Le nostre parole (dette o no) a Dio

Ti chiedo perdono, Signore, se qualche volta esagero un po' nel pensare a me e ai miei interessi. Ma ormai anche Tu sai che in questo mondaccio non si può fare, diversamente se si vuole avere successo. E' vero: adoro il mio tornaconto, attendo con devozione ai miei affari, tengo in cornice a capo del letto il mio egoismo col lumino acceso davanti. E Tu forse, ad essere sinceri, non sei più di un componente qualsiasi di cui ho bisogno per il conseguimento dei miei scopi.
Però non mi pare che questi siano grossi peccati, non ne sento quasi mai parlare al Vangelo della Messa di mezzogiorno, alla quale vado sempre, quando posso.
Devo riconoscere che Tu non mi vieni mai in mente quando guadagno più del doppio nel mio commercio. Però do la paga sindacale ai miei dipendente perchè la legge va rispettata. Di questi tempi però non è possibile basarci sulla Tua Giustizia quando si tratta di dare a ciascuno il suo: quando invece non riesco ad avere tutto quello che credo sia il mio diritto allora vado dicendo che non c'è più religione a questo mondo.
Se un povero dice che così non si può più andare avanti e un operaio si lamenta perché la busta della quindicina non basta per l'affitto e per quei tre o quattro bimbetti (ma chi glie li ha fatti fare così tanti?), mi viene un senso di soffocamento noioso come per gli inutili lamenti di un malato ormai cronico e, Signore Iddio Onnipotente, non posso non disapprovare altamente la debolezza sinistra del governo attuale e il suo demagogico sensibilizzarsi verso «le in-saziabili esigenze» di questa gente che arriva perfino ad avere il televisore e la stanza da bagno... non si contenta mai. Tanto più che la via del benessere non è quella giusta per combattere il comunismo.
Io invece, Signore, nel mio commercio o nella mia professione non guardo per il sottile. Le tariffe sono tariffe. E vendo la mia merce o la mia scienza come il bigliettaio sull'autobus.
Non faccio nemmeno come certi preti (non so se sia vero però) che hanno diviso i funerali e i matrimoni in classi: prima, seconda e terza. Come se dal numero delle candele e dei tappeti quello andasse più presto in paradiso o avesse più benedizioni e figli maschi nel suo matrimonio. Per me, da vero democratico, sono tutti uguali, ho rispetto del mio prossimo: li considero tutti di prima classe i miei clienti e mi faccio pagare più che sia possibile.
Ora, Signore, Ti chiedo perdono, riconosco che potrei fare le cose un po' meglio, però sono un galantuomo e in fondo un buon cristiano: l'altro giorno ho dato anche una buona offerta per il nuovo organo della Cattedrale. Il Parroco dice che ce ne vorrebbero tanti come me e ogni volta che mi vede m'incoraggia sempre a continuare nella via del bene.

(Vangelo di S. Luca 18,9-14)





in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1961, Maggio 1961

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