Nella discussione precedente eravamo giunti alla conclusione che era necessario trovare al di fuori dell'uomo, in concetti che non risentissero della soggettività degli individui, dei popoli o delle epoche storiche la base della giustizia.
«Dare a ciascuno il suo» è una definizione vuota di senso, se non si chiarisce adeguatamente quale è il «suo» di ciascuno: per trovare un criterio che definisca questo diritto di ogni uomo, bisogna andare al di sopra degli uomini e della loro storia. Queste le conclusioni a cui eravamo giunti.
La discussione è proseguita ed ha avuto per argomento ancora la Giustizia, la Carità, ed i loro rapporti. Abbiamo letto un brano del Vangelo in cui si aveva un esempio strano di giustizia divina: l'episodio dell'adultera che Gesù salva dalla lapidazione dei farisei (Gv. 8, 1-11).
La giustizia ci colpisce sempre per quel suo essere impersonale e oggettiva, e ci dà l'impressione di una freddezza talvolta disumana. Nell'esempio evangelico, la legge è chiara, la colpa è provata, l'applicazione della legge deve essere automatica, applicarla è anzi un dovere preciso. Vediamo qui chiaramente i pregi ed i limiti della giustizia. Esistono delle norme di comportamento che hanno valore per tutti gli uomini e che limitano, in difesa di tutti, il campo di azione di ognuno, che stabiliscono quale è quello che a nessuno, per nessuna ragione, deve essere tolto; che dicono quale è la pena per i trasgressori. Fissate le responsabilità, la «giustizia fa il suo corso», come si dice, e, spesso, è un corso obbligato, un binario fisso. Tutti siamo stati colpiti da esempi clamorosi di giustizia disumana purtroppo frequenti, ma inevitabili. Il ladro di due mandarini condannato a 2 anni di reclusione; il ladro di 60 chili di frumento, (era appena finita la guerra e nel paese c'era il caos e la fame) condannato a 20 anni: 1 anno per ogni tre chili di frumento.
Così è la giustizia: un criterio generale per risolvere casi particolari.
Notiamo però che nell'esempio evangelico giustizia è stata fatta: la donna è stata riconosciuta colpevole; ha ottenuto il perdono, è vero, ma è stata riconosciuta colpevole. Questo esempio ci fa pensare ai rapporti fra giustizio e carità, e ci induce a vederle ambedue come due modi di risolvere il problema dei rapporti fra gli uomini.
La giustizia appare come quella disciplina che si occupa dei rapporti delle collettività con l'individuo: di qui la sua generalità e la sua frequente mancanza di elasticità. La carità invece vuole aiutare i rapporti fra i singoli uomini, oltre quelli di ordine sociale.
La carità è amore, e l'amore è dono di se agli altri, prontezza a pagare di persona.
E' un fatto, che la maggior parte delle lotte del nostro tempo avvengono in questi termini: da un lato la coscienza di un diritto, dall'altro la negazione di questo diritto, e isolate, paterne ed obbligate concessioni fatte a titolo di carità, di elemosina o di paura.
Perchè possa agire la carità, è quindi necessario che la giustizia sia realizzata, che siano stabiliti e difesi i diritti degli uomini che vedono la fonte dei loro diritti non in invariabili condizioni di fortuna, ma semplicemente nel loro essere uomini. La carità allora può intervenire a perfezionare la giustizia, a colmarne le deficienze, a renderla giusta caso per caso.
Ma la carità non si ferma qui, va al di là, dove la giustizia non può giungere, a realizzare un rapporto fra gli uomini che alcuni del nostro gruppo definiscono di origine divina; altri dicono che la carità è una semplice manifestazione di quella qualità che in misura maggiore o minore è in tutti e che si chiama bontà.
Tutti, però, ci siamo trovati d'accordo nel vedere nella carità la pietra angolare di una buona convivenza fra gli uomini: alla base di quella pietra è necessario però che sia posto il solido fondamento della giustizia.
Mirco Tavosanis
in La Voce dei Poveri: La VdP febbraio 1962, Febbraio 1962
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455