I fiori in tavola

Mi capitò una volta in una conversazione di sentir dire ad una anziana signorina che non avrebbe rinunziato mai a mettere i fiori in tavola a costo di restare senza pane per comprarli. I commenti furono di vario genere, ma prevalse l'opinione che la vera fame abolisce bisogni così poetici e raffinati.
Mi è tornato spesso in mente questo discorso e a poco a poco ho provato una comprensione sempre più viva della malinconia che porta nell'anima del povero la mancanza di ogni piccola superfluità, la impossibilità di fermare il desiderio su ciò che rende più confortevole e gradita la vita di tutti i giorni.
Noi non amiamo davvero il povero. Troppe volte la nostra carità si ferma a considerare i bisogni più evidenti, essenziali, drammatici e solo di questi si interessa; eppure, anche nel piegarsi verso i sofferenti, riusciamo molto spesso inconsapevolmente a mantenere le distanze.
Vediamo Cristo nel povero quando consideriamo sufficiente per Lui una stalla fredda e desolata? Vediamo Cristo quando gli offriamo del pane ma non pensiamo a porgergli acqua per i piedi affaticati o ad accoglierlo col bacio dell'ospitalità?
Purtroppo con sottile fariseismo noi vediamo noi stessi ogni volta che assistendo i poveri noi li sentiamo diversi da noi quasi che fossero di altra natura, destinati per nascita ad essere privi di ciò che per noi è indispensabile.
Sappiamo così bene gustare la piccola gioia di un profumo, un dolce, un piccolo oggetto di moda, un quadro, qualche rifinitura per la casa o per la nostra persona, conosciamo la serenità di un buon pranzetto domenicale e di una festicciola in famiglia e godiamo senza scrupolo di queste cose ritenendole semplici e buone e anche necessarie. Ma per gli altri la lista dei bisogni subisce semplificazioni spaventose che sgomenterebbero un certosino e siamo ben presto pronti ad indignarci di qualche piccolo soprappiù che il nostro occhio indagatore coglie immediatamente nel momento che veniamo a contatto con i poveri.
Sappiamo subito giudicare allora cosa è indispensabile o no e ci scandalizziamo per un tubetto di rossetto visto di sfuggita in una casa di assistiti o della festa «eccessiva» fatta per una prima Comunione, o della bambola troppo di lusso per Natale, dell'uovo di Pasqua così esagerato.
Se ho sentito spesso molte care signore protestare indignate che esse non fanno ai loro figli regali così costosi... Ma è così facile far regali più semplici ai propri bambini quando sappiamo che zie e zie, clienti e dipendenti dell'importante «papà» faranno a gara a colmarli di ogni ben di Dio...
E' così snob ed elegante contenere in modesti limiti una festa di Prima Comunione per chi organizza a getto continuo feste e festicciole di ogni genere...
E non riconosciamo agli altri genitori il "bisogna" di veder felici i loro figli con un balocco «da signori» perchè almeno i bambini credano che gli uomini son tutti uguali e i doni non sono solo, per loro, le scarpe, la pasta o un barattolo di marmellata. Perchè credano, anche loro, al dono, frutto dell'amore dei genitori e non giunto attraverso l'umiliazione della pubblica carità organizzata e reclamistica.
Solo se capiremo che siamo davvero tutti uguali, e che il «noi» e il «loro» è una delle più solenni ingiustizie, toglieremo alla nostra carità il peso dell'umiliazione per chi la riceve.
Ci disgustiamo tante volte delle bugie dei poveri, delle loro lagnanze eccessive, del loro voler calcare le tinte delle disgrazie ma tutto questo dovrebbe invece pesarci sull'anima come il rimorso più cocente e l'atto di accusa più sentito di fronte a Dio.
Siamo noi, con i nostri riflessi lenti di fronte al bisogno altrui che costringiamo i fratelli ad accentuarli, noi con il nostro egoismo costringiamo chi soffre a imbrogliarci e mentire.
L'aver costretto un essere umano all'abiezione estrema della menzogna per impietosire chi dovrebbe amarlo, è la conseguenza della nostra mancanza di amore. Solo se si sentirà amato, il povero ci dirà serenamente le sue pene e ci mostrerà le sue piccole gioie sicuro che non ne trarremo un pretesto per non aiutarlo più.
Solo l'amore vero inverte tutte le facoltà di intelligenza, memoria, fantasia e sensibilità e le potenzia e le valorizza e solo esso ci aiuterà a capire le esigenze del Cristo in ogni uomo che ci avvicina. Ma capiterà, forse, che nel momento di esser giudicati molti che si presenteranno fiduciosi con le mani piene di "buoni" e «pacchi dono» si sentiranno dire dal Maestro con voce accorata: «Avevo desiderio di un fiore e non lo avete capito».


Albertina


in La Voce dei Poveri: La VdP dicembre 1960, Dicembre 1960

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