Ho saltato il muro

Gli operai dell'azienda hanno occupato lo stabilimento.
Dopo tre mesi di agitazione per ottenere un aumento di paga di poco più di 100 lire, la tensione è arrivata al punto che la Direzione ha minacciato al mattino seguente di lasciare chiusi i cancelli. E gli operai non sono usciti quella sera.
Attraverso il muro di cinta hanno loro portato, le mogli e gli amici, coperte e paglia ed è cominciato questo strano, volontario campo di concentramento.

Li ho trovati seduti, lassù in alto, sul muro. E sotto i picchetti di polizia e carabinieri.
Ho chiesto alla Direzione di poter entrare fra loro. Niente. Ho detto che il sacerdote è concesso anche ai carcerati e ai condannati a morte. Ma nulla da fare. Mi sono appellato alla terribile responsabilità davanti a Dio. Ma anche Dio conta poco quando si tratta di interessi.
Sono passati molti giorni. Ho continuato ad andare lungo il muro a soffrire una sofferenza di poveri uomini per avere la possibilità di soffrire in un lavoro duro, pesante e incapace di dare da mangiare e una casa decente e una scuola ai propri figli.
E' venuta la domenica. Ho chiesto di andare a celebrare la Messa. Ma ancora un rifiuto. Allora ho messo gli arredi sacri in una valigia. Sono tornato sotto il muro con una scala. Sono salito e gli operai mi hanno aiutato a scendere di là.
Avevo scavalcato una legge terribile, quella che separa così spaventosamente gli uomini. Legge di ordine naturale, ma che è così tanto osservata dagli uomini fino alla ferocia, alla crudeltà, all'odio più spaventoso. Perché il diritto di proprietà è ancora rimasto allo stato d'istinto e non accetta mitigazioni razionali, sistemazioni umane e tanto meno sopporta che se n'occupi il cuore.
Nemmeno Dio sembra che ci possa far nulla e il Cristianesimo lo esaspera soltanto, quando non riesce a superarlo con la forza dell'Amore e della Povertà.
Ho scavalcato questo abisso di divisione e mi sono sentito come in terra libera, fra uomini liberi.
Camminavo qua e là guidato dagli operai a vedere la loro precaria e tanto penosa sistemazione di occupanti. E mi hanno fatto vedere l'azienda: una attrezzatura semplicemente primitiva, un macchinario antiquato di quaranta anni fa, un'organizzazione di lavoro assurda e un disordine inconcepibile. Mi dava l'impressione di una forzatura artefatta di modo di lavoro per intristire e rendere esasperata la fatica quotidiana di quei poveri operai.
Hanno preparato l'altare con attrezzi di lavoro e lamiere. E tutti poi d'intorno all'altare come intorno ad una tavola di famiglia.
Un silenzio enorme.
Può darsi che molti non siano credenti. Forse alcuni hanno voluto questa Messa per interesse di pubblicità: ma a me non importava nulla dei motivi e delle intenzioni - e nel caso ero felice che almeno quella Messa «servisse» a dei poveri, a degli operai: troppe volte ho tanto sofferto nel dover fare Messe e funzioni sacre che «servivano» soltanto ai ricchi - l'importante era che Dio fosse lì fra i poveri, che Gesù Cristo consumasse lì, fra gli operai, il Suo Sacrificio di Redenzione, che fosse presente - vivo e vero - a dare senso, significato, valore infinito ed eterno a questa povera vicenda umana, a queste situazioni d'ingiustizia, a questa sofferenza per i diritti fondamentali alla vita. Il Figlio di Dio coinvolto in questa tragedia umana. Il Suo Amore in questa nostra spaventosa miseria di comprensione fraterna.
Ho detto loro queste cose con le lacrime agli occhi e con l'anima tesa e aperta ad una comunicazione di tutta la Verità.
Qualcosa vi era di limpida purezza e di verginale sincerità in quei pochi minuti: il Mistero di Gesù presente in tutta la Sua realtà umana e divina e la mia Fede intera e totale e la loro sofferenza: vi era abbastanza perché nascesse sotto il baraccone, fra quei carri merci ferroviari in riparazione, fra quei poveri uomini carichi di sofferenza e d'incertezza e un povero prete in condizioni di illegalità a celebrare la S. Messa, nascesse e fruttificasse la speranza di un Amore e la realtà di una Salvezza, la fiducia in una Giustizia che non fallisce perché c'è Dio. E la pena di uomini, l'angoscia di una lotta, la tragedia di tanta esistenza saliva a Dio in cerca di Amore e di Redenzione affidandosi al Mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio e fratello nostro, fatto noi tutti fino alla morte.
Dopo la Messa mi è sembrata cosa puerile e ridicola quella dichiarazione che mi è stata letta da un inviato della Direzione nella quale mi si diceva che, a seguito della mia violazione di domicilio, la Direzione si riservava di prendere tutti i provvedimenti che riteneva più opportuni. D'accordo: che la legge facesse pure il suo corso, ma nel cuore adoravo la libertà dei Figli di Dio, vasta e aperta e inincatenabile «come il vento che spira dove vuole e ne senti la voce, ma non sai donde venga né dove vada: perché così è d'ognuno che è nato dallo Spirito» (Giov. 3, 8).
Enormi strette di mano e mi accompagnavano al muro della legge: ora dovevo scavalcarlo per ritornare nella legalità degli uomini onesti, galantuomini, saggi e prudenti (cioè quelli che stanno bene, hanno il conto in banca, un impiego sicuro, appoggi potenti, posizioni di privilegio).
Stavo pensando se Dio era più di là o di qua dal muro. E mi ricordavo di Gesù e della Sua storia di Figlio di Dio fatto Uomo e mi colmava il cuore di gioia pensare che Lui aveva scelto di vivere la Sua vita terrena e umana al di qua del muro, dove sono chiusi come in campo di concentramento i poveri, i deboli, chi è nulla e zero nella vita. E per questo l'avevano condannato come un malfattore e un sovvertitore dell'ordine pubblico, alla morte di Croce e ve l'avevano inchiodato fra due ladri, lasciandovelo morire dissanguato.
Ma aveva perdonato perché nessuno rimanesse fuori dal Suo Amore e quindi con Amore ho risalito il muro della legge e sono tornato fra «gli altri»: mi aspettavano nella mia piccola Chiesa perché io celebrassi la Messa per loro, per loro e per tutti, perché almeno in Dio, per l'adorabile presenza di Gesù, vincolo d'Amore, possiamo essere tutti fratelli.


don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP luglio 1961, Luglio 1961

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