ridicola.
Sono convinto che la preparazione tecnica, per così dire, non è mancata. Ho piena fiducia nell'onesta e serena apertura di Giovanni XXIII per una ricerca sincera di tutto il bene possibile per la Chiesa. Ho piena fiducia nell'Episcopato che voglio e posso giudicare espressione viva di tutta la Cristianità nel mondo.
Fatto questo, non credo per niente di avere esaurito i miei doveri verso il Concilio. Fermarsi qui o limitarsi - anche se è molto importante - ad una partecipazione attiva attraverso la preghiera, vorrebbe dire rimanere al di fuori, in osservazione, in attesa, in posizione puramente passiva. Nei rapporti con la Chiesa, proprio perchè si tratta della Chiesa, corpo vivo in cui ogni membro deve essere vivo, occorre, è doverosa, una partecipazione attiva fino a un coinvolgersi totale in ogni problema.
Tutto ciò che è della Chiesa deve essere mio, qualcosa che mi comporta responsabilità, impegni, doveri.
Ho sempre cercato di esprimere al mio Vescovo e quindi per Lui, alla Chiesa, ogni mia esperienza, ogni mia ricerca. Ho sempre tanto desiderato «dare» alla Chiesa una vita viva e attiva anche come ricerca di allargamento d'esperienze o se non altro offrendo una sofferenza e un'angoscia di impossibilità e di incapacità.
So che è poco, anzi è come nulla, ma l'oceano è fatto di gocce d'acqua e quindi anche da questo punto di vista sento il Concilio come il mio Concilio: la mia povera ricerca dentro questa immensa ricerca di verità e di sincerità di tutta la Chiesa.
Ne sono felice di questo sentirmi unito alla Chiesa. Non è più un problema mio personale il problema religioso e cristiano: unito alla Chiesa ho l'impressione di essere meno solo, meno smarrito dentro questo Mistero del Regno di Dio nel mondo, che spesso sento come un buio terribile, troppo fitto per non averne spavento e paura.
E' molto bello sapere che la propria pena e paura e tutta l'ansia, tutto il violento desiderio di Verità e lo spaventoso dovere di Amore per la salvezza del mondo, è raccolto, trattato, discusso, chiarito e sempre più impegnato da tutta la Chiesa docente.
Perchè parleranno di me, di te, di noi, degli altri, di tutti. Si occuperanno del problema che tanto ci angoscia del come poter essere sinceramente Gloria a Dio in questo nostro tempo, in questo nostro mondo, del come poter essere utili, nel modo più concreto e vivo, alla salvezza di tutta l'umanità. Tratteranno di ciò che ci sgomenta ogni giorno, di ciò che è pena terribile perchè è «tutto» ormai nella nostra vita, ma d'altra parte è problema così colmato di difficoltà fin quasi all'impossibile.
Questo credere in Dio spesso così faticoso e pesante perchè troppo lasciato sulle nostre povere spalle, sarà trattato in faccia al mondo, raccolto e vissuto da tutta la Chiesa, sofferto da tutta la Chiesa, in modo scoperto e in misura totale. Allora più che mai siamo insieme - tutti i credenti - in affermazioni di Fede universali, veramente raccolta di tutta la Fede in Dio sparsa nel mondo.
E' il mio Concilio perchè mi unisce a tutti e tutti unisce a me, veramente anche in modo visibile. Sento i Vescovi che vanno a Roma come l'umanità che si muove dai quattro angoli della terra per confluire dove unicamente è possibile «un cuore solo e un'anima sola». Perchè tutta l'umanità si trovi davanti a Dio in attestato di Fede in Lui. E prego perchè ogni Vescovo porti la sua terra e la sua gente e siano veramente i pastori con nella carne e nel sangue tutto il loro gregge. Che lo Spirito Santo li renda umanità intera per la celebrazione di quell'unità sempre più sogno impossibile alle povere forze umane.
Visioni soprannaturali di avvenimenti umani: ma Dio raccoglie sempre più la storia fatta di uomini e ne fa attuazioni del Suo Regno. E di uomini in cammino, di un trovarsi insieme, di un luogo e di un momento ne fa un mezzo di Grazia e di Salvezza per tutto il mondo. Questo Mistero è cominciato a Nazareth, a Betlem, a Gerusalemme e la Chiesa lo continua a Roma. Per questo il Concilio è il mio Concilio, come è mia la mangiatoia di Betlem e la Croce del Calvario.
Ogni cosa della Chiesa mi appartiene. Si riflette e si riversa nell'anima mia. Non ho più un'anima e un corpo così individuale come una realtà propria, divisa e chiusa. Da molto tempo è inutile chiudere a chiave la porta di casa per rinserrarmici dentro e starmene in pace. Ormai la casa è senza muri e senza tetto e vi piove e vi batte il sole e ogni vento vi è padrone.
