La povera voce del 6 novembre

Le elezioni sono sempre un bel fastidio. Ma non tanto per il fracasso propagandistico, le frasette e le vignette a effetto dei manifesti e la sorda animosità che incupisce le facce e accende rancori (ormai queste cose e altre ancora, da una volta all'altra, vanno sempre più sistemandosi in dignitosa compostezza e serenità democratica, almeno speriamo) quanto perchè le elezioni rimangono - e è logico che sia così - per chi è sensibile a certi problemi, un fatto di coscienza, Comportano evidentemente gravissime responsabilità e quindi sono scadenze in cui si accumulano per tutti, se siamo gente onesta, problemi veramente preoccupanti.
La superficialità, l'indifferenza, qui sicuramente, è mancare in modo grave ai propri doveri.
Guardando alle elezioni dal nostro punto di vista, cioè secondo la linea di ricerca propria di questa povera voce dei poveri, il problema più grave impostato dalle elezioni è sempre il fatto che il voto è una scelta che non riguarda soltanto me, ma riguarda gli altri forse più di me. Io sto facendo un'azione le cui conseguenze saranno collettive. Se fosse questione di me e basta, sarebbe facile la scelta proporzionalmente alla indifferenza che ho perciò che riguarda la mia persona, ma la mia scelta coinvolge gli altri e per quanto dipende da me comporta conseguenze che interessano questa povera esistenza umana.
Di qui la perplessità, l'incertezza, l'angoscia.
Non posso e non devo dare il mio voto alla leggera, senza questo senso preciso di dovere sociale verso il mio prossimo, di seria preoccupazione dei problemi degli altri, di tutti, senza rendermi conto che non può essere solo una affermazione dei miei diritti, ma anche un gravissimo dovere di Amore fraterno.
Devo scegliere ciò che giudico preferibile per il bene della comunità. La migliore soluzione dei problemi di giustizia deve sensibilizzarmi, e ciò che può decidere libertà e benessere per tutti, assolutamente per tutti.
E se posso permettermi, fino a farmene un dovere, di lottare contro altre idee e programmi e quindi uomini, è soltanto perchè, in coscienza, facendo le scelte che faccio, so di cercare ciò che è meglio anche per quelli che sono gli avversari.
Sono gli altri insomma, la visione dei loro interessi sul piano spirituale, morale, sociale, economico che unicamente può influenzare la mia scelta politica.
Se il voto fosse un atto d'Amore, espressione di una generosa comprensione di tutto il problema umano, sarebbe un vero atto di libertà perchè significherebbe purezza dall'egoismo.
Ma tutto questo, lo so bene, è un'utopia e perchè gli uomini non sono capaci di vero Amore fraterno e perchè, nel caso, nemmeno vi sono raggruppamenti politici ai quali si possano consegnare con fiducia questi atti di Amore fraterno. E è per questo non saper a chi dare politicamente il proprio dovere di Amore del prossimo che le elezioni e la politica sono un'angosciante problema di coscienza.
Tutto invece è un'azione di lotta, una ricerca di affermazione egoistica, una difesa dei propri privilegi, un tentativo di sopraffazione: il tutto coperto dal velo del segreto perchè non apparisca la propria grettezza d'animo.
Ritorno al pensiero del voto come atto di carità, di Amore fraterno.
Presuppone evidentemente il seguire l'andamento politico e amministrativo dal punto di vista altruistico. Presuppone il guardare al futuro non per quello che me viene (appoggi, favori, privilegi interessi, poltrone ecc.) ma per quello che ne verrà a tutti, specialmente a chi più dipende nel suo benessere (leggi: speranza di un pezzo di pane per se e per i suoi figlioli) dalle pubbliche istituzioni. Se esiste questa sensibilità collettiva fatta di vera apertura di cuore e di vasta visione dei problemi umani fondati sull'unico comandamento che regola la vita cristiana dell'Amore verso Dio e verso il prossimo, allora il voto può essere realmente un atto di carità, di Amore cristiano. Cioè vera autentica sincera democrazia.
Diversamente solo Dio sa cos'è quel voto.
A pensarci bene quanti saranno gli elettori veramente degni, perchè puri da ogni egoismo, di dare il proprio voto ?
Quanti saranno i voti realmente espressione di una coscienza retta, di una serena ricerca del bene comune, di un vivo desiderio di provvedere nella libertà e nella giustizia, alla collettività?
Penso con terrore e quasi con un senso di pietà, a chi pubblicamente si offre per ricevere voti come dire: fidatevi di me. Evidentemente non sa di che cosa si carica o forse non gliene importa.
E penso alla facilità con cui ci liberiamo di terribili responsabilità scaricandole addosso a qualcuno che stimiamo (o almeno si spera) capace di portarle tutte coscienziosamente.
E penso a chi si prende la responsabilità di indicare agli elettori come e a chi deve essere dato il voto scaricandoli anche della pena di pensare seriamente alla scelta affrontandone le conseguenze pronti a battersi il petto,
E penso a quanto è angoscioso guardarsi d' intorno e non sapere, in seria coscienza, chi scegliere e di nuovo ancora doversi affidare a motivi raccolti al di fuori di noi e quasi sempre improvvisati e posticci.
Però esiste della gente che può votare - comunque voti - a cuore tranquillo. I poveri. Il loro voto è senz'altro il più puro, il più innocente anche se è venduto a speranze vuote, a ideali sbagliati. Anche se é comprato coll'inganno perchè i poveri sono destinati a essere sempre ingannati. Anche se è dato in mano a chi poi se ne servirà soltanto per interessi personali o di partito, tanto i poveri sono destinati a servire solo di utilità agli altri.
Non hanno mai la parola i poveri. Non contano niente, Non meritano di essere ascoltati. A che servono se non ad appesantire il macchinone amministrativo?
Quanta povera gente che è senza voce in capitolo, condannata eternamente ad aspettare alla porta e tacere. Quanti problemi umani e quante situazioni che non riescono a farsi sentire.
Il voto è l'unica parola, l'unica voce che è loro rimasta - anche se poi forse questa voce si spengerà nel vuoto e quest'unica parola sarà gridata per nulla.
Il diritto (qui veramente uguale per tutti) di dire si o no al come vanno le cose.
E quello della povertà è certamente giudizio spassionato perchè è voce di una sofferenza umana in pieno diritto di gridare aiuto, anche in modo scomposto, da far paura, come uno che sta affogando, o come il malato che non ne può più, o come chi ormai ha perduto ogni speranza.
E' segno di sofferenza quella crocetta accanto ad un simbolo o a un nome. E' come una lacrima, pianto per troppa sofferenza: arriva certamente al Cuore di Dio dovunque cada.
E speriamo che sia una preghiera d' invocazione di un pò d'Amore fraterno e di un briciolo di giustizia in questo povero mondo.



don Sirio


in La Voce dei Poveri: La VdP ottobre 1960, Ottobre 1960

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