Discorsi cattivi

Cari fratelli,
Riconosciamoci per quel che siamo con serenità e franchezza: povera gente che tira avanti il suo carico di miseria umana, spirituale, morale, intellettuale, fisica, familiare e sociale, ecc. Tanto è inutile, non serve, ammantarci di grandezza, di particolari importanze, di sciocca presunzione e di vane gonfiature.
Venga anche lei, caro Cavaliere, accanto a noi poveri appiedati, perché tanto il suo cavallo non può risolvere il problema dei suoi calli. E anche lei, caro Commendatore, levati quei quattro poveracci che La riveriscono per interesse, è un povero anonimo come noi, dentro questa folla di umanità che va avanti annusando l'aria per orientarsi.
No, caro Monsignore, il fiocco rosso e l'anello in dito, ecc. ormai impressionano soltanto quei poveracci fra noi che misurano la solennità della Festa religiosa dal numero delle lampadine e candele accese sull'altare.
Tanto si sa che sono pietre false da pochi soldi (per fortuna) e il colore dei vestiti (anche se sono di seta) non cambia per nulla «quella povera cosa» che ricoprono.
Ormai fanno proprio pena certe parate che vorrebbero essere di grandezza di forza e di potenza e che invece sono un carosello storico, sempre interessante, soltanto perché il passato fa sempre effetto rivederlo come fosse vivo e presente. Poveri tentativi di dire cose con una lingua morta, ormai incomprensibile. Sforzature penose di voler conservare a costo di tutto valori ormai fuori uso come monete con le quali non si può comprare più nulla. Ma tutto forse è soltanto mancanza di fantasia o di coraggio per cercare non cose nuove, ma cose più vere, cioè rispondenti, quindi in conformità alle esigenze presenti.
Così - e anzi il problema è più terribile trattandosi dei motivi interni che poi sono quelli che determinano le espressioni esterne -, così nei confronti di mentalità. Ormai vi sono mentalità che si sono stabilizzate come banchi di nuvole fra la terra e il cielo e non vi sono venti o tempeste che le smuovano. Come se il tempo si fosse arrestato, fermato. Come se la storia non andasse avanti incessantemente e non perché gli uomini la muovono e la spingono - gli uomini sono tutti statici perché abbarbicati in modo tanto miserabile al loro metro quadrato di terra e attaccati con i denti e le unghie al loro scoglio contro le onde del tempo che a poco per volta, nonostante tutto, li strappa via per inghiottirli nel mare aperto dell'eternità - ma perché è Dio che la spinge con forza inesauribile e violenta e in modi tanto strani e misteriosi perché arrivi là dove deve arrivare.
Soltanto noi poveri facciamo sulla terra questo atto di Fede di lasciarci portare avanti con libertà e facilità: ci abbandoniamo serenamente al fluire del tempo, siamo pronti al farsi delle cose e al maturare dei tempi. Viviamo senza paura.
Non abbiamo nulla da difendere. La casa l'abbiamo in affitto. Mangiamo solo se si lavora e lavorare qui o là, in un modo o in un altro, in fondo, è sempre lo stesso: la fatica e l'insicurezza non cambiano. La libertà? E' un discorso quello della libertà che ormai sa troppo d'irrisione. La libertà è un po' come le autostrade: c'impazza a tutta birra soltanto chi va in automobile. E ormai la libertà è merce acquistabile solo a quattrini. A meno che non giudichiamo libertà poter dire «accidenti qui accidenti là», mentre che si piega il collo sotto il giogo.
Per questo - e per molti altri motivi ancora - i poveri sono gente delusa, sfiduciata, disamorata.
In che cosa devono credere e in cosa devono sperare?
C'è chi seriamente e fino in fondo testimonia che la povertà è un valore? Chi è che ne fa motivo di vanto, di gloria, di libertà? Chi la giudica vera e unica ricchezza?
No, no, anche tu ti intenerisci davanti ai biglietti da mille e diventi gentile e riguardoso, tutto premure per chi ne ha tanti.
Col discorso che «ci vogliono» vendi la tua libertà di Figlio di Dio e di Cristiano, testimone dell'unico, vero, adorabile Povero che sia stato sulla terra, al primo ricattatore della Verità e della Giustizia che ti capita. E anche tu sottobanco imbrogli il tuo prossimo, sfrutti la fatica altrui, ti approfitti a man bassa di tutte le «buone» occasioni che ti capitano o se non altro vivi e mangi e dormi dentro la cassaforte del tuo egoismo.
Va bene: però almeno riconosci che sei più povero di noi, più miserabile, più schiavo. E' seguendo un'altra via, ma sei anche tu dentro questo mar morto saturo di miseria dell'esistenza umana dove tutti si galleggia come naufraghi.
Diamoci la mano, fratelli, e salviamoci a vicenda: voi metteteci un po' a parte della vostra ricca povertà e noi vi daremo un po' della nostra povera ricchezza.


Noi poveri


in La Voce dei Poveri: La VdP aprile 1961, Aprile 1961

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