Da quando ho cominciato a credere in Dio, in Gesù Cristo e quindi nella Chiesa, sempre più, anche se a poco a poco, le ho consegnato il mio corpo e la mia anima e ogni mio interesse, ma non tanto perchè «qualcosa» (tutto me stesso nel caso) le appartenesse - ho sempre avuto il convincimento di averla arricchita molto poco col dono di me stesso - quanto perchè tutta la Chiesa diventasse mia e mi appartenesse così tanto fino al punto da essere interamente mia in tutto il suo Mistero.
E ora la Chiesa è assai più di me stesso. E' soltanto lei che vive e la sua vita misteriosa mi smarrisce e mi disperde sempre più su tutta la terra e in tutta resistenza e mi getta sempre più fra l'umanità e Dio, in questo abisso infinito.
Ora questa mia Chiesa me la trovo tutta riunita negli uomini che ne portano tutto il destino in questo mio momento, in questo mio tempo.
Sento tutta la fatica della Chiesa per un peso spaventoso uguale a tutto il rapporto dell'umanità con Dio in Gesù Cristo. E mi schiaccia questa fatica perchè non è una parte, ma è tutto il peso che bisogna portare. E il Concilio, questo mio Concilio, mi mette davanti e mi consegna l'umanità intera, ogni problema del Regno di Dio, tutto il Mistero della Sua Grazia e della Salvezza.
Andiamo a Roma al Concilio e vi portiamo la nostra fetta di terra, il nostro problema personale, la nostra visione particolare e ci sarà consegnato il mondo intero, ci sarà messa sulle spalle l'umanità, ci sarà chiesto che il cuore si apra in accoglienze universali.
Allora la mia ricerca di Verità acquisterà doveri nuovi: se la mia Fede ho accettato che sia manifestata al mondo e gridata ai quattro venti, deve avere capacità e sicurezze di testimonianze universali. Perchè questo mio Concilio metterà la mia Fede a pietra angolare per reggere il mondo. Ancora una volta usciamo dall'ombra che spesso la storia aggrava intorno alla Chiesa e diciamo che qui soltanto sta la Salvezza.
E è mio quel Concilio, perchè io voglio che sia presa questa posizione e me ne prendo tutta la responsabilità.
No, il Concilio non è qualcosa che riguarda soltanto il Papa e i Vescovi. Sono io, sei tu, siamo tutti - a meno che non rifiutiamo il nostro consenso - che diventiamo città costruita sul monte, impossibile a nascondersi, e luce accesa per illuminare tutto il mondo (Mt. 5, 14).
Non può lasciarmi indifferente il Concilio: sta aggravando terribilmente le mie responsabilità davanti al mondo. Lo sento come un avvenimento che non lascerà immutate le situazioni: o sarà più Luce o il buio, dopo, sarà più fitto.
Mi comporta, lo sento bene, che Dio sia di più tutto, valore assoluto: una trascendenza tutta presenza di Bontà, di Amore. Più Cristianesimo come unica speranza di salvezza e indicazione perfetta di veri valori. E mi costringerà ad aprire il cuore in capacità di conciliazioni fraterne colmate di fiducia. Sono tanto felice che sia venuto il tempo in cui la Chiesa possa fare un Concilio che non sia contro nessuno, che non sia per separare e tagliare via, ma per conciliare, non tanto i suoi figli, quanto tutti gli uomini, per accogliere, per aprire le braccia in aperture universali. Non lo sento come un Concilio per problemi di Verità e di Dogmatica, ma unicamente o quasi per problemi di Amore.
Offro al Concilio - se non altro attraverso le vie misteriose di Dio - tutto il mio problema religioso, ma non è soltanto il mio, è quello del mio tempo e della mia gente, il problema di una Verità e sincerità cristiana vissuto e sofferto nella nostra carne e nella nostra anima, raccolto nelle strade e nelle fabbriche e nelle scuole e nelle case. Mandiamo al Concilio, per mezzo dei nostri Vescovi, il travaglio quotidiano per una ricerca di Amore a Dio in questo nostro mondo, in questo nostro tempo, e tutto il travaglio quotidiano per una ricerca di salvezza di ogni valore e di tutta l'esistenza umana.
Consegniamo i nostri pesi, le incertezze, i disorientamenti, le debolezze, i tradimenti, ma anche un desiderio appassionato di Verità, un cuore ansioso e pronto all'Amore, un'anima aperta a tutte le responsabilità.


don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1962, Settembre 1962

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