«Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli...» (Mt. 6, 9)
Nel Cristianesimo il problema della dignità è sentito e risolto in modo veramente particolare. E come sempre, rovesciando radicalmente la mentalità e le usanze che lo stupido amor proprio dell'egoismo umano inventa e mantiene gelosamente per innalzare se stesso a scapito sempre della dignità altrui.
L'Amore semplice, fraterno, aperto, senza limiti e misure spinto fino al punto dell'annullamento di se stessi per valutare gli altri (chiunque siano questi altri, compresi i nemici) per il puro riconoscimento e la serena accettazione della loro realtà umana, e quindi della realtà di fraternità per identica comunanza di dignità e di destini, quest'Amore - essenzialità adorabile del Mistero di Cristo -- non poteva venire a patti colle misurazioni fatte ai millimetro del «chi sei tu davanti a me»: problemi di aristocrazia, differenze per posizioni, eccezionalità di funzioni, importanze per titoli, mangiatutti per quattrini, elevatezze per cultura, raffinatezze per educazione e giù, giù tutte le porcherie e ingiustizie escogitate dalla superbia e dall'interesse come le questioni di razza, di casta, di classe, di nazionalità. E ancora, sbriciolando lo stesso identico istinto in infinite miserie e vergogne, sempre per bramosia di eccezionalità, di posizione «diversa», di distinzione dal gregge comune, ecc., si arriva all'ansia del privilegio come ad un affannoso salire sulla cima di un monticello e di lassù guardare il panorama del povero formicaio umano confuso e sperduto nelle bassure del povero vivere comune.
Forse la storia del privilegio - non so se esiste una storia compilata, ma nel caso dev'essere molto voluminosa - darebbe una delle più esatte indicazioni della povertà e della miseria degli uomini e forse rivelerebbe quanto questa manìa del privilegio, della distinzione, della particolarità, dell'eccezione è stata motivo di dolore, di sciagure, di guerre, ecc.
Fino a che l'umanità - anche le utopie più fantasiose possono essere sognate - continuerà a produrre degli eroi e avrà il culto dell'eccezionalità, sarà sempre un disastro: questo clima accenderà sempre pazzie perché favorisce gli egoismi, piccoli o grandi che siano, perennemente in ricerca di esaltazione di sé a costo di tutto.
Evidentemente il Cristianesimo ha tagliato la mala pianta alla radice. Il primo sia l'ultimo, perché a chi è il primo è possibile la salvezza soltanto se sarà l'ultimo, perché chi è l'ultimo non è in condizioni di avvilimento o di situazione d'inferiorità perché per il fatto che è l'ultimo, è il primo in questa nuova gerarchia di valori.
Scambio simultaneo e vicendevole di posizioni per l'esistere perfetto sullo stesso piano di verità: offerta continuata del proprio privilegio per serena e lieta libertà di Amore. (Mt. 20,1-16).
Solo allora con Verità e sincerità possiamo rivolgerci a Dio dicendogli: «Padre nostro» e ancora le altre dolcissime parole, frutto di un aperto Amore universale: "dacci oggi il nostro pane quotidiano". Che tutti possano mangiare come me, che tutti siamo perdonati davanti a Lui e fra noi, che tutti siamo difesi dalla tentazione perché tutti ugualmente sciagurati e in pericolo, che tutti siamo liberati da ogni male...
Se ci sentiamo «qualcuno», è meglio non dirla questa preghiera. Sono le sacre parole dell'uguaglianza umana: sono il grido dell'umanità intera, spoglia e nuda di tutto, davanti all'unica grandezza, quella di Dio.
Forse dobbiamo assai vergognarci. Ciascuno di noi sicuramente ha arraffato qualcosa nella sua vita per farne uno sgabello e montarvi sopra, per essere almeno dieci centimetri più in alto di quei poveracci che ci stanno intorno.
Chi non ha pretese di essere considerato in modo particolare?
Chi non giudica di avanzare diritti ormai come assolutamente dovuti?
Chi non pensa che sia giusto che altri lo servano?
Chi non crede di poter avere la coscienza a posto perché «paga» i propri privilegi e il povero servilismo del prossimo?
Chi non approfitta delle proprie posizioni di lavoro, di professione, di sacro ministero, di attività politica ecc., per ottenere sacri rispetti, riverenze ossequienti, adulazioni stupide e privilegi e quindi poi anche vantaggi materiali?
E il povero popolo paga, è la povera gente che paga in moneta sonante fatta della propria dignità umana e cristiana questa ipocrita grandezza e questa stupida importanza, s'inginocchia, piega la schiena, bacia dove "quelli" mettono i piedi, dicono sempre di «sì», sorridono penosamente, si adattano a tutto, perdono ogni dignità, diventano zero, e tutto per il pezzo della pagnotta.
No, cari fratelli, costringere il prossimo nostro a rinunciare alla propria dignità umana di esseri liberi, intelligenti, alla propria grandezza di destino eterno e di Figli di Dio, è peccato mortale che grida vendetta al cospetto di Dio.
E tutti ne siamo macchiati. Il nostro Cristianesimo deve cominciare di qui: dallo smacchiare la nostra coscienza da questo nero d'inferno. Altrimenti sarebbe meglio non farne di nulla, se è vero che cristiano vuol dire seguace di Gesù Cristo Figlio di Dio «annullatosi» dentro l'umanità di tutti, perché tutti possano essere e siano Figli di Dio.
Dio ci perdoni, cari fratelli, dopo duemila anni, non siamo ancora maturati cristianamente fino al punto da essere capaci di capire e giudicare possibile quel punto di vista di Cristo, quel Suo criterio di valorizzazione per cui, davanti a Dio e sulla bilancia di una essenziale valutazione umana e divina, non vi sono differenze fra il Papa e un negro del Congo, uno spazzino e il Presidente della Repubblica, un miliardario e un morto di fame.
La Redazione
in La Voce dei Poveri: La VdP giugno 1961, Giugno 1961
Luigi Sonnenfeld
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