del nostro tempo (continua)
(continuazione del numero precedente)
No, la menzogna dell'amico, l'ingiustizia dell'appoggio e la vergogna della raccomandazione non l'hanno inventata i poveri.
Non sono i poveri dei suicidi della propria dignità umana e dei rinunciatari ai diritti del proprio bisogno in forza di se sesso. I poveri dei nostri tempi, quelli che vivono della propria giornata, senz'altra speranza che la propria fatica e senz'altre risorse che la voglia di lavorare, hanno la dignità del loro lavoro e la consapevolezza del valore umano e sociale del loro sacrificio quotidiano.
E se non fossero depressi ogni giorno da valutazioni assurde proprie del nostro tempo fino al punto da considerare il lavoro schiavitù e chi lavora un animale da soma, i lavoratori sarebbero capaci di autentica dignità e compostezza umana e sociale.
Ma che gli uomini abbiano una dignità e sappiano aver considerazione di se stessi elevando sempre più il proprio valore su un piano personale e sociale, è cosa che ha sempre stranamente preoccupato i dirigenti, i ricchi, i potenti.
Evidentemente, per sentirsi pastori si ha bisogno del gregge e quindi a pecore bisogna ridurre il prossimo più che sia possibile.
La storia che si studia nelle scuole è il racconto di quello che i potenti hanno fatto per poter tenere il piede sul collo alla gente. Il bisogno di annullare gli altri, di schiacciarli, ridurre a sgabello sotto i piedi, basamento per il proprio monumento. E il risultato viene considero grandezza.
Per questo «successo» tutto va bene. E i nostri ultimi decenni ne sono indicazione esattissima.
Da noi, fra gli altri modi di dominazione, è la gran porcheria della raccomandazione. Come potenza di incenerimento della dignità umana viene subito dopo il denaro. Il denaro e l'appoggio, in questi nostri beati tempi di serena fraternità, sono la moneta di compra-vendita della dignità della persona umana del prossimo.
Riesci, ottieni, concludi se paghi o, come dice la povera gente, se ungi. Oppure bisogna che tu cerchi un appoggio. Occorre «l'amico» che lo commuova, che lo intenerisca o che gli faccia capire che gli conviene, diversamene «quello» non si muove. E tu, poveraccio, aspetti a vuoto mangiandoti le unghie.
. Si stabilisce quindi una catena di aderenze, di conoscenze e i favori non li fanno ai poveri, a chi ha bisogno, a chi ha diritto, ma se li fanno fra loro. Il povero è ridotto a povera, miserabile occasione di scambio di favori fra loro.
Come se dei medici si passassero i malati uno con l'altro per favori vicendevoli. Come se degli avvocati utilizzassero le liti e soffiassero sul fuoco per dare lavoro ai colleghi. E una volta i latifondisti vendevano il fondo, il bestiame e i contadini.
Quando si vive sulla disgrazia altrui è troppo facile la tentazione di provocare la disgrazia. Così è della povertà: è materia che troppo facilmente e troppo a buon prezzo può rendere. Perché non farne un mezzo di dominio? Perchè non mantenerla sfruttandola per i propri privilegi?
E «l'amico» del giaguaro, la raccomandazione mielosa e pietistica, l'appoggio di cartapesta non solleva la miseria e la povertà ma la mantiene e la sfrutta. Risolve il caso particolare e ribadisce e allarga fino a piaga purulenta e a peste bubbonica una mentalità di corruzione, rapporti su basi di orribile egoismo e demolisce fino a incenerirlo il diritto e la giustizia per favorire il riscatto, lo sfruttamento, il dominio di pochi.
Sarebbe interessante fare la statistica di chi fa una domanda scritta, per ottenere qualsiasi cosa e non si preoccupa di cercare appoggio e raccomandazioni.
Qualche mese fa, in un comune vicino, le domande per il posto di becchino a un cimitero erano validamente appoggiate da personaggi e onorevoli.
Siamo ridotti veramente sul lastrico della vergogna più nera. Siamo carta straccia da macero se qualcuno non si degna chinarsi a raccattarci.
Mi pare che il segno indicatore di una separazione di classi sia, ai nostri tempi, molto chiaramente stabilito: la gran folla ormai costretta a cercare le raccomandazioni e i pochi che possono raccomandare perché in condizioni di essere richiesti a loro volta di raccomandazioni. Chi è in condizioni di non stare nemmeno in piedi e ha bisogno di appoggi e chi è così stabile e sicuro, così bene in gambe, da poter essere valido appoggio.
I primi sono la classe dei poveri: i veri «poveri di spirito» (Mt. 5, 3), perché spogliati anche di ogni validità umana e di ogni diritto.
Gli altri sono «i sazi» (Lc. 6, 25), quelli che sono pieni di tutto e non hanno bisogno di nessuno. Questa nuova aristocrazia del nostro tempo. Questo classismo di privilegio fatto fiorire ancora una volta sulla morte della persona umana come i crisantemi al cimitero.
Passo per inutile e lo sono senza dubbio, non servo al povero bisognoso di aiuto, non risolverò casi pietosi e non farò carità, ma non posso adattarmi a servire all'ingiustizia. In coscienza non devo aiutare la goffa importanza del personaggio, solleticare la sua ambizione e servire ai suoi interessi: non lo posso fare nemmeno per aiutarti, povero fratello mio.
Vi è qualcosa che vale assai di più del pezzo di pane.
E poi io non ho amicizie importanti per il semplice motivo che io non ho nessuna importanza personale.
E quell'importanza che posso avere per ciò che mi è stato donato da Dio, non posso ridurla a merce di scambio con i miserabili valori umani, lo capisci bene, fratello mio, vero? Sarebbe un sacrilegio. Perché ciò che è di Dio va dato soltanto a DIO (Mt. 22, 21) e bisogna servire Lui solo (Mt. 4, 11).
don Sirio
in La Voce dei Poveri: La VdP novembre 1961, Novembre 1961
Luigi Sonnenfeld
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