Mi sono fermato qualche giorno fa a chiacchierare con un gruppetto di apprendisti operai. Ragazzi di 16, 17 anni. So che è estremamente difficile parlare con loro. Conosco ciò che pensano e è una tristezza terribile, da soffocazione. Da non sapere cosa dire perchè il discorso che fanno è come sparare nel cuore: si rimane come morti ad ogni possibile fiducia e speranza. In alto mare e non si sa a cosa aggrapparsi.
Questo nostro mondaccio occidentale ha demolito nei giovani la giovinezza. Quella vera, capace di ideali aperti e sereni, la giovinezza fiduciosa nella vita, disposta a cercare valori con impegno personale, con generosità dì speranza.
E subito il discorso è andato a finire dove mi aspettavo. La vitaccia che si deve fare. Sempre lavoro. Schiavi degli altri. Pochi soldi. Nessuna soddisfazione.
La storia delle soddisfazioni è una tragedia. Sono tutte condizionate dai soldi. Ci vogliono i quattrini. Con quelli si fa tutto, si compra tutto, si può avere tutto.
Nemmeno la ragazzina la domenica si trova senza quattrini. E se non hai almeno la moto non ti guardano nemmeno.
I quattrini. Sono l'unica cosa che conta in questo mondo.
16, 17 anni e l'unico valore apprezzato e cercato sono i quattrini.
Ho timidamente azzardato a mettere davanti la ricchezza della salute, ma ho capito bene che per considerarla il valore che è bisogna non averla. Ho cercato di far riflettere che la felicità e quindi anche la giovinezza per poterla godere bisogna saperla avere nel cuore, non si compra a fogli da mille. Ma il discorso andava nel difficile, nel complicato. E qui è fame e sete, di quella che annebbia tutto e fa soltanto rabbiosi e duri e spietati.
Il discorso delle soddisfazioni è quésta fame e sete che incupisce e disorienta i giovani del nostro tempo. Non è un problema di sessualità nel senso trito della parola. E' problema di facilitazione, di tutto a portata di mano. Significa non ideali, ma immediatezza, non ricerche complesse, ma concretezza. Vuol dire sensazione di sazietà e forse, ancora meglio, sicurezza di possibilità di ogni sazietà e sicurezza facile, spontanea, normale. Istintività libera, risposta immediata, assurdità del non consentito, del non possibile. Immoralità di situazioni di contrasto o di impedimento, insopportazione di difficoltà e anche di attesa.
E il mondo che non è fatto così è un assurdo, un'indecenza, un'ingiustizia.
Una volta gli scontenti di situazioni presenti pensavano alla rivoluzione, al rovesciamento per iniziare un'esistenza nuova e ne affrontavano e ne sostenevano la fatica e il pericolo, l'angoscia e anche la disperazione.
Mi verrebbe da dire che quelli erano tempi di sogno. Qualcosa di stupendo.
Ora tutti sanno che per avere la felicità, il benessere, la giustizia, la pace, l'amore, il lavoro (si può aggiungere tutto quello che si vuole) occorrono e bastano i quattrini. Questa rivoluzione non più fatta di barricate ma di milioni, non più di società segrete ma di società anonime. E ciò che deve essere ottenuto o conquistato sono le fuori serie, i motoscafi d'alto mare, la villa in montagna e al mare. Il conto in banca.
Ora ciò che rivoluziona la propria esistenza si compra. Ciò che sistema il proprio ideale si compra. La ragion d'essere del proprio stare a questo mondo si compra.
E si allarga a macchia d'olio la convinzione che la felicità è questione di quattrini.
In fondo quei ragazzi hanno ragione. Lavorano a giornate intere a costruire motoscafi da venti milioni in su, soltanto di costo, e quasi sempre sono genitori che li comprano perchè i figli sono stati promossi agli esami e così potranno divertirsi coi loro amici durante l'estate. Loro si possono levare tutte le soddisfazioni, dicono.
Giorni fa, dice uno, erano a bordo e mangiavano, bevevano, fumavano e io ero lì accanto a lucidare dei mobili; non mi hanno offerto nemmeno una sigaretta.
Così questo mondo fatto di milioni (e cresce ogni anno), sempre più vive soltanto di ricchezza; e non di ricchezza benessere, ma di ricchezza-valore assoluto.
E ormai anche gli operai si stanno imborghesendo. E quelli che sono riusciti a sistemarsi se ne fregano di quelli che stanno male. E chi ha i cottimi non pensa a chi non li può fare. E chi si arrangia con gli straordinari non lotta per i disoccupati. C'è il televisore da pagare. C'è il sogno della macchina. L'appartamento elegante. E forse una mezza mantenuta che vuole essere mantenuta del tutto. Il mondo è fatto così e mi diceva un operaio con grande sussiego, come se fosse chissà quale conquista, che la domenica se l'avessi incontrato non l'avrei distinto dal padrone da quanto era elegante. Evidentemente dimenticava il baciapiedi che faceva durante la settimana. Gli industriali, i ricchi, stanno comprando poco a poco anche gli operai. Soltanto che vogliono spendere troppo poco: non riescono a rassegnarsi a spendere un po' di più, ma se lo facessero riuscirebbero a concludere l'affare. Ormai tutto è veramente questione di mercato.
Mi ha fatto infinita tristezza (e mi è venuto dal cuore di dire che allora non vi è proprio più speranza) il leggere una lettera di una ragazza, appartenente al Konsomol, l'organizzazione giovanile sovietica. E' stata pubblicata dal giornale dell'organizzazione. E' una giovane studentessa. Scrive: «un tempo quando conoscevo ancora troppo poco la vita, io avevo uno scopo: apprendere. Ho ottenuto il diploma della scuola secondaria e attualmente studio all'Istituto. Ma ora tutti i miei bisogni «puri» e disinteressati hanno ceduto il passo a un solo desiderio: i soldi. Il denaro è tutto: lusso e confort, amore e benessere. Col denaro avrete amici e compagni, tutto ciò che potrete desiderare. Voi condannate coloro che non lavorano, che non fanno nulla. Ma essi sono al contrario da invidiarsi perchè possono godersi la vita. Non si vive che una sola volta. Io non so ancora come potrò realizzare i miei sogni, ma quasi tutte le ragazze sperano di fare un buon matrimonio con qualcuno pieno di soldi...».
Una tristezza infinita. Era una speranza, una segreta fiducia. Tutto è veramente inutile. Verrebbe la voglia di spengere ogni ideale, come l'ultima candela. Al buio forse si vede meno l'orrore che ci sta d'intorno e si soffrirebbe di meno.
Un prete
in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1962, Maggio 1962
Luigi Sonnenfeld
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