A volte capitano sofferenze capaci di disorientare. Smarriscono, lasciano senza fiato. E' come trovarsi all'improvviso in alto mare, soli a gridare al vento.
Non è stato per le parolacce che mi sono state dette, per la mancanza di educazione e di riguardo da parte di chi dovrebbe essere almeno educato e rispettoso. E nemmeno per i risultati a rovescio ottenuti. Il discorso del grano e della zizzania è vecchio e non può non essere sempre presente quando andiamo a lavorare nel campo. Non è stata sofferenza per un dialogo che sempre più si sta chiudendo: c'è sempre stata poca speranza di poter fare un discorso chiaro e di poter capirci e comprenderci. Certi ponti si stanno rompendo sempre più e forse, da noi stessi, è bene metterci sotto la dinamite.
La sofferenza è un'altra e è molto profonda, da stringere il cuore.
Se le cose stanno così, cosa si deve fare?
C'è una Verità che urge dentro e spinge e costringe a testimoniarla, da non saper più come fare a contenerla. Spesso diventa una vera e propria violenza nell'anima. Anche perché non è Verità a tipo intellettuale per la gioia dell'intelligenza, non suscita un problema personale che nasce e finisce nel segreto del cuore e della propria coscienza. E' verità che suscita Amore. Amore non di se stessi, ma degli altri, di tutti, del bene di tutti.
Bisognerebbe conoscere Dio e aver aperto il cuore senza misura all'umanità intera per sapere cos'è e cosa vuol dire quest'Amore. Solo allora potrebbe essere capita la sofferenza che provoca nel più profondo dell'anima.
Verrebbe da camminare per tutto il mondo. La voglia di portare acqua a ogni deserto. Abbracciare ogni essere umano. Aprirsi le vene e dare tutto il sangue. E poi volare nel cielo azzurro e andare ancora più in alto, lassù, di dove quest'Amore è sicuramente sceso, per perdersi nel suo infinito.
E invece non si sa cosa fare.
Per dire una Parola, si capisce bene che bisognerebbe che fosse prima interamente scontata e pagata. E non sempre si è onestamente sinceri.
A un certo punto si scopre il dovere di dire. Allora si parla o si scrive o si fa qualcosa che sia apertamente questa Parola.
E' doloroso allora quello che succede. Quella Parola non qualifica per quello che si è e si vuole essere: testimonianza cioè della Verità e premura d'Amore. Non fa essere giudicati cristiani, come sarebbe giusto. Che poi questo cristianesimo sia accolto o respinto, è un altro discorso. No, ma subito, l'effetto immediato è che uno venga sistemato come «di destra o di sinistra».
Secondo quali parole dici della Verità, del Vangelo, secondo su quali temi imposti la tua vita, ti mettono un'etichetta in fronte con su scritto: "di destra, di sinistra o di centro" (nel caso che tu dia ragione a tutti o che tutto ti vada bene come per gli scemi).
E poi a mettersi a parlare di rapporti cristiani fra ricchi e poveri, padroni e servi, imprenditori e operai, c'è da sentirsi dire che prima di parlare bisognerebbe essere competenti in problemi economici, essere dentro le complicazioni della concorrenza, conoscere bene il razionale impiego del capitale, i movimenti finanziari nazionali e internazionali ecc. Roba da matti. Sarebbe come dire che quando deve piovere, bisogna prima sentire il parere di chi di dovere e specialmente di alcuni, se li scomoda o no, se hanno preso l'impermeabile e le scarpe da pioggia.
Diversamente sono parolacce, rottura di ponti, raffreddarsi di rapporti: segno chiaro che, nel caso, non ci sono speranze, si è classificati inevitabilmente di sinistra o al massimo di centro sinistra, classificazione ormai anche questa capace di giustificare giudizi severi, messa al bando, gente pericolosa, incosciente, stracarica di spaventose responsabilità e via dicendo.
Verrebbe la voglia allora di romperla del tutto e scendere in piazza accanto alla povera gente a far causa comune: anche perché la forza di cercare di salvare l'amicizia o almeno la simpatia di "quegli altri", si è perduta la stima, la fiducia, l'Amore dei poveri, dei deboli, della gente che lavora e vive di pane e di speranza.
Ma è un gran sogno, e ancora c'è tempo e molto cammino da fare. Bisogna che ci stanchino e ci deludano ancora di più, forse. E bisogna che l'Amore a certa Verità cresca in noi e ci travolga nella sua violenza, perché la nostra rivoluzione non potrà che essere una rivoluzione fatta dall'Amore.
Nel frattempo è necessario che la sofferenza non stanchi e la fatica non schiacci. Nonostante tutto, la libertà anche della Parola di Dio e della Verità del Vangelo va conquistata e va quindi duramente pagata.
Occorre anche il coraggio di respingere "le offerte" e non tanto quelle fatte di spiccioli della vedova, ma le manciate d'oro dei ricchi Farisei anche se servono per costruire le chiese e mantenere le attività cattoliche. Perché la Verità, l'Amore e il Vangelo e la giustizia sono una cosa e le ricchezze sono completamente un'altra. Quest'ultime, con tutto il rispetto fraterno dovuto, non faranno mai Vangelo e Cristianesimo. Sarebbe bene questa verità suonarla con le campane di ogni campanile.
Lo so che sono discorsi grossi questi, ma quando il problema prende alla gola e leva il respiro, si cerca una boccata d'aria buona per rifarsi. E quando la realtà è troppo dura e spietata e dolorosa, è pur giusto sollevarci almeno sognando.
O meglio ancora sarebbe - ma a volte anche questo è duro, fratelli - starsene accucciati, come cani devoti in silenzio ai piedi del padrone, davanti al Tabernacolo, cogli occhi, anche se mezzo stanchi e pesanti, levati ad attendere un cenno di Lui, di Dio.
Perché è vero che bisogna attendere insieme a Lui, ma attendere però sempre pronti a tutta la Sua Volontà, aperti a tutta la Sua Verità, capaci di tutto il Suo Amore.
Forse è la cosa più importante da fare, anche perché è soltanto così che la sofferenza non diventa un dramma e non riesce a spegnere l'Amore.
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in La Voce dei Poveri: La VdP giugno 1962, Giugno 1962
Luigi Sonnenfeld
